50 capolavori della grande pittrice del Seicento
Artemisia Gentileschi: pittrice e donna consapevole a Palazzo Ducale di Genova
Artemisia Gentileschi, Susanna e i vecchioni, 1610, Olio su tela, 170x119 cm © Pommersfelden, Kunstsammlungen Graf von Schönborn
Eleonora Zamparutti
15/11/2023
Artemisia e Genova, un binomio che aggiunge un tassello in più alla conoscenza della pittrice caravaggesca che nell’arco degli ultimi vent’anni è stata oggetto di una vera e propria riscoperta con oltre 20 esposizioni a lei dedicate, a partire da quella famosa “Orazio and Artemisia Gentileschi” che inaugurò all’inizio del nuovo secolo al Metropolitan di New York.
Dal 16 Novembre Genova ospita la mostra “ARTEMISIA GENTILESCHI. CORAGGIO E PASSIONE” allestita nelle sale di Palazzo Ducale.
Curata da Costantino D’Orazio in collaborazione con Barbara Grosso, e realizzata da Arthemisia, l’esposizione si articola in numerosi capitoli narrativi sulla figura della donna e dell’artista, e il suo tempo, approfondendo - come mai forse è stato fatto prima - i rapporti psicoanalitici con il padre Orazio, noto pittore dell’epoca che aveva lavorato a Roma tra l’altro presso il Quirinale e presso il Casino delle Muse di Palazzo Pallavicini Rospigliosi, e gli scambi con la città di Genova.
Il Novecento, il secolo del femminismo, è il momento in cui l’arte di Artemisia Gentileschi esplode, dopo quattrocento anni di sostanziale oblio. Oggi i tempi sono maturi per vivificare le sue opere, rileggendole in una chiave di riscatto e vendetta, e trovando nel suo stile assonanza con i tratti di un grande del suo tempo, Caravaggio.
Attraverso la parabola della sua vita, Artemisia diventa protagonista assoluta di un rapporto nuovo con l’arte. Una figura che si rivela innanzitutto pittrice, poi donna.
Orazio Gentileschi, Santa Cecilia che suona la spinetta e un angelo, 1615-1621 Olio su tela, 90x105 cm Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria
E’ il padre Orazio a impartire ad Artemisia i primi rudimenti del mestiere, dalla miscela dei pigmenti alla stesura del colore sulla tela, dalla gestione della luce all’invenzione di morbidi panneggi. Artemisia diventa anche la modella prediletta di Orazio, pittore formidabile.
Padre e figlia sono raccontati attraverso confronti tra tele che raffigurano lo stesso soggetto, così da intravvedere le differenze del linguaggio: il padre dall’indole docile, quasi femminile, sembra una versione ingentilita di Caravaggio. La figlia invece pittrice dal tratto maschio e assertivo.
Non dev’essere stato facile nel Seicento farsi largo come donna nel mondo dell’arte ancora dominato dagli uomini. E non dev’essere stato facile neppure chiedere giustizia per la violenza subita da parte di Agostino Tassi, collega del padre a cui Artemisia era stata affidata come giovane assistente.
Agostino Tassi, il reprobo, non è però escluso dalla mostra. In esposizione ci sono tre opere a sua firma, che figurano come un’ombra nera che incombe nelle sale. Sono la prova del suo eccezionale talento, ma per Artemisia l’unico modo per liberarsi di lui, come uomo, sarà quello di affondare nei soggetti e nella forza della pittura la sua rabbia.
Oggi, per paradosso della storia, Tassi appare ai nostri occhi come il motore tragico del successo di Artemisia.
Artemisia Gentileschi, Giuditta e Abra con la testa di Oloferne, 1640-1645, Olio su tela, cm 115x116,5 Terni, Fondazione Cassa di Risparmio di Terni e Narni, Collezione d’Arte
Artemisia Gentileschi vinse la causa contro Tassi. In esposizione il documento originale con gli atti del processo che si tenne a Roma: i giudici ecclesiastici si esprimevano in latino, lei, donna in cerca di giustizia, rispondeva in volgare.
Ma oltre le porte dell’aula del tribunale, c’è un altro processo che Artemisia deve affrontare. La morale pubblica non la perdona ed è costretta ad andarsene altrove per cercare la sua strada.
La donna diviene così protagonista di una carriera eccezionale che la porta a lavorare per alcune delle corti più prestigiose d’Europa. Viaggia molto: va a Firenze, a Napoli e a Londra. Si sposa accettando un matrimonio riparatore, avrà dei figli e un amante.
Un noto pittore genovese, l’unico genovese ad aver conosciuto in vita Caravaggio, Domenico Fiasella, si trovava Roma proprio quando Artemisia subì violenza.
