Daniele Ferroni, Giovanni Tamburelli. Nel disordine delle cose
Dal 29 Settembre 2013 al 24 Novembre 2013
Longiano | Forlì-Cesena
Luogo: Castello Malatestiano
Indirizzo: piazza Malatestiana 1
Orari: da martedì a domenica e festivi: 10/12 - 15/19
Curatori: Flaminio e Massimo Balestra
Costo del biglietto: intero € 3, ridotto € 2
Telefono per informazioni: +39 0547 665850
E-Mail info: info@fondazionetitobalestra.org
Sito ufficiale: http://www.fondazionetitobalestra.org
Sculture, tappeti e acquerelli. In mostra sarà presente anche una sezione di fotografie scattate all’artista nel suo atelier a opera di Daniele Ferroni
La vernice della mostra avrà luogo in concomitanza alla presentazione del libro fotografico di Daniele Ferroni, Il disordine delle cose, dedicato allo scultore piemontese Giovanni Tamburelli, edito dalla Fondazione Tito Balestra Onlus (settembre 2013), nella collana Officine parallele a cura di Flaminio e Massimo Balestra.
Il libro propone una selezione di fotografie frutto del sodalizio fra il fotografo romagnolo Daniele Ferroni e l’artista Giovanni Tamburelli ripreso nel suo studio-officina di Saluggia (VC). Nel volume sono presenti testi di Michel Butor, Dato Magradze e una postfazione di Massimo Balestra.
L’esposizione ripercorrerà, all’esterno e all’interno del Castello Malatestiano e nell’adiacente ex chiesa Madonna di Loreto, attraverso una selezione di opere recenti (2010-2013), a cura di Flaminio e Massimo Balestra, la poetica dell’immaginario dell’artista, che «nel caso di Tamburelli – come afferma Gillo Dorfles –, questo fantasioso e insieme robusto “fabbro giocoliere”, tutta la sua produzione deve essere vista come un’operazione artistica – spesso di grande intensità – ma dove l’elemento ludico primeggia. Altrimenti come giustificare i pesci volanti, le poltrone animalesche, gli strani animali variopinti – umanoidi, mostri, ibridi – che assiepano il suo studio officina. È soltanto considerando entrambi gli aspetti (quello pittorico e quello fabbrile) della sua vasta produzione che possiamo giustificare la presenza di una innegabile vis formativa e insieme di una innata passione per il racconto, la fiaba, la leggenda».
«Il mondo immaginario di Giovanni Tamburelli – commenta Massimo Balestra, nella postfazione al libro – proviene da un grido interiore, l’usualità delle “cose” ne ha causato l’esistenza. I flessi suoni dei fogli laminosi, il gracidare cupo di seghe divoratrici di metallo, il battere ritmato del maglio, il crepitio dell’elettrodo fondente o il bruire del cannello ferruminatorio dovettero sembrargli canti, troppo flagranti per non dargli forma. Mi piace credere che un giorno, stanco di piegare quei suoni a una concretezza prestabilita (per anni ha svolto l’attività di fabbro, continuando una tradizione di famiglia), di uomini troppo ciechi per vedere oltre, abbia sentito la necessità di liberarli in creature fantastiche. Penso che quella sua intima vocazione non sia disgiunta dall’orecchio del poeta. Ecco allora che quelle forme iniziano a prendere vita in un viaggio senza meta, ma carico di percorso, dove solo una dedizione incessante, che non ammette distrazioni, può restituirgli realtà.
Reale è quando il proprio mondo può comunicare con quelli altrui, non importa se nella pienezza della comprensione, d’altronde chi può sostenere, senza tema di smentita, di non interpretare e di afferrare le “cose così come sono”? Nulla è estraneo all’uomo pensante, solo la mente ordina le conoscenze, e la mente non è al di fuori del mondo; dunque lasciare la presunzione e sperimentare un viaggio “altro” potrebbe ricondurre a una “realtà” più piena, quella del rapporto con l’incomprensibile, che, vivendo in noi, permette di saggiare il volume delle proprie certezze e di non rinunciare mai a porle al vaglio del dubbio, non per annichilire o disperdersi nel magmatico flusso degli eventi, ma per affrontare costantemente la complessità senza costringerla all’arroganza di un’unica verità.
