Gilberto Zorio

Gilberto Zorio, Confine incandescente, 1970. Nichel cromo incandescente, cavi elettrici. Dimensioni variabili. Courtesy dell’artista I Ph. Gino Di Paolo

 

Dal 26 July 2025 al 31 August 2025

Teramo

Luogo: Palazzo De Sanctis e Palazzo Clemente

Indirizzo: Viale XXIV Maggio 14, Castelbasso

Curatori: Ilaria Bernardi

Telefono per informazioni: +39 0861.508000

E-Mail info: info@fondazionemenegaz.it

Sito ufficiale: http://www.fondazionemenegaz.it


La Fondazione Malvina Menegaz per le Arti e le Culture, presieduta da Osvaldo Menegaz, ogni estate trasforma Castelbasso, piccolo centro della provincia teramana, nel Borgo della cultura.
 
Nell’edizione 2025 protagonista sarà la mostra personale di Gilberto Zorio (Andorno Micca, Biella, 1944) che rende omaggio a uno dei principali artisti italiani, nonché esponente di spicco del movimento dell’Arte povera. Concependo l’arte un campo inesauribile di energia fisica e mentale, fin dai suoi esordi Zorio ha indirizzato la propria ricerca verso una processualità funzionale a rendere continuamente mutevole ogni opera. Predisponendo reazioni chimiche o fisiche, e assurgendo il tempo a elemento cardine, immette nel suo lavoro un ciclo vitale, di fronte al quale egli stesso si pone come spettatore.
 
Dopo 22 anni dalla mostra collettiva Alchimie del Mito, Zorio torna a Castelbasso per proporre una mostra in due sedi, a palazzo De Sanctis e a palazzo Clemente, concepita come un’incursione nei suoi 60 anni di attività, dalla metà degli anni Sessanta fino a oggi, svolta mediante una selezione di 30 opere iconiche.
 
A palazzo De Sanctis l’esposizione si sviluppa sui tre piani dell’edificio per delineare un viaggio cronologico e tematico all’interno dei principali motivi iconografico-concettuali del lavoro dell’artista: dalle reazioni chimiche e fisiche sviluppate nella seconda metà degli anni Sessanta attraverso la combinazione di elementi tra cui tubi dalmine, cemento, polvere di zolfo, solfato di rame, acido cloridrico e rame (al piano terra del palazzo), alle opere degli anni Settanta in cui la luce e la parola divengono portatrici di trasformazione (al primo piano del palazzo), fino ai lavori successivi che, evocando il tipico lancio da dietro in avanti dei giavellotti da cui sono costituiti, incarnano la convergenza tra passato, presente e futuro (al secondo piano, davanti alla prima rampa delle scale al piano terra e sopra quella prima rampa del palazzo).
 
Nello specifico, al piano terra di palazzo De Sanctis sono esposti lavori realizzati nella seconda metà degli anni Sessanta (tra cui Letto, 1966 e Sedia,1966), presentati in occasione delle sue prime mostre personali, tra il 1967 e il 1969. Queste opere incarnano perfettamente ciò che nel 1967, in Appunti per una guerriglia, il critico Germano Celant scrisse su Zorio, definendo le sue creazioni“enfatizzazioni visuali di un avvenimento instabile. […] Un’imprevedibile coesistenza tra forza e precarietà esistenziale che sconcerta, pone in crisi ogni affermazione, per ricordarci che ogni “cosa” è precaria, basta infrangere il punto di rottura ed essa salterà”.
 
Le sale del primo piano di palazzo De Sanctis delineano invece un percorso all’interno della produzione degli anni Settanta dell’artista, focalizzandosi sul tema estetico-concettuale della tautologia tra parola e concetto, e sulla dicotomia tra luce e buio. Se grazie alla luce alcune opere (tra cui Per purificare le parole, 1979),evidenziano la propria relazione con lo spazio reale circostante, è dal buio che storiche installazioni, “brillanti” di luce propria grazie al nichel cromo incandescente o al fosforo (tra cui Confine incandescente, 1970 e Pugno fosforescente, 1971), emergono al nostro sguardo per portarci in un’altra dimensione: “Mi interessa la rivelazione”, afferma l’artista: “Questo permette di vedere cose che normalmente non si vedono. L'invisibile diventa visibile. La realtà è una rivelazione, cioè l'esatto contrario”.
 