Nel 1616 Fiasella è di nuovo a Genova, nell’anno in cui Artemisia venne ammessa alla prestigiosa Accademia delle Arti del Disegno di Firenze, istituzione presso la quale sarebbe rimasta iscritta fino al 1620: fu la prima donna a godere di tale privilegio.
I legami con Genova sono ricorrenti. Le cronache testimoniano della presenza di Orazio Gentileschi in città tra il 1621 e il 1624. Sebbene Artemisia non vi sia documentata, le opere di Orazio sono presenti nelle raccolte più importanti. L’arrivo di Orazio Gentileschi a Genova non è affatto neutrale: provoca un cambiamento epocale nello stile degli artisti del territorio che assorbono i contrasti di luce caravaggeschi e si dedicano al racconto di soggetti drammatici.
In mostra si può ammirare un piccolo distillato di opere caravaggesche realizzate a Genova ai primi del Seicento: il San Giovannino di Strozzi e le varie versioni dell’iconografia di Giuditta e Oloferne.
Artemisia Gentileschi, Annunciazione, 1630 Olio su tela, 257x179 cm Napoli, Museo e Real Bosco di Capodimonte
Chiude il percorso, l’Annunciazione, capolavoro datato 1630 e firmato su un cartiglio “Artemisia Gentilescha”. E’ la prima commissione napoletana superstite e uno dei dipinti più potenti.
Da tempo Artemisia ormai vive a Napoli grazie ai rapporti che matura con il Viceré di Napoli, che ha acquistato tre suoi dipinti. Il suo stile, così vicino a quello di Caravaggio, affascina i collezionisti napoletani.
Da Napoli Artemisia intrattiene una fitta corrispondenza con nobili e intelletuali: Cassiano dal Pozzo, celebre erudito e suo appassionato committente, con il Duca di Modena Francesco I d’Este e con Ferdinando II de’ Medici, che ottengono suoi quadri. Galileo Galilei diventa suo consigliere.
A parte la parentesi inglese, quando nel 1638-39 si reca a Londra per lavorare con suo padre Orazio alla corte del re, Artemisia non si sposterà mai da Napoli, dove produrrà una grande quantità di tele con l’aiuto del fratello Francesco.
Diventata la pittrice più celebre d’Europa, si circonda di allievi e collaboratori, dipingendo anche le uniche opere pubbliche della sua carriera per la Cattedrale di Pozzuoli.
Muore intorno al 1653, in una data ancora non confermata: la sua tomba nella Chiesa di San Giovanni Battista dei Fiorentini è andata perduta negli anni ’50 del Novecento, quando l’edificio è stato abbattuto per fare spazio ad un moderno condominio.
Dal 16 Novembre Genova ospita la mostra “ARTEMISIA GENTILESCHI. CORAGGIO E PASSIONE” allestita nelle sale di Palazzo Ducale.
Curata da Costantino D’Orazio in collaborazione con Barbara Grosso, e realizzata da Arthemisia, l’esposizione si articola in numerosi capitoli narrativi sulla figura della donna e dell’artista, e il suo tempo, approfondendo - come mai forse è stato fatto prima - i rapporti psicoanalitici con il padre Orazio, noto pittore dell’epoca che aveva lavorato a Roma tra l’altro presso il Quirinale e presso il Casino delle Muse di Palazzo Pallavicini Rospigliosi, e gli scambi con la città di Genova.
Il Novecento, il secolo del femminismo, è il momento in cui l’arte di Artemisia Gentileschi esplode, dopo quattrocento anni di sostanziale oblio. Oggi i tempi sono maturi per vivificare le sue opere, rileggendole in una chiave di riscatto e vendetta, e trovando nel suo stile assonanza con i tratti di un grande del suo tempo, Caravaggio.
Attraverso la parabola della sua vita, Artemisia diventa protagonista assoluta di un rapporto nuovo con l’arte. Una figura che si rivela innanzitutto pittrice, poi donna.
Orazio Gentileschi, Santa Cecilia che suona la spinetta e un angelo, 1615-1621 Olio su tela, 90x105 cm Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria
E’ il padre Orazio a impartire ad Artemisia i primi rudimenti del mestiere, dalla miscela dei pigmenti alla stesura del colore sulla tela, dalla gestione della luce all’invenzione di morbidi panneggi. Artemisia diventa anche la modella prediletta di Orazio, pittore formidabile.
Padre e figlia sono raccontati attraverso confronti tra tele che raffigurano lo stesso soggetto, così da intravvedere le differenze del linguaggio: il padre dall’indole docile, quasi femminile, sembra una versione ingentilita di Caravaggio. La figlia invece pittrice dal tratto maschio e assertivo.