Allora quelle creature, a prima vista inusitate, eccole pronte a riecheggiare canti ancestrali, di mondi possibili, mai del tutto dissoltisi nel percorso dell’evoluzione umana. Chi respinge la forza dell’immaginazione rifiuta la conoscenza; chi rinuncia alla conoscenza rinuncia a esserci. Giovanni Tamburelli, come tutti i visionari, ovvero quelle persone che escono dalle maglie dei conformismi, non si preoccupa di risultare né antico, né moderno e tantomeno contemporaneo, nella sua officina batte il metallo, lo piega, lo forgia con l’unica intenzione di dare vita a un racconto che è dell’uomo e nell’uomo, l’unico riscatto da una “ragione” incapace di cogliere la propria essenza».
In occasione dell’evento l’editore Alberto Casiraghy, per le edizioni Pulcinoelefante, ha realizzato cinquantuno plaquette d’artista con un acquerello originale di Giovanni Tamburelli.
In mostra saranno esposte anche varie pubblicazioni riguardanti Giovanni Tamburelli, fra cui il recente libro d’artista Dans le désordre des choses/Nel disordine delle cose, Edizioni Lumacagolosa, in 33 copie con un testo di Michel Butor, una scultura e un acquarello di Giovanni Tamburelli e sei fotografie di Daniele Ferroni.
Giovanni Tamburelli, nato a Torino nel 1952, vive e lavora a Saluggia (Vercelli). Figlio, nipote e pronipote di fabbri, dopo gli studi grafici all’Istituto “Paravia” di Torino ha viaggiato e letto molto, affiancando costantemente alla pratica artistica l’attività di poeta. Decisiva per gli sviluppi del suo percorso artistico l’amicizia con Maurizio Corgnati. Ha esposto in molte città italiane ed estere. Di lui hanno scritto sia in ambito artistico che letterario: Nico Orengo, Sebastiano Vassalli, Gad Lerner e Frédérick Tristan, Giorgio Calcagno, Fabrizio Dentice, Giampaolo Dossena e Lodovico Terzi, Gillo Dorfles e Martina Corgnati. Ha pubblicato numerosi libri d’artista tra cui alcuni illustrati da Weiner Vaccari, Victor Kastelic, Gareth Fisher, Aldo Mondino. Collabora con le edizioni d’arte Il Pulcinoelefante di Alberto Casiraghy. Nel 2011 è stato invitato a esporre alla 54ª Biennale internazionale d’arte di Venezia, nel padiglione Italia, diretto da Vittorio Sgarbi.
Sito web dell’artista: www.giovannitamburelli.it
Daniele Ferroni (1969), vive e lavora a Villanova di Bagnacavallo (RA). Sin da giovanissimo si dedica alla fotografia e partecipa a diverse mostre personali e collettive sul territorio romagnolo. Nel 2004 fonda una sua casa editrice “La lumêga lôva” che diviene nel 2005 “Edizioni Lumacagolosa”. Lavora con numerosi artisti, scrittori e poeti fra cui Michel Butor – il cui sodalizio nasce nel 2003 e si concretizza in numerosi progetti –, Dario Fo e Franca Rame, Pierre Leloup e Myléne Besson, Alda Merini, Mario Rigoni Stern, Ilario Fioravanti, Gian Ruggero Manzoni, Gaetano Orazio, Isabella Bordoni, Vittoria Facchini, Jack Hirschman, Franco Loi, Sebastiano Vassalli, Paolo Ruffilli, Stefano Simoncelli, Leonardo Cemak, Eugenio Vitali, Dante Medina, Vittorio Cozzoli. Le sue fotografie sono pubblicate per le case editrici: Einaudi, Condé Nast, Edizioni Fondazione Tito Balestra Onlus, Il Vicolo, Pulcinoelefante di Alberto Casiraghy, I Quaderni d’Orfeo di Roberto Dossi. Per la Fondazione Tito Balestra collabora alla realizzazione nel 2007 del progetto “In viaggio con Michel Butor” che lo vede in giro per l’Italia al seguito dell’artista francese, e nel 2011 è autore della mostra e del libro d’arte Périple transalpin all’interno del secondo progetto “Michel Butor. Ritorno a Longiano”.
