Aldo Rossi. Teatri/ Emilio Vedova. Lacerazione. Plurimi/Binari ‘77- ‘78
Dal 30 Giugno 2012 al 25 Novembre 2012
Venezia
Luogo: Fondazione Emilio e Annabianca Vedova
Indirizzo: Magazzino del Sale, Zattere 266
Orari: 10.30-18; chiuso martedì
Curatori: Fabrizio Gazzarri, Germano Celant
Costo del biglietto: unico per le due mostre: intero € 10, ridotto € 5
Telefono per informazioni: +39 041 5226626/ 041 7795503
E-Mail info: info@fondazionevedova.org
Sito ufficiale: http://www.fondazionevedova.org
La Fondazione Emilio e Annabianca Vedova dal 30 giugno al 25 novembre presenta, in contemporanea negli spazi espositivi sulle Zattere, due straordinarie mostre: Aldo Rossi. Teatri, al Magazzino del Sale – curata da Germano Celant e nell’architettura dell’allestimento ideata da Gae Aulenti – e, nello Spazio Vedova, il ciclo Lacerazione. Plurimi/Binari ’77/’78 dell’artista veneziano a cura di Fabrizio Gazzarri.
Aldo Rossi. Teatri
a cura di Germano Celant
L’esposizione riunisce per la prima volta quindici progetti dell’architetto-designer milanese dai primi anni sessanta al 1997, attraverso quasi 120 tra studi e schizzi architettonici, modelli di studio e di concorso, disegni, oggetti di scena o riguardanti il tema teatrale e le sue diverse articolazioni, sia in architettura che nel design: dalle architetture progettate e costruite, alle scenografie per opera e balletto, fino agli allestimenti d’impatto spettacolare. La mostra è a cura di Germano Celant, mentre l’architettura dell’allestimento è affidata allo Studio Gae Aulenti Architetti Associati.
Costruire il teatro; gli esempi storici li incontravo tutti nella terra padana e si confondono e si sovrappongono come la musica dell’opera lirica nelle feste di paese: Parma, Padova, Pavia, Piacenza, Reggio e ancora Venezia, Milano e tutte le capitali padane dove il teatro accende le sue luci nella nebbia persistente. La stessa nebbia che penetra, come l’effetto di una macchina teatrale, nella galleria milanese. (Aldo Rossi)
Il teatro, come edificio e come concezione dello spazio, ha un significato del tutto particolare nel lavoro e nella vita di Aldo Rossi. Dal progetto del Teatro Paganini a Parma (1964), al Teatro Carlo Felice di Genova (1983-1989), passando per il Teatro del Mondo presentato a Venezia (1979) e per il progetto del Teatro di Francoforte sull’Oder (1994), arrivando fino al progetto di ricostruzione del Gran Teatro la Fenice per la città lagunare, l’interesse che Rossi ha dedicato al soggetto si è soffermato anche sulla creazione di oggetti d’affezione, quale il Teatrino scientifico (1978), e si è intrecciato con la produzione di oggetti di design, come il servizio da tè e caffè Tea and Coffee Piazza per Alessi (1983), senza dimenticare le scene realizzate per opere quali Madama Butterfly (1986) o tragedie come Elettra (1993), dove la sua esperienza progettuale si è legata al momento più concreto della rappresentazione.
Per quest’occasione è stato ricostruito in grande scala il modello del Teatro del Mondo, per riportarlo idealmente nella porzione di laguna dove era approdato per la prima volta, durante la Biennale Teatro del 1979-1980 quando, caricato su una chiatta trainata da un rimorchiatore, aveva dapprima raggiunto Punta della Dogana e poi piazza San Marco, per ripartire infine, sempre via mare, alla volta di Dubrovnik in Croazia. Il grande modello di 5 metri di altezza circa accoglie i visitatori nell’area dedicata a quel piccolo e famosissimo teatro a pianta centrale, che senza dubbio è una delle architetture più note di Rossi e che ancora è vivo nella memoria di coloro che hanno avuto la fortuna di vederlo muoversi sull’acqua, colpito dal riverbero della luce dell’alba e del tramonto, o di assistere a uno spettacolo o a un concerto, affacciati dalle balconate costruite con legno e tubi innocenti, prima che venisse smontato e andasse poi distrutto.
L’architettura dell’allestimento – arricchito dei materiali informativi e descrittivi della ricerca – è curata dallo Studio Gae Aulenti Architetti Associati e le opere provengono da collezioni pubbliche e istituzionali e da musei e archivi aziendali tra cui la Fondazione Aldo Rossi (Milano), la Fondazione Teatro La Fenice, il MAXXI – Architettura (Roma), il Museo Alessi (Suna-Verbania) e gli archivi di Molteni & C. (Giussano), Unifor (Turate) e Bruno Longoni Atelier d’Arredamento (Cantù). Inoltre, importanti nuclei collezionistici privati hanno generosamente messo a disposizione materiali unici e talora inediti.
