Trans Limite
Dal 04 Luglio 2015 al 20 Settembre 2015
Villa Lagarina | Trento
Luogo: Palazzo Libera
Indirizzo: via Garibaldi 10
Curatori: Antonio Cossu
Enti promotori:
- PROMART Trento
- Comune di Villa Lagarina
Costo del biglietto: ingresso gratuito
Telefono per informazioni: +39 0464 494222
E-Mail info: info@comune.villalagarina.tn.it
Sito ufficiale: http://www.promartrento.it
Trans Limite definisce il gioco tra i confini e il loro costante superamento.
Nel progetto artistico delle tre artiste provenienti dal Trentino, dall'Alto Adige e dal Tirolo, Annamaria Gelmi, Erika Inger e Gabriela Nepo-Stieldorf, si cela una chiara connotazione politica, già evidente nel titolo: nell'Europa unita, spazi culturali divisi da confini politici si sono ritrovati.
Ma il titolo rimanda anche alle analogie fra le tre posizioni culturali in esame. Tutte e tre le artiste si occupano dello spazio; lo spazio alpino, lo spazio della memoria culturale come esso si esprime nell'architettura propriamente alpina e gli stessi spazi personali interiori. Ogni volta lo sguardo su questi spazi evidenzia, nelle tre diverse espressioni creative, un aspetto particolare considerando che e come essi vengono costantemente integrati nella singola persona, costruendone l'identità. Ci si può quasi leggere il tentativo di definire, attraverso un tesoro culturale unico e all’interno della casa comune dell’Europa, una vera e propria identità europea. (Bernhard Braun)
La mostra propone agli appassionati d’arte le opere plastiche di tre scultrici contemporanee. Nei luoghi più vissuti del centro storico di Villa Lagarina e nei suggestivi spazi di Palazzo Libera, si alterneranno le lamine e i profili metallici di Annamaria Gelmi, i possenti marmi di Erika Inger e l’apparente leggerezza delle resine e dei plexiglass di Gabriela Nepo-Stieldorf.
Il susseguirsi di stimolanti visioni, insieme all’articolata programmazione di eventi collegati alla mostra, distribuiti nel corso del lungo calendario espositivo, saranno gli strumenti utili per favorire il pieno coinvolgimento nel progetto della sensibile e numerosa comunità lagarina. Tra le altre iniziative, una interessante tavola rotonda che, nell’ambito di Castelfolk (in programma a cavallo tra luglio ed agosto) vedrà confrontarsi una serie di importanti interlocutori sul tema “Natura, cultura, ambiente, turismo”, tutte materie sulle quali, negli anni, si è positivamente concentrata l’attenzione degli amministratori di Villa Lagarina.
La mostra, che ha già vissuto un suo primo momento al Castello di Landeck, in Tirolo (maggio/giugno 2015), nella primavera del prossimo anno sarà ospitata al Lanserhaus di Appiano, in Alto Adige, a completamento dell’itinerario transnazionale promosso sotto gli auspici dell’Euregio e con la condivisione di numerose istituzioni pubbliche e sostenitori privati.
