Un elettroshock emotivo e intellettuale

Il "Museo della Follia" fa tappa a Salò

Al MUSA, Museo di Salò, fino al 16 novembre è allestita la mostra "Museo della Follia. Da Bacon a Goya" a cura di Vittorio Sgarbi.
 

Eleonora Zamparutti

13/03/2017

Brescia - Giunge a Salò “Museo della Follia. Da Goya a Bacon”, mostra itinerante a cura di Vittorio Sgarbi. E’ ospitata presso il MUSA, Museo di Salò, fino al 16 novembre. Si tratta della terza edizione di un’esposizione che ha già fatto tappa a Matera, poi a Mantova e successivamente a Catania arricchendosi ogni volta di nuovi contributi. “Museo della Follia ha effetti di consolidamento di alcuni pensieri. Al Castello Ursino di Catania addirittura ha inglobato alcuni pezzi della collezione permanente” afferma Vittorio Sgarbi.
 
Sembra che ovunque vada, l’iniziativa porti fortuna: terminata la mostra la città di Matera è stata nominata Capitale europea della Cultura 2019 , stessa sorte è toccata a Mantova, eletta Capitale italiana della Cultura nel 2016. Castello Ursino invece, grazie al Museo della Follia, ha visto incrementare in forma esponenziale i frequentatori toccando oltre 70 mila visitatori in un anno, mai visti prima di allora.
Il Sindaco di Salò, graziosa cittadina sulle sponde del Lago di Garda in fase di rilancio come destinazione turistica, auspica che il successo si ripeta e che la regola del 1x7 (ossia che ogni singolo Euro investito in cultura generi un indotto di 7 € in turismo e servizi) si avveri.
 
Giordano Bruno Guerri, direttore del MUSA e di GardaMusei e presidente del Vittoriale degli Italiani (la casa museo di Gabriele D’Annunzio che sorge sulla collina di Gardone Riviera, a 5 km da Salò), che riceve dal primo cittadino 200mila Euro all’anno come contributo per la gestione del museo, rassicura della bontà della strada intrapresa confermando, numeri alla mano, il successo di una strategia che punta all’arricchimento dell’immagine della città attraverso gli investimenti in cultura.
Inaugurato nel 2015, il MUSA ha già ospitato diverse esposizioni che si sono rivelate un forte attrattore per la località lacustre: nel 2016 il museo ha avuto circa 30mila visitatori, la maggior parte provenienti da fuori Salò. Contribuisce all’operazione odierna in qualità di sponsor il gruppo finanziario Credem, che lo scorso maggio ha inaugurato una filiale in città e oggi regala ai cittadini un bel viaggio nella follia.
 
Al di là dei numeri - che tuttavia oggi come non mai occorre far tornare evitando pazzie -, la mostra merita un viaggio a Salò. Per varie ragioni.
 
Perché offre un percorso di forte impatto emotivo lungo il quale ci si imbatte in una moltitudine di fonti e documenti tra opere d’arte, documentari e materiali provenienti da manicomi che stimolano nel visitatore cuore e intelletto intorno a un tema, quello della follia, del dolore e dei luoghi di reclusione, da cui il mondo quotidiano, anestetizzato ormai da tutto, rifugge a gambe levate. Probabilmente contribuisce a questo risultato anche la scelta dell’allestimento, opera del regista Cesare Inzerillo, con prevalenza di buio lacerato a tratti da fasci di luce e neon puntati su sguardi stralunati, oggetti dimenticati struggenti, angosce messe a nudo, pagine di studi, immagini di luoghi spietati, voci che narrano esistenze emarginate. Escluse volutamente lungo il tragitto le didascalie “più adatte a un museo didascalico, ma fuori luogo nel museo delle emozioni” come ha affermato Sgarbi.
 

Antonio Ligabue, Leopardo

Vale la pena andare al MUSA anche perché si possono ammirare opere che in maniera diversa tracciano un racconto intorno alla follia, alla realtà interiore e tormentata di alcuni artisti attraversati dal turbamento, al dolore del processo creativo e alla gioia che esso genera.
La scultura di Adolfo Wildt, il Puro Folle (Parsifal) del 1930, opere di Arturo Mancini, Fausto Pirandello, 4 ritratti di Van Gogh realizzati da Francis Bacon e poi i lavori di due matti ufficiali, Sandri e Arzinelli, un piccolo e intenso quadro di Goya, e una sequenza di opere di Ligabue sono tra i lavori che accompagnano nel percorso.
 
A creare l’effetto di megafono sensazionalistico, la presenza di una tela di Adolfo Hitler, esposta per la prima volta in anteprima mondiale e appartenente a un collezionista privato di Berlino.  Un’opera che acquista significato perché accostata alla video installazione che mette in scena il saggio “I pazzi politici” di Giordano Bruno Guerri: un contributo che sottolinea la pratica dell’internamento utilizzata da molti regimi per fare fuori l’avversario politico. Pare che Hitler abbia confessato una volta all’ambasciatore britannico Neville Henderson: “Io sono un artista e non un politico. Una volta che la questione polacca sarà risolta, voglio finire la mia vita come un artista”. “Avesse fatto l’artista” ha affermato Giordano Bruno Guerri, “ sarebbe stato meglio”.



Due video installazioni intitolate “Franco Basaglia” e “O.P.G:” mostrano i documenti dell’inchiesta condotta dal Senato della Repubblica, sugli ospedali psichiatrici giudiziari. E quando si parla di Franco Basaglia la parola spetta a Paolo Crepet, che dello psichiatra è stato allievo. “Qui per fortuna non si mostrano opere di Art Brut (ndr produzioni artistiche di persone ricoverate negli ospedali psichiatrici) realizzate da malati a cui è chiesto di dipingere la propria disperazione, ma si dà spazio alla libertà di esprimersi”.
 
Sul lungolago il container “L’Intonapensieri” ospita al suo interno 9 installazoni interattive, testimonianze di personalità di spicco come Antonio Ligabue, Franco Basaglia, Alda Merini ma anche voci di chi i manicomi li ha frequentati in prima persona. Una sorta di strillone per richiamare l’attenzione dei passanti, ignari delle turbe che abitano l’anima di alcuni, sulla mostra poco distante. 

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