La vernice della mostra avrà luogo in concomitanza alla presentazione del libro fotografico di Daniele Ferroni, Il disordine delle cose, dedicato allo scultore piemontese Giovanni Tamburelli, edito dalla Fondazione Tito Balestra Onlus (settembre 2013), nella collana Officine parallele a cura di Flaminio e Massimo Balestra.
Il libro propone una selezione di fotografie frutto del sodalizio fra il fotografo romagnolo Daniele Ferroni e l’artista Giovanni Tamburelli ripreso nel suo studio-officina di Saluggia (VC). Nel volume sono presenti testi di Michel Butor, Dato Magradze e una postfazione di Massimo Balestra.
L’esposizione ripercorrerà, all’esterno e all’interno del Castello Malatestiano e nell’adiacente ex chiesa Madonna di Loreto, attraverso una selezione di opere recenti (2010-2013), a cura di Flaminio e Massimo Balestra, la poetica dell’immaginario dell’artista, che «nel caso di Tamburelli – come afferma Gillo Dorfles –, questo fantasioso e insieme robusto “fabbro giocoliere”, tutta la sua produzione deve essere vista come un’operazione artistica – spesso di grande intensità – ma dove l’elemento ludico primeggia. Altrimenti come giustificare i pesci volanti, le poltrone animalesche, gli strani animali variopinti – umanoidi, mostri, ibridi – che assiepano il suo studio officina. È soltanto considerando entrambi gli aspetti (quello pittorico e quello fabbrile) della sua vasta produzione che possiamo giustificare la presenza di una innegabile vis formativa e insieme di una innata passione per il racconto, la fiaba, la leggenda».
«Il mondo immaginario di Giovanni Tamburelli – commenta Massimo Balestra, nella postfazione al libro – proviene da un grido interiore, l’usualità delle “cose” ne ha causato l’esistenza. I flessi suoni dei fogli laminosi, il gracidare cupo di seghe divoratrici di metallo, il battere ritmato del maglio, il crepitio dell’elettrodo fondente o il bruire del cannello ferruminatorio dovettero sembrargli canti, troppo flagranti per non dargli forma. Mi piace credere che un giorno, stanco di piegare quei suoni a una concretezza prestabilita (per anni ha svolto l’attività di fabbro, continuando una tradizione di famiglia), di uomini troppo ciechi per vedere oltre, abbia sentito la necessità di liberarli in creature fantastiche. Penso che quella sua intima vocazione non sia disgiunta dall’orecchio del poeta. Ecco allora che quelle forme iniziano a prendere vita in un viaggio senza meta, ma carico di percorso, dove solo una dedizione incessante, che non ammette distrazioni, può restituirgli realtà.
Reale è quando il proprio mondo può comunicare con quelli altrui, non importa se nella pienezza della comprensione, d’altronde chi può sostenere, senza tema di smentita, di non interpretare e di afferrare le “cose così come sono”? Nulla è estraneo all’uomo pensante, solo la mente ordina le conoscenze, e la mente non è al di fuori del mondo; dunque lasciare la presunzione e sperimentare un viaggio “altro” potrebbe ricondurre a una “realtà” più piena, quella del rapporto con l’incomprensibile, che, vivendo in noi, permette di saggiare il volume delle proprie certezze e di non rinunciare mai a porle al vaglio del dubbio, non per annichilire o disperdersi nel magmatico flusso degli eventi, ma per affrontare costantemente la complessità senza costringerla all’arroganza di un’unica verità.
