Al cinema il film di Wim Wenders dedicato ad Anselm Kiefer

Anselm – La nostra recensione

Una scena di Anselm | Courtesy Lucky Red
 

Samantha De Martin

30/04/2024

"Tutti coloro che cadono hanno le ali". Ma l’Anselm Kiefer di Wim Wenders, funambolo con le sue acrobazie allegoriche in un documentario mosso e illuminante, ci solleva dalle macerie della storia per trasformare le nostre ali di piombo in piume di paglia, cenere, argilla, gommalacca, elevandoci ora ad assistenti del maestro, all’interno dei suoi atelier, ora guidandoci tra gli straordinari linguaggi di un gigante dell’arte.
E se veramente “il linguaggio è la casa dell’essere” l’omaggio di Wenders ai linguaggi del genio - accusato da molti di mettere il dito nella piaga in quello che è stato l'incubo della Germania nazista - è davvero un grandioso contributo alla conoscenza umana e artistica di questo sacerdote del mito. Perché la mitologia, insieme all’arte, ha costituito per Kiefer un’altra forma di conoscenza, capace di fornire risposte alle domande che l’uomo si pone da sempre.

Rivolgendosi a un pubblico ampio, e non soltanto di esperti d’arte o addetti ai lavori, Wenders lascia Tokyo e Hirayama, l’affascinante Kôji Yakusho, silenzioso protagonista del riuscitissimo Perfect Days, per consegnare al cinema uno dei più innovativi e importanti artisti del nostro tempo, protagonista di Anselm.
Dopo aver viaggiato per oltre due anni sulle tracce di Kiefer, dalla nativa Germania fino alla sua attuale casa in Francia, il regista ripercorre le tappe di un itinerario dietro le quinte della sua arte dove letteratura, scienza, filosofia, mitologia, religione si incontrano.


Una scena di Anselm | Courtesy Lucky Red

Girato in 3D e risoluzione 6K, il film, prodotto dallo stesso regista e distribuito in Italia da Lucky Red, segue il percorso di vita del pittore e scultore tedesco, la sua visione, lo stile rivoluzionario, il potente lavoro di esplorazione dell’esistenza umana e della natura ciclica della storia. Attualmente al cinema, il film avrà una proiezione speciale il 2 maggio alle 21 in diverse sale nazionali che saranno in collegamento con lo stesso Wim Wenders.

Ritroviamo Kiefer nel suo atelier di Croissy-Beaubourg, in Francia, mentre gironzola in bicicletta, tra le sue opere monumentali dando istruzioni ai suoi assistenti. Lo seguiamo di notte mentre affronta un quadro a colpi di spatola, immersa ora nel bianco ora nel nero, o mentre dipinge con lanci di fuoco. Conosciamo i miti, come quello degli Argonauti, che lo hanno incantato e ossessionato, lo ritroviamo in giro per l’Europa, da giovane, con il braccio destro teso, a fare il Sieg Heil, il saluto nazista mentre indossa l’uniforme da ufficiale della Wehrmacht del padre.
"Cosa provi quando ti chiedono se sei un neonazista?" Chiede nel film un giornalista. Chi è davvero Kiefer? Un artista spregiudicato che ha messo a disagio la critica toccando tasti troppo dolenti e affrontando il passato della Germania attraverso i suoi lavori o un maestro intrepido che infrange i tabù trasformando un prato schiacciato da un carro armato in un paesaggio di una bellezza straziante denso di pathos e magia? Forse “un bandito in perenne cammino”, come lo stesso artista si definisce, eterno bambino tra girasoli e notti stellate.


Una scena di Anselm | Courtesy Lucky Red

Sin dall’inizio Wenders snocciola tutti insieme gli strumenti di una sinfonia cronologicamente ordinata che alla fine il pubblico ricompone come pezzi di un puzzle. Lo fa invitandoci a visitare tutti gli atelier nei quali ha operato l’artista, dallo studio di Hornbach a Höpfingen o ancora a Buchen, tra le sale dello stoccaggio del fango dove il caos, delimitato da un confine rettangolare, diventa un dipinto. Ci presenta i suoi assistenti, offrendoci il privilegio di partecipare al processo creativo, alla nascita delle opere, tra il fumo del sigaro, alcool, fuoco, acqua e vapore.

La narrazione procede su più piani, attraverso un racconto a più voci. C’è quella dell’artista, Anselm Kiefer, e c’è quella di Kiefer bambino (Anton Wenders, nipote del regista), mentre a interpretare Anselm giovane è Damien, il figlio di Kiefer. Tra le musiche di Leonard Küßner si insinuano i sussurri delle opere stesse, simili a respiri, e le voci dei modelli che hanno ispirato (e talvolta ossessionato) Anselm, come il poeta rumeno naturalizzato francese, di origine ebraica e di lingua tedesca, Paul Celan, o ancora il suo maestro Joseph Beuys.


Una scena di Anselm | Courtesy Lucky Red

Lo schermo di un vecchio Grundig restituisce invece stralci di interviste, inserti documentari, vecchi filmati delle mostre, da Chicago al Moma di New York, rendendo ancora meno evidente la distanza (anche temporale) tra noi e l’artista.
Seguiamo Kiefer adolescente e poi lo ritroviamo a Venezia, mantello nero e rintocchi di campane. Rieccolo, da adulto, mentre sorregge se stesso bambino, perché “La fanciullezza è una stanza vuota come l’inizio del mondo”.
Riappare lungo il fiume, tra le sue “Donne dell’antichità“ che avevamo incontrato all’inizio del film, acefale, strette in sontuosi abiti sbiancati e dipinti, irrigiditi dall’immersione in un bagno di gesso, con i loro elementi simbolici. Piombo, filo spinato, girasoli, rami secchi.
“L’uomo cerca la leggerezza perché non vuole vedere l’abisso”. È proprio vero, fa parte della condizione umana. “Siamo meno di una goccia nella pioggia, di un atomo, siamo molto leggeri. Essere è un’assoluta parte del niente, nulla è una parte dell’essere".

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