Eventi collegati
Sabato 4 luglio 2015, 20:45
Corte di Palazzo Camelli
TROMBE A PALZZO
Concerto dell’International Trumpet Symposium 2015
Sabato 1 agosto 2015, 17:00
Castellano
NATURA, CULTURA, AMBIENTE, TURISMO. PARLIAMONE
Tavola rotonda nell’ambito di Castelfolk
Giovedì 10 settembre 2015, 10:30
Villa Lagarina
WORKSHOP CON L'ARTISTA
Visita guidata al percorso espositivo e workshop
Sabato 19 settembre 2015, 18:00
Villa Lagarina
DIE SCHOLLER
Visita guidata al percorso espositivo e un arrivederci ad Appiano 2016 con il concerto Jodl, polifonia arcaica alpina a tre voci
Annamari Gelmi
Annamaria Gelmi ha cominciato la sua carriera - dopo gli studi artistici a Trento, Milano e Venezia - nel 1970, con la prima mostra nella sua città natale. Nella sua opera, impronte, tracce e forme diverse si sono via via amalgamate in un unitario linguaggio espressivo. Negli anni ‘70 l’artista ha recepito il pensiero e le intuizioni della scuola di Francoforte e dell’esistenzialismo francese; successivamente, alla ricerca di un proprio autentico linguaggio, Gelmi ha vissuto la svolta verso l’astrattismo come liberazione. Ciò le ha consentito, soprattutto, di decostruire un paesaggio alpino sovracodificato. L’impresa si compie attraverso la sperimentazione di materiali sempre diversi: plastica, vetro, pietra, differenti tipi di carta, cartone e colore e con una predilezione particolare per l’acciaio. Osservando il suo percorso è evidente come Annamaria Gelmi sommi alla propria creatività artistica una grande esperienza di artigiana, nel vero e più nobile senso della parola. Dall’interrogare giocoso di figure geometriche di base, l’artista si imbatte in un tema che la accompagnerà e legherà per tutta la vita: lo spazio e il suo movimento. Che lo spazio non appare mai oggettivo bensì costantemente relativo e soggettivo ce lo insegnano, da lungo tempo, la filosofia e la fisica: Gelmi cerca di tematizzare questa visione nei suoi quadri, nelle sue sculture e nelle sue installazioni. Le sue forme plastiche non hanno accenti prospettici né volumi. Esse creano piuttosto lo spazio relazionale tra l’opera e l’osservatore, attraverso stratificazioni o rotazioni di forme/oggetti bidimensionali. Le sagome che l’artista ritaglia dall’acciaio ricordano quelle di Costantin Brancusi o di Jean Arp e la loro disposizione nello spazio cita quando Henry Moore, quando Alexander Calder. Gli interrogativi sulle forme della geometria e sull’ordine dello spazio sono la quotidiana occupazione dell’architettura. In effetti, Gelmi si sente molto legata all’architettura, sia con il suo uso dello spazio, sia con il suo rapporto con la memoria culturale. Ogni progetto, schizzo, disegno artistico è inevitabilmente messo a confronto con i temi dell’umanità e ogni parte di un edificio, la colonna, l’arco, l’apertura, il triangolo, il cerchio, l’ellisse, l’appuntito o il piatto, ciò che sostiene, ciò che carica, è già di per sé serbatoio e insieme memoria di un tesoro archetipico. Il tema del labirinto, secondo il quale serve un filo della memoria per poterlo attraversare in modo sicuro, è quindi un segno fortemente evocativo, ancora di più se esso è posto dentro o vicino a vecchi ruderi. Luoghi privilegiati nelle opere di Gelmi sono quindi le architetture storiche caricate di significato, o un paesaggio alpino molto diversificato. Solo lì può sbocciare la provocazione sottile e decostruttivista della sobrietà ascetica della sua forma artistica. Perché per attivare un lavoro di memoria così consapevole, l’abituale punto di vista dev’essere infranto. Negli anni queste turbolenze del consueto, dell’abituale, diventano, nell’opera dell’artista trentina, più poetiche servendosi, talvolta, anche di una sottile, velata ironia. Ciò riesce a disturbare l’osservatore come (farebbe) una lingua di colore acceso e abbagliante o un tulipano - che di solito aspira al sole - messo a testa in giù che si contrappone a uno proveniente da un vecchio castello. Con tali premesse, è evidente che, ben oltre la materialità dell’opera artistica, in Annamaria Gelmi s’impone il concetto mentale del senso originale della non-oggettività, del lavoro sull’inconcretezza.