Non dev’essere stato facile nel Seicento farsi largo come donna nel mondo dell’arte ancora dominato dagli uomini. E non dev’essere stato facile neppure chiedere giustizia per la violenza subita da parte di Agostino Tassi, collega del padre a cui Artemisia era stata affidata come giovane assistente.
Agostino Tassi, il reprobo, non è però escluso dalla mostra. In esposizione ci sono tre opere a sua firma, che figurano come un’ombra nera che incombe nelle sale. Sono la prova del suo eccezionale talento, ma per Artemisia l’unico modo per liberarsi di lui, come uomo, sarà quello di affondare nei soggetti e nella forza della pittura la sua rabbia.
Oggi, per paradosso della storia, Tassi appare ai nostri occhi come il motore tragico del successo di Artemisia.
Artemisia Gentileschi, Giuditta e Abra con la testa di Oloferne, 1640-1645, Olio su tela, cm 115x116,5 Terni, Fondazione Cassa di Risparmio di Terni e Narni, Collezione d’Arte
Artemisia Gentileschi vinse la causa contro Tassi. In esposizione il documento originale con gli atti del processo che si tenne a Roma: i giudici ecclesiastici si esprimevano in latino, lei, donna in cerca di giustizia, rispondeva in volgare.
Ma oltre le porte dell’aula del tribunale, c’è un altro processo che Artemisia deve affrontare. La morale pubblica non la perdona ed è costretta ad andarsene altrove per cercare la sua strada.
La donna diviene così protagonista di una carriera eccezionale che la porta a lavorare per alcune delle corti più prestigiose d’Europa. Viaggia molto: va a Firenze, a Napoli e a Londra. Si sposa accettando un matrimonio riparatore, avrà dei figli e un amante.
Un noto pittore genovese, l’unico genovese ad aver conosciuto in vita Caravaggio, Domenico Fiasella, si trovava Roma proprio quando Artemisia subì violenza.
Nel 1616 Fiasella è di nuovo a Genova, nell’anno in cui Artemisia venne ammessa alla prestigiosa Accademia delle Arti del Disegno di Firenze, istituzione presso la quale sarebbe rimasta iscritta fino al 1620: fu la prima donna a godere di tale privilegio.
I legami con Genova sono ricorrenti. Le cronache testimoniano della presenza di Orazio Gentileschi in città tra il 1621 e il 1624. Sebbene Artemisia non vi sia documentata, le opere di Orazio sono presenti nelle raccolte più importanti. L’arrivo di Orazio Gentileschi a Genova non è affatto neutrale: provoca un cambiamento epocale nello stile degli artisti del territorio che assorbono i contrasti di luce caravaggeschi e si dedicano al racconto di soggetti drammatici.
In mostra si può ammirare un piccolo distillato di opere caravaggesche realizzate a Genova ai primi del Seicento: il San Giovannino di Strozzi e le varie versioni dell’iconografia di Giuditta e Oloferne.
Artemisia Gentileschi, Annunciazione, 1630 Olio su tela, 257x179 cm Napoli, Museo e Real Bosco di Capodimonte
Chiude il percorso, l’Annunciazione, capolavoro datato 1630 e firmato su un cartiglio “Artemisia Gentilescha”. E’ la prima commissione napoletana superstite e uno dei dipinti più potenti.
Da tempo Artemisia ormai vive a Napoli grazie ai rapporti che matura con il Viceré di Napoli, che ha acquistato tre suoi dipinti. Il suo stile, così vicino a quello di Caravaggio, affascina i collezionisti napoletani.
Da Napoli Artemisia intrattiene una fitta corrispondenza con nobili e intelletuali: Cassiano dal Pozzo, celebre erudito e suo appassionato committente, con il Duca di Modena Francesco I d’Este e con Ferdinando II de’ Medici, che ottengono suoi quadri. Galileo Galilei diventa suo consigliere.
A parte la parentesi inglese, quando nel 1638-39 si reca a Londra per lavorare con suo padre Orazio alla corte del re, Artemisia non si sposterà mai da Napoli, dove produrrà una grande quantità di tele con l’aiuto del fratello Francesco.
Diventata la pittrice più celebre d’Europa, si circonda di allievi e collaboratori, dipingendo anche le uniche opere pubbliche della sua carriera per la Cattedrale di Pozzuoli.
Muore intorno al 1653, in una data ancora non confermata: la sua tomba nella Chiesa di San Giovanni Battista dei Fiorentini è andata perduta negli anni ’50 del Novecento, quando l’edificio è stato abbattuto per fare spazio ad un moderno condominio.
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