Ipervisualità. Quando l'invisibile diventa visibile - Opere video dalla Collezione Wemhöner
Dal 04 Aprile 2019 al 14 Aprile 2019
Milano
Luogo: Palazzo Dugnani
Indirizzo: via Manin 2
Enti promotori:
- Comune di Milano - Cultura
Il tempo è invisibile. Visibili sono solo le tracce che lascia nello spazio. Nello spazio decifriamo il tempo. Il ciclo di affreschi dell’artista veneziano Tiepolo a Palazzo Dugnani di Milano, per esempio, racconta la vittoria di Scipione su Annibale. La rappresentazione visiva sfida la gloria del passato.
Sullo sfondo degli affreschi di Palazzo Dugnani, la mostra Ipervisualità crea un ponte fra l’invisibile e il visibile. Il suffisso «iper» non vuole però porre l’accento su una sovrabbondanza di immagini la cui creazione viene spesso attribuita, con toni critici, alla società mediatica. Il termine «ipervisualità» concretizza piuttosto uno di quegli «iperfenomeni»[1] che nascono da una varietà di esperienze di sforamento. La sua sfumatura iperbolica vuole dunque sottolineare un movimento che supera i limiti. La mostra Ipervisualità, con i suoi sei lavori filmici provenienti dalla Collezione Wemhöner, si spinge ai limiti delle possibilità offerte dalla rappresentazione visuale. I filmati New Woman di Yang Fudong, Fragilee 2’59’’di Masbedo, Playtimedi Isaac Julien, The Swape Deep Golddi Julian Rosefeldt invitano i visitatori ad immergersi nell’arte filmica dello straniamento.
Punto di partenza: Italia
I paesi d’origine degli artisti registrano tre stazioni della vita di Heiner Wemhöner, stazioni che caratterizzano la sua collezione fino ad oggi: «Ho iniziato ad interessarmi d’arte durante i miei viaggi in Italia. Erano gli anni ’80. Risalgono a quel periodo le opere di pittori italiani, opere a cui continuo ad essere molto legato. Sono entrato in contatto con la scena artistica tedesca ed internazionale solo negli anni ’90. A metà degli anni 2000 sono andato spesso in Cina per lavoro e questi viaggi hanno fortemente influenzato la mia visione dell’arte: ancora oggi l’arte contemporanea cinese amplia i miei orizzonti sulla ricca cultura del paese.
Il fatto che ora una selezione delle opere della mia collezione venga esposta a Palazzo Dugnani da un lato mi riporta agli inizi dei miei incontri con l’arte e dall’altro mi ricorda che ho iniziato ad acquisire opere filmiche solo negli ultimi anni. Come nel caso della fotografia, mi ci è voluto un po’ prima di riuscire a stabilire un rapporto con questo medium.»
Il dicibile e il visibile
Al giorno d’oggi è molto facile produrre immagini e renderle pubbliche tanto che si può opporre ben poco, almeno dal punto di vista tecnico, ad un cultura che predilige comunicare con le immagini piuttosto che con le parole. Il dominio culturale del modello linguistico e testuale è in declino. Già da tempo, oramai, i dibattiti sulle immagini oltrepassano l’ambito circoscritto dell’arte figurativa e quando si riflette sulle immagini si mescolano questioni sociali, politiche ed estetiche. Si è creata una frattura fra ciò che è dicibile e ciò che è visibile? Le immagini sono in grado di trasmettere quello che le parole non riescono a fare? ‘Il potere delle immagini’ si basa forse non tanto sulla loro onnipresenza quanto piuttosto sulla loro specifica tendenza a trascendere quelle routine visive e rappresentative divenute oramai convenzionali?
La congiuntura della visualità dovuta alle tecnologie elettroniche ha spinto lo storico dell’arte statunitense William J. T. Mitchell già negli anni ’90 ad annunciare una svolta paradigmatica verso l’immagine, il cosiddetto pictorial turn. Secondo Mitchell, dopo la rivoluzione digitale è ora necessaria un’evoluzione culturale che porti ad una nuova cultura visuale. Alla competenza testuale si deve ora affiancare una competenza visuale; la qualità delle immagini richiede un cambiamento radicale anche nella qualità della cultura visuale, sia produttiva che ricettiva. Come Mitchell stesso sottolinea, alla base di questo imperativo vi è «la consapevolezza che l’essere spettatore (il guardare – the look, lo sguardo – the gaze, il colpo d’occhio – the glance, le pratiche di osservazione, la sorveglianza e il piacere visivo) può essere una questione altrettanto profonda delle varie forme di lettura (decifrazione, decodificazione, interpretazione ecc.) e che l’esperienza visiva, o l’alfabetizzazione visiva – visual literacy – potrebbe non essere completamente interpretabile sul modello della testualità.»