La mostra sarà accompagnata da un volume pubblicato da Skira che presenta, attraverso circa 300 immagini, l’interezza dei progetti di Rossi legati al teatro, introdotti dai suoi scritti autografi e correlati dalla documentazione d’epoca. Il volume è inoltre arricchito dai contributi critici del curatore e di Alberto Ferlenga.
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Emilio Vedova Lacerazione. Plurimi/Binari ‘77- ‘78
a cura di Fabrizio Gazzarri
La Fondazione Emilio e Annabianca Vedova in occasione della mostra Lacerazione. Plurimi/Binari ’77 /’78, allestita nello Spazio Vedova e curata da Fabrizio Gazzarri, presenta per la prima volta insieme 3 cicli completi (II, III e il IV, inedito) e alcuni Plurimi/Binari singoli. Il luogo dove il ciclo Lacerazione è installato, nell’ex squero cinquecentesco dove Vedova per lungo tempo ha lavorato, è esattamente lo stesso dove nacque tanti anni fa e questo rappresenta, un’occasione straordinaria per un ulteriore approfondimento del suo lavoro, oltreché di un appassionato e affettuoso ricordo del grande pittore veneziano.
La scelta del titolo, nelle abitudini di Emilio Vedova, era operazione di particolare importanza e spesso assai laboriosa perché suggeriva la prima indicazione di poetica e il suo nucleo problematico ed emozionale. Questa ricerca, spesso tormentata ma di estremo rigore, produceva molto materiale che apriva e moltiplicava un’inarrestabile sequenza di riflessioni scritte, schizzi, registrazioni, letture e quanto altro potesse entrare in dialogo serrato con il suo progetto di lavoro. Lacerazione, definizione che suona inusuale e sorprendente nel panorama delle opere vedoviane perché indica una posizione di natura diversa rispetto al Vedova più conosciuto, esprime tutta la passione e l’intensità di quel disagio esistenziale testimoniato con distacco e lontananza. Per Vedova il richiamo verso una vita umanamente autentica era diventato fortissimo, oltre la contingenza sociale e politica, condizione cercata nella solitudine dello studio e nel suo silenzio intensamente vissuto, laddove la ragione non può spiegare e non può decidere. Lacerazione è anche punto di risonanza di alcuni suoi riferimenti, amati e chiamati, come Goya, un certo Tintoretto ma più ancora Giandomenico Tiepolo e la sua malinconica, grigia e precipiziale caduta di Venezia.
I Plurimi/Binari esprimono una condizione di particolare raffreddamento interiore, graffiti da alfabeti indecifrabili, spaccati di luce bianca su “vuoti insostenibili”, presenze e tracce di umano in un camminare senza meta e gravità. E ancora, scritture bianco su nero in automatico, poi dilavate, cancellate e negate. Diversamente dai Plurimi precedenti, aggressivi e proiettati verso l’esterno a occupare e scontrarsi con spazi e situazioni, i Plurimi/Binari percorrono silenziosamente inquietanti traiettorie parallele senza contatti e traumi rumorosi, assiderati frammenti e schegge di vita. I grandi cicli di opere erano progettati da Emilio Vedova con attente e intense riflessioni sia per il contenuto poetico che per quello tecnico e dei materiali. I Plurimi/Binari, così come i primi Plurimi, vennero definiti da Vedova “Spazi/Azione”, al di là quindi di ogni catalogazione ristretta semplicemente alla pittura o alla scultura, per sottolineare il senso incombente di un evento che si rinnova di volta in volta e nel quale il pubblico è chiamato, come spesso accade con Emilio Vedova, a interagire con le opere stesse. I Plurimi/Binari sono dipinti su pannelli asimmetrici in legno, scorrevoli in parallelo su binari in gruppi di 2 o 3, sovrapponendosi creano collage in movimento, stretti da forti strutture in acciaio che ne limitano e comprimono lo spazio di scorrimento ma ne incrementano l’energia espressiva. Vedova ne realizzò alla fine degli anni ‘70 cinque cicli (I, II, III, IV e V), ognuno composto da dieci forme in quattro inquadrature.
Aldo Rossi. Teatri
a cura di Germano Celant
L’esposizione riunisce per la prima volta quindici progetti dell’architetto-designer milanese dai primi anni sessanta al 1997, attraverso quasi 120 tra studi e schizzi architettonici, modelli di studio e di concorso, disegni, oggetti di scena o riguardanti il tema teatrale e le sue diverse articolazioni, sia in architettura che nel design: dalle architetture progettate e costruite, alle scenografie per opera e balletto, fino agli allestimenti d’impatto spettacolare. La mostra è a cura di Germano Celant, mentre l’architettura dell’allestimento è affidata allo Studio Gae Aulenti Architetti Associati.