www.annamariagelmi.com
Gabriela Nepo-Stieldorf
Nata a Kufstein, in Tirolo, Gabriela Nepo-Stieldorf vive e lavora a Innsbruck. L’artista lavora con creta, pietra, plexiglas e realizza installazioni. I suoi studi di medicina e pedagogia hanno lasciato tracce nella sua attività artistica. Perché il suo interesse prioritario è rivolto al corpo, o per meglio dire all’involucro del corpo, che non rappresenta altro che il tramite fra il Dentro e il Fuori, fra l’Io e l’Altro. L’involucro del corpo costituisce quel confine che ci delimita dallo spazio circostante, ma che, contemporaneamente, lo mette in comunicazione con l’interno. Quando Gabriela Nepo-Stieldorf in un’installazione fa rispecchiare nel luogo scelto per l’esposizione il “corpo del paesaggio” nel nostro proprio involucro, attiva una riflessione proprio su questi superamenti di confine e strategie di ritirata. Come altri corpi ci perviene anche il paesaggio, brusco o aperto, delicato o ruvido, organico e ambiguo o astratto e geometrico. Gabriela Nepo-Stieldorf si fa volentieri ispirare, per i suoi interventi artistici, dal viaggio fra corpi estranei del paesaggio. Scopre le rovine sparse dappertutto nelle terre del sud; pezzi, stracci, frammenti di nylon strappati, sventolano al vento su e davanti a strutture di ferro arrugginite. Questa immagine di tecnica inutile e fragile in un paesaggio bucolico sembra averla animata fino ad appendere un involucro di corpo a un’impalcatura, quasi un’immagine-memento che conduce alla riflessione sulla funzione della copertura e dello svelamento. Sono sempre codici, portamenti, drammi, rituali con i quali noi mascheriamo il nostro dentro. Nella maggior parte dei casi stiamo di fronte al nostro corpo, talvolta ci poniamo in modo gentile nei suoi confronti per poi di nuovo prendervi distanza. Allo stesso modo i nostri incontri con lo spazio naturale e sociale che ci circonda sono un gioco di ruoli che l’artista tematizza attraverso le sue installazioni e i simbolici involucri di corpo. Le tracce di queste esperienze di confine sono incise sulla superficie (la ceramista sa dell’importanza della superficie!). Come per gli strati d’intonaco delle vecchie case che si sfaldano, in cui è scritta la storia di molte generazioni, GN-S sovrappone strati su strati ai suoi torsi e involucri. Vecchie ferite si aprono, compaiono crepe; su questa pelle solcata si riesce talvolta a decifrare una abbozzata storia di vita, un forte incitamento a opporre resistenza alla perdita di questa autenticità nel virtuale dei media, a rimanere vigili di fronte all’illusione del perfezionamento tecnico dell’uomo, al suo sdoppiamento nel simulacro.
www.nepo-stieldorf.at/en
Erika Inger
Erika Inger, nata in Alto Adige e professionalmente occupata a Vienna e Lana, si fa ispirare, per la sua arte, dal luogo in cui si trova. Questo vale sia per la scelta dei materiali, sia per la forma. La comunicazione con il luogo determina il concetto estetico, ma da essa si generano gli aspetti sociali, storici e politici che sfociano nelle sue opere. Una parte dell’itinerario creativo di Erika Inger si può definire Land-Art in senso stretto, che lei elabora nella pietra, nel legno e nel metallo. Ma anche le opere che, al primo sguardo, non si farebbero rientrare in questa categoria, sono parte dello spazio in cui sono collocate. Non esistono per se stesse, da sole, autonome, ma trasformano lo spazio. Un’osservatrice non si trova di fronte a un’opera, ma in uno spazio che si fa ora vivere di nuovo, secondo l’invenzione dell’artista, che mostra ed esprime qualcosa che senza questo intervento non avrebbe mai mostrato o potuto esprimere. Il paesaggio vissuto da chi ci sta di fronte si rivela, improvvisamente, come proprio paesaggio interiore, che va misurato ex novo. Mostre o situazioni museali, in cui le opere dell’artista sono inevitabilmente distolte da questo concetto costitutivo, rappresentano quindi sempre delle eccezioni. Ciò, in particolare, quando Erika Inger lavora con la pietra oppure con oggetti di recupero, che lei è in grado di rielaborare caratterizzando il pezzo grezzo, immedesimandosi in esso. La storia culturale carica roccia e pietra di significati arcaici. Esse rappresentano la durata, la forza, ma anche il lusso. Si tratta di materiali della natura che hanno dietro di sé un lungo processo di sedimentazione che ha conferito ad ogni oggetto una propria intrinseca personalità individuale. Esso appare chiuso in sé, mostra una quiete statica o è aperto e pieno di tensione dinamica e di forza. Attira l’attenzione con la sua struttura plastica e con la sua lucentezza, oppure si cela in un involucro discreto e monotono. Mostra un prodigo gioco di colori, oppure si accontenta delle ombreggiature del bianco e nero. Erika Inger mostra grande rispetto di fronte a ciò che si è formato in questo modo nella natura e cerca, con il suo intervento artistico, di mantenere sempre un perfetto equilibrio con la finzione compositiva. L’impresa equivale quasi a un’interpretazione della finzione in considerazione del compito che di volta in volta l’artista si è prefissato: un cauto scandagliare dei punti di intersezione fra natura e cultura, per favorire l’incontro tra gli estremi che chiude il cerchio centenario del suo Bernhard Braun, Theolog. Fakultät Innsbruck ambiente alpino.