Infine,le opere all’ultimo piano di palazzo De Sanctis, così come le due allestite rispettivamente davanti alla prima rampa di scale al piano terra e sulla parete destra di quella stessa rampa, tutte realizzate tra la fine degli anni Settanta agli anni recenti, analizzano le molteplici possibilità in cui può manifestarsi uno dei principali elementi iconografico-concettuali della produzione di Zorio: il giavellotto, utilizzato per la prima volta nel 1971, ed evocativo della possibile convergenza tra passato, presente e futuro. Vediamo infatti giavellotti tra loro in tensione in una grande installazione aerea (Per purificare le parole, 1980), giavellotti tra loro incrociati a formare una Stella (2009), giavellotti uniti a delineare un arco con impugnatura, giavellotti utili a sostenere una canoa in un disegno degli anni Ottanta….
 
Sottolinea la curatrice Ilaria Bernardi: “Focalizzatosi sull’energia che in quanto tale produce movimento, nel suo lavoro Zorio supera la linearità dello spazio e soprattutto del tempo. Alla stregua del giavellotto che più viene portato indietro dalla mano che lo impugna più andrà lontano una volta lanciato, così il lavoro dell’artista prende lo slancio andando indietro, indagando nella storia del mondo, per proiettare lontano, nel futuro, i suoi miti e archetipi”.  
 
La seconda parte della mostra si sviluppa a palazzo Clemente e si focalizza sulle possibili declinazioni dell’elemento iconografico-concettuale per cui Zorio è maggiormente conosciuto: la stella, entrata a far parte del suo lessico fin dal 1972. Stelle che appaiono su pelli, su pergamena, su rame, su ferro, su alluminio, nonché stelle disegnate su carta per progettare grandi Torri Stella, accompagnano il visitatore verso una “rivelazione”: “La stella è un’immagine fantastica, estremamente energetica, galleggia nello spazio…metafora di un miraggio irraggiungibile ma pensabile”, come spiega l’artista.
 
La mostra è accompagnata da un catalogo edito da SilvanaEditoriale (Cinisello Balsamo 2025, ill.), curato da Ilaria Bernardi, che include un testo di approfondimento della curatrice, schede delle opere esposte, vedute della mostra, e un apparato biografico e bibliografico.

Gilberto Zorio è nato nel 1944 ad Andorno Micca, Biella. Vive e lavora a Torino. Protagonista del movimento formatosi a metà degli anni Sessanta in Italia, denominato Arte povera, Zorio dal ’67 ad oggi oltre alle mostre in gallerie private ha esposto in numerose mostre personali allestite presso spazi espositivi pubblici come il Kunstmuseum di Lucerna (1976), lo Stedelijk Museum di Amsterdam (1979), la Pinacoteca di Ravenna (1982), la Biennale di Venezia (1978, 1980, 1986, 1995, 1997), il Kunstverein di Stoccarda (1985), il Centre d’Art Contemporain di Ginevra e il Centre Georges Pompidou di Parigi (1986), il Tel Aviv Museum e lo Stedelijk Van Abbemuseum di Eindhoven (1987), la Philadelphia Tyler School of Art (1988), il Museu Serralves di Oporto (1990), l’IVAM di Valencia (1991), il Centro per l’Arte Contemporanea Pecci di Prato, Documenta di Kassel e il Musèe d’Art Moderne et d’Art Contemporain di Nizza (1992), la Galleria Civica d’Arte Contemporanea di Trento (1996), il Dia Center for the Arts di New York (2001), Le Creux de l’Enfer Centre d’Art Contemporain in Thiers e l’Institut Mathildenhöhe di Darmstadt (2005), la Milton Keynes Gallery di Milton Keynes (2008), il MAMbo di Bologna (2009), il CGAC di Santiago de Compostela (2010), il MACRO di Roma (2010), il Castello di Rivoli (2017).





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