Allora quelle creature, a prima vista inusitate, eccole pronte a riecheggiare canti ancestrali, di mondi possibili, mai del tutto dissoltisi nel percorso dell’evoluzione umana. Chi respinge la forza dell’immaginazione rifiuta la conoscenza; chi rinuncia alla conoscenza rinuncia a esserci. Giovanni Tamburelli, come tutti i visionari, ovvero quelle persone che escono dalle maglie dei conformismi, non si preoccupa di risultare né antico, né moderno e tantomeno contemporaneo, nella sua officina batte il metallo, lo piega, lo forgia con l’unica intenzione di dare vita a un racconto che è dell’uomo e nell’uomo, l’unico riscatto da una “ragione” incapace di cogliere la propria essenza».
In occasione dell’evento l’editore Alberto Casiraghy, per le edizioni Pulcinoelefante, ha realizzato cinquantuno plaquette d’artista con un acquerello originale di Giovanni Tamburelli.
In mostra saranno esposte anche varie pubblicazioni riguardanti Giovanni Tamburelli, fra cui il recente libro d’artista Dans le désordre des choses/Nel disordine delle cose, Edizioni Lumacagolosa, in 33 copie con un testo di Michel Butor, una scultura e un acquarello di Giovanni Tamburelli e sei fotografie di Daniele Ferroni.
Giovanni Tamburelli, nato a Torino nel 1952, vive e lavora a Saluggia (Vercelli). Figlio, nipote e pronipote di fabbri, dopo gli studi grafici all’Istituto “Paravia” di Torino ha viaggiato e letto molto, affiancando costantemente alla pratica artistica l’attività di poeta. Decisiva per gli sviluppi del suo percorso artistico l’amicizia con Maurizio Corgnati. Ha esposto in molte città italiane ed estere. Di lui hanno scritto sia in ambito artistico che letterario: Nico Orengo, Sebastiano Vassalli, Gad Lerner e Frédérick Tristan, Giorgio Calcagno, Fabrizio Dentice, Giampaolo Dossena e Lodovico Terzi, Gillo Dorfles e Martina Corgnati. Ha pubblicato numerosi libri d’artista tra cui alcuni illustrati da Weiner Vaccari, Victor Kastelic, Gareth Fisher, Aldo Mondino. Collabora con le edizioni d’arte Il Pulcinoelefante di Alberto Casiraghy. Nel 2011 è stato invitato a esporre alla 54ª Biennale internazionale d’arte di Venezia, nel padiglione Italia, diretto da Vittorio Sgarbi.
Sito web dell’artista: www.giovannitamburelli.it
Daniele Ferroni (1969), vive e lavora a Villanova di Bagnacavallo (RA). Sin da giovanissimo si dedica alla fotografia e partecipa a diverse mostre personali e collettive sul territorio romagnolo. Nel 2004 fonda una sua casa editrice “La lumêga lôva” che diviene nel 2005 “Edizioni Lumacagolosa”. Lavora con numerosi artisti, scrittori e poeti fra cui Michel Butor – il cui sodalizio nasce nel 2003 e si concretizza in numerosi progetti –, Dario Fo e Franca Rame, Pierre Leloup e Myléne Besson, Alda Merini, Mario Rigoni Stern, Ilario Fioravanti, Gian Ruggero Manzoni, Gaetano Orazio, Isabella Bordoni, Vittoria Facchini, Jack Hirschman, Franco Loi, Sebastiano Vassalli, Paolo Ruffilli, Stefano Simoncelli, Leonardo Cemak, Eugenio Vitali, Dante Medina, Vittorio Cozzoli. Le sue fotografie sono pubblicate per le case editrici: Einaudi, Condé Nast, Edizioni Fondazione Tito Balestra Onlus, Il Vicolo, Pulcinoelefante di Alberto Casiraghy, I Quaderni d’Orfeo di Roberto Dossi. Per la Fondazione Tito Balestra collabora alla realizzazione nel 2007 del progetto “In viaggio con Michel Butor” che lo vede in giro per l’Italia al seguito dell’artista francese, e nel 2011 è autore della mostra e del libro d’arte Périple transalpin all’interno del secondo progetto “Michel Butor. Ritorno a Longiano”.
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