www.erika-inger.com
Nel progetto artistico delle tre artiste provenienti dal Trentino, dall'Alto Adige e dal Tirolo, Annamaria Gelmi, Erika Inger e Gabriela Nepo-Stieldorf, si cela una chiara connotazione politica, già evidente nel titolo: nell'Europa unita, spazi culturali divisi da confini politici si sono ritrovati.
Ma il titolo rimanda anche alle analogie fra le tre posizioni culturali in esame. Tutte e tre le artiste si occupano dello spazio; lo spazio alpino, lo spazio della memoria culturale come esso si esprime nell'architettura propriamente alpina e gli stessi spazi personali interiori. Ogni volta lo sguardo su questi spazi evidenzia, nelle tre diverse espressioni creative, un aspetto particolare considerando che e come essi vengono costantemente integrati nella singola persona, costruendone l'identità. Ci si può quasi leggere il tentativo di definire, attraverso un tesoro culturale unico e all’interno della casa comune dell’Europa, una vera e propria identità europea. (Bernhard Braun)
La mostra propone agli appassionati d’arte le opere plastiche di tre scultrici contemporanee. Nei luoghi più vissuti del centro storico di Villa Lagarina e nei suggestivi spazi di Palazzo Libera, si alterneranno le lamine e i profili metallici di Annamaria Gelmi, i possenti marmi di Erika Inger e l’apparente leggerezza delle resine e dei plexiglass di Gabriela Nepo-Stieldorf.
Il susseguirsi di stimolanti visioni, insieme all’articolata programmazione di eventi collegati alla mostra, distribuiti nel corso del lungo calendario espositivo, saranno gli strumenti utili per favorire il pieno coinvolgimento nel progetto della sensibile e numerosa comunità lagarina. Tra le altre iniziative, una interessante tavola rotonda che, nell’ambito di Castelfolk (in programma a cavallo tra luglio ed agosto) vedrà confrontarsi una serie di importanti interlocutori sul tema “Natura, cultura, ambiente, turismo”, tutte materie sulle quali, negli anni, si è positivamente concentrata l’attenzione degli amministratori di Villa Lagarina.
La mostra, che ha già vissuto un suo primo momento al Castello di Landeck, in Tirolo (maggio/giugno 2015), nella primavera del prossimo anno sarà ospitata al Lanserhaus di Appiano, in Alto Adige, a completamento dell’itinerario transnazionale promosso sotto gli auspici dell’Euregio e con la condivisione di numerose istituzioni pubbliche e sostenitori privati.
Eventi collegati
Sabato 4 luglio 2015, 20:45
Corte di Palazzo Camelli
TROMBE A PALZZO
Concerto dell’International Trumpet Symposium 2015
Sabato 1 agosto 2015, 17:00
Castellano
NATURA, CULTURA, AMBIENTE, TURISMO. PARLIAMONE
Tavola rotonda nell’ambito di Castelfolk
Giovedì 10 settembre 2015, 10:30
Villa Lagarina
WORKSHOP CON L'ARTISTA
Visita guidata al percorso espositivo e workshop
Sabato 19 settembre 2015, 18:00
Villa Lagarina
DIE SCHOLLER
Visita guidata al percorso espositivo e un arrivederci ad Appiano 2016 con il concerto Jodl, polifonia arcaica alpina a tre voci
Annamari Gelmi