I consumatori di immagini non sempre si fermano al mero vedere riconoscitivo. Uno sguardo che forma ed interpreta desidera qualcosa di più, qualcosa di diverso da quello che si vede normalmente, qualcosa che lo storico dell’arte Max Imdahl ha chiamato il «vedere vedente» (sehendes Sehen). Questo processo spinge i produttori d’immagini a non accontentarsi di mostrare nel senso di un semplice mettere in mostra se stessi, ma a far riferimento a situazioni esterne all’immagine stessa. In tal modo ciò che si vede va oltre se stesso fino a sforare gli usuali schemi del pensare, dell’immaginare e del percepire. La mostra Ipervisualità fa riferimento proprio a tali sforamenti e stimola tre diverse modalità di sperimentazione del vedere, modalità che trascendono i confini del visibile: ipervisualità implicativa, mediale e riflessiva.
Ipervisualità implicativa
L’atmosfera di un periodo di transizione può essere resa visibile tanto da costringere lo spettatore a cercarne i contesti pertinenti? Nell’istallazione video a cinque canali New Womendi Yang Fudong cinque donne nude si muovono con movimenti aggraziati in uno studio d’interni, circondate da scarsi accessori che rimandano all’antichità europea e alla tradizione dell’Asia orientale. Come in un regno di transizione, le «nuove donne» appaiono ben presto come un omaggio agli inizi del cinema cinese degli anni ’30 per trasformarsi subito dopo nel ricordo della fase di rinnovamenti che caratterizzò la fine dell’era imperiale.
Ipervisualità mediale
Con quali tecniche si può evocare con delle immagini filmiche qualcosa di diverso dalla mera riproduzione della realtà? In Fragileil duo artistico Masbedo lascia girare liberamente un pavone blu fra le opere di antichi maestri nella Galleria Sabauda di Torino. Mediante la tensione esistente fra essere umano, animale e arte vengono messe improvvisamente a confronto l’eredità naturale e l’eredità culturale. Forse perché la natura, esattamente come l’arte, affermano sfere di bellezza che hanno bisogno di essere salvaguardate?
Nel video 2’59’’ un LP gira su un giradischi: risuonano le note d’inizio di Imagine di John Lennon. Il disco viene continuamente fermato e rigato con un utensile. Alla fine non si sentono altro che strepitii indistinti ed intermittenti. Viene così seppellita l’immaginazione? O si allude piuttosto al fatto che l’immaginazione si basa sull’interazione fra il vecchio e il nuovo?
I film Playtime di Isaac Julien e The Swap di Julian Rosefeldt trattano in modo diverso le attività del mercato finanziario, tanto astratte da diventare invisibile: l’uno orientato sugli attori, dall’altro sui processi. Playtime svela in modo indiretto i flussi di capitale evocando biografie di persone la cui vita è strettamente legata agli intrecci globali del capitale. I ricordi, ad esempio, di un artista islandese il cui sogno di possedere una casa viene infranto dalla crisi finanziaria. O i ricordi di una domestica filippina costretta da necessità familiari ad offrire i suoi servizi a Dubai.
In The Swap, invece, uno scambio di valigie fra due bande di gangster si trasforma in una sequenza di movimenti perfettamente orchestrati che, sul palcoscenico di un porto mercantile, sembrano combinare figure della danza moderna a figure della danza in cerchio. Una danza intorno al vitello d’oro sullo sfondo dei flussi globali di merci? Un’allegoria delle operazioni di scambio finanziarie denominate «Swap»?
Ipervisualità riflessiva
In Deep Gold di Julian Rosefeldtlo spettatore segue, come nel film surrealista L’âge d’or di Luis Buñuel, un uomo in lotta col suo immaginario libidinoso. Il video gioca però con il livello di illusione filmica dimostrando come la creazione di mondi fittivi popoli la facoltà immaginativa dello spettatore. Si chiude qui un cerchio: come Palazzo Dugnani con i suoi affreschi di Tiepolo, anche Deep Gold mette in scena un Kippbild, un’immagine reversibile fra passato e presente, un’immagine da animare con la fantasia.
L’arte filmica si colloca nell’ambito conflittuale risultante dalle abitudini visive, dalle convenzioni raffigurative e dall’innovazione visuale. La sua potenza liberatrice inizia con la consapevolezza di vedere in modo diverso. Attraverso il linguaggio visivo e il parlare per immagini, tutte le opere esposte alla mostra Ipervisualità attivano un potenziale estetico per far apparire l’invisibile. L’invisibile non è il nulla e non è per nulla invisibile.
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