Annamaria Gelmi ha cominciato la sua carriera - dopo gli studi artistici a Trento, Milano e Venezia - nel 1970, con la prima mostra nella sua città natale. Nella sua opera, impronte, tracce e forme diverse si sono via via amalgamate in un unitario linguaggio espressivo. Negli anni ‘70 l’artista ha recepito il pensiero e le intuizioni della scuola di Francoforte e dell’esistenzialismo francese; successivamente, alla ricerca di un proprio autentico linguaggio, Gelmi ha vissuto la svolta verso l’astrattismo come liberazione. Ciò le ha consentito, soprattutto, di decostruire un paesaggio alpino sovracodificato. L’impresa si compie attraverso la sperimentazione di materiali sempre diversi: plastica, vetro, pietra, differenti tipi di carta, cartone e colore e con una predilezione particolare per l’acciaio. Osservando il suo percorso è evidente come Annamaria Gelmi sommi alla propria creatività artistica una grande esperienza di artigiana, nel vero e più nobile senso della parola. Dall’interrogare giocoso di figure geometriche di base, l’artista si imbatte in un tema che la accompagnerà e legherà per tutta la vita: lo spazio e il suo movimento. Che lo spazio non appare mai oggettivo bensì costantemente relativo e soggettivo ce lo insegnano, da lungo tempo, la filosofia e la fisica: Gelmi cerca di tematizzare questa visione nei suoi quadri, nelle sue sculture e nelle sue installazioni. Le sue forme plastiche non hanno accenti prospettici né volumi. Esse creano piuttosto lo spazio relazionale tra l’opera e l’osservatore, attraverso stratificazioni o rotazioni di forme/oggetti bidimensionali. Le sagome che l’artista ritaglia dall’acciaio ricordano quelle di Costantin Brancusi o di Jean Arp e la loro disposizione nello spazio cita quando Henry Moore, quando Alexander Calder. Gli interrogativi sulle forme della geometria e sull’ordine dello spazio sono la quotidiana occupazione dell’architettura. In effetti, Gelmi si sente molto legata all’architettura, sia con il suo uso dello spazio, sia con il suo rapporto con la memoria culturale. Ogni progetto, schizzo, disegno artistico è inevitabilmente messo a confronto con i temi dell’umanità e ogni parte di un edificio, la colonna, l’arco, l’apertura, il triangolo, il cerchio, l’ellisse, l’appuntito o il piatto, ciò che sostiene, ciò che carica, è già di per sé serbatoio e insieme memoria di un tesoro archetipico. Il tema del labirinto, secondo il quale serve un filo della memoria per poterlo attraversare in modo sicuro, è quindi un segno fortemente evocativo, ancora di più se esso è posto dentro o vicino a vecchi ruderi. Luoghi privilegiati nelle opere di Gelmi sono quindi le architetture storiche caricate di significato, o un paesaggio alpino molto diversificato. Solo lì può sbocciare la provocazione sottile e decostruttivista della sobrietà ascetica della sua forma artistica. Perché per attivare un lavoro di memoria così consapevole, l’abituale punto di vista dev’essere infranto. Negli anni queste turbolenze del consueto, dell’abituale, diventano, nell’opera dell’artista trentina, più poetiche servendosi, talvolta, anche di una sottile, velata ironia. Ciò riesce a disturbare l’osservatore come (farebbe) una lingua di colore acceso e abbagliante o un tulipano - che di solito aspira al sole - messo a testa in giù che si contrappone a uno proveniente da un vecchio castello. Con tali premesse, è evidente che, ben oltre la materialità dell’opera artistica, in Annamaria Gelmi s’impone il concetto mentale del senso originale della non-oggettività, del lavoro sull’inconcretezza.
www.annamariagelmi.com
Gabriela Nepo-Stieldorf
Nata a Kufstein, in Tirolo, Gabriela Nepo-Stieldorf vive e lavora a Innsbruck. L’artista lavora con creta, pietra, plexiglas e realizza installazioni. I suoi studi di medicina e pedagogia hanno lasciato tracce nella sua attività artistica. Perché il suo interesse prioritario è rivolto al corpo, o per meglio dire all’involucro del corpo, che non rappresenta altro che il tramite fra il Dentro e il Fuori, fra l’Io e l’Altro. L’involucro del corpo costituisce quel confine che ci delimita dallo spazio circostante, ma che, contemporaneamente, lo mette in comunicazione con l’interno. Quando Gabriela Nepo-Stieldorf in un’installazione fa rispecchiare nel luogo scelto per l’esposizione il “corpo del paesaggio” nel nostro proprio involucro, attiva una riflessione proprio su questi superamenti di confine e strategie di ritirata. Come altri corpi ci perviene anche il paesaggio, brusco o aperto, delicato o ruvido, organico e ambiguo o astratto e geometrico. Gabriela Nepo-Stieldorf si fa volentieri ispirare, per i suoi interventi artistici, dal viaggio fra corpi estranei del paesaggio. Scopre le rovine sparse dappertutto nelle terre del sud; pezzi, stracci, frammenti di nylon strappati, sventolano al vento su e davanti a strutture di ferro arrugginite. Questa immagine di tecnica inutile e fragile in un paesaggio bucolico sembra averla animata fino ad appendere un involucro di corpo a un’impalcatura, quasi un’immagine-memento che conduce alla riflessione sulla funzione della copertura e dello svelamento. Sono sempre codici, portamenti, drammi, rituali con i quali noi mascheriamo il nostro dentro. Nella maggior parte dei casi stiamo di fronte al nostro corpo, talvolta ci poniamo in modo gentile nei suoi confronti per poi di nuovo prendervi distanza. Allo stesso modo i nostri incontri con lo spazio naturale e sociale che ci circonda sono un gioco di ruoli che l’artista tematizza attraverso le sue installazioni e i simbolici involucri di corpo. Le tracce di queste esperienze di confine sono incise sulla superficie (la ceramista sa dell’importanza della superficie!). Come per gli strati d’intonaco delle vecchie case che si sfaldano, in cui è scritta la storia di molte generazioni, GN-S sovrappone strati su strati ai suoi torsi e involucri. Vecchie ferite si aprono, compaiono crepe; su questa pelle solcata si riesce talvolta a decifrare una abbozzata storia di vita, un forte incitamento a opporre resistenza alla perdita di questa autenticità nel virtuale dei media, a rimanere vigili di fronte all’illusione del perfezionamento tecnico dell’uomo, al suo sdoppiamento nel simulacro.
www.nepo-stieldorf.at/en
Erika Inger
Erika Inger, nata in Alto Adige e professionalmente occupata a Vienna e Lana, si fa ispirare, per la sua arte, dal luogo in cui si trova. Questo vale sia per la scelta dei materiali, sia per la forma. La comunicazione con il luogo determina il concetto estetico, ma da essa si generano gli aspetti sociali, storici e politici che sfociano nelle sue opere. Una parte dell’itinerario creativo di Erika Inger si può definire Land-Art in senso stretto, che lei elabora nella pietra, nel legno e nel metallo. Ma anche le opere che, al primo sguardo, non si farebbero rientrare in questa categoria, sono parte dello spazio in cui sono collocate. Non esistono per se stesse, da sole, autonome, ma trasformano lo spazio. Un’osservatrice non si trova di fronte a un’opera, ma in uno spazio che si fa ora vivere di nuovo, secondo l’invenzione dell’artista, che mostra ed esprime qualcosa che senza questo intervento non avrebbe mai mostrato o potuto esprimere. Il paesaggio vissuto da chi ci sta di fronte si rivela, improvvisamente, come proprio paesaggio interiore, che va misurato ex novo. Mostre o situazioni museali, in cui le opere dell’artista sono inevitabilmente distolte da questo concetto costitutivo, rappresentano quindi sempre delle eccezioni. Ciò, in particolare, quando Erika Inger lavora con la pietra oppure con oggetti di recupero, che lei è in grado di rielaborare caratterizzando il pezzo grezzo, immedesimandosi in esso. La storia culturale carica roccia e pietra di significati arcaici. Esse rappresentano la durata, la forza, ma anche il lusso. Si tratta di materiali della natura che hanno dietro di sé un lungo processo di sedimentazione che ha conferito ad ogni oggetto una propria intrinseca personalità individuale. Esso appare chiuso in sé, mostra una quiete statica o è aperto e pieno di tensione dinamica e di forza. Attira l’attenzione con la sua struttura plastica e con la sua lucentezza, oppure si cela in un involucro discreto e monotono. Mostra un prodigo gioco di colori, oppure si accontenta delle ombreggiature del bianco e nero. Erika Inger mostra grande rispetto di fronte a ciò che si è formato in questo modo nella natura e cerca, con il suo intervento artistico, di mantenere sempre un perfetto equilibrio con la finzione compositiva. L’impresa equivale quasi a un’interpretazione della finzione in considerazione del compito che di volta in volta l’artista si è prefissato: un cauto scandagliare dei punti di intersezione fra natura e cultura, per favorire l’incontro tra gli estremi che chiude il cerchio centenario del suo Bernhard Braun, Theolog. Fakultät Innsbruck ambiente alpino.
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