Costruire il teatro; gli esempi storici li incontravo tutti nella terra padana e si confondono e si sovrappongono come la musica dell’opera lirica nelle feste di paese: Parma, Padova, Pavia, Piacenza, Reggio e ancora Venezia, Milano e tutte le capitali padane dove il teatro accende le sue luci nella nebbia persistente. La stessa nebbia che penetra, come l’effetto di una macchina teatrale, nella galleria milanese. (Aldo Rossi)
Il teatro, come edificio e come concezione dello spazio, ha un significato del tutto particolare nel lavoro e nella vita di Aldo Rossi. Dal progetto del Teatro Paganini a Parma (1964), al Teatro Carlo Felice di Genova (1983-1989), passando per il Teatro del Mondo presentato a Venezia (1979) e per il progetto del Teatro di Francoforte sull’Oder (1994), arrivando fino al progetto di ricostruzione del Gran Teatro la Fenice per la città lagunare, l’interesse che Rossi ha dedicato al soggetto si è soffermato anche sulla creazione di oggetti d’affezione, quale il Teatrino scientifico (1978), e si è intrecciato con la produzione di oggetti di design, come il servizio da tè e caffè Tea and Coffee Piazza per Alessi (1983), senza dimenticare le scene realizzate per opere quali Madama Butterfly (1986) o tragedie come Elettra (1993), dove la sua esperienza progettuale si è legata al momento più concreto della rappresentazione.
Per quest’occasione è stato ricostruito in grande scala il modello del Teatro del Mondo, per riportarlo idealmente nella porzione di laguna dove era approdato per la prima volta, durante la Biennale Teatro del 1979-1980 quando, caricato su una chiatta trainata da un rimorchiatore, aveva dapprima raggiunto Punta della Dogana e poi piazza San Marco, per ripartire infine, sempre via mare, alla volta di Dubrovnik in Croazia. Il grande modello di 5 metri di altezza circa accoglie i visitatori nell’area dedicata a quel piccolo e famosissimo teatro a pianta centrale, che senza dubbio è una delle architetture più note di Rossi e che ancora è vivo nella memoria di coloro che hanno avuto la fortuna di vederlo muoversi sull’acqua, colpito dal riverbero della luce dell’alba e del tramonto, o di assistere a uno spettacolo o a un concerto, affacciati dalle balconate costruite con legno e tubi innocenti, prima che venisse smontato e andasse poi distrutto.
L’architettura dell’allestimento – arricchito dei materiali informativi e descrittivi della ricerca – è curata dallo Studio Gae Aulenti Architetti Associati e le opere provengono da collezioni pubbliche e istituzionali e da musei e archivi aziendali tra cui la Fondazione Aldo Rossi (Milano), la Fondazione Teatro La Fenice, il MAXXI – Architettura (Roma), il Museo Alessi (Suna-Verbania) e gli archivi di Molteni & C. (Giussano), Unifor (Turate) e Bruno Longoni Atelier d’Arredamento (Cantù). Inoltre, importanti nuclei collezionistici privati hanno generosamente messo a disposizione materiali unici e talora inediti.
La mostra sarà accompagnata da un volume pubblicato da Skira che presenta, attraverso circa 300 immagini, l’interezza dei progetti di Rossi legati al teatro, introdotti dai suoi scritti autografi e correlati dalla documentazione d’epoca. Il volume è inoltre arricchito dai contributi critici del curatore e di Alberto Ferlenga.
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Emilio Vedova Lacerazione. Plurimi/Binari ‘77- ‘78
a cura di Fabrizio Gazzarri
La Fondazione Emilio e Annabianca Vedova in occasione della mostra Lacerazione. Plurimi/Binari ’77 /’78, allestita nello Spazio Vedova e curata da Fabrizio Gazzarri, presenta per la prima volta insieme 3 cicli completi (II, III e il IV, inedito) e alcuni Plurimi/Binari singoli. Il luogo dove il ciclo Lacerazione è installato, nell’ex squero cinquecentesco dove Vedova per lungo tempo ha lavorato, è esattamente lo stesso dove nacque tanti anni fa e questo rappresenta, un’occasione straordinaria per un ulteriore approfondimento del suo lavoro, oltreché di un appassionato e affettuoso ricordo del grande pittore veneziano.
La scelta del titolo, nelle abitudini di Emilio Vedova, era operazione di particolare importanza e spesso assai laboriosa perché suggeriva la prima indicazione di poetica e il suo nucleo problematico ed emozionale. Questa ricerca, spesso tormentata ma di estremo rigore, produceva molto materiale che apriva e moltiplicava un’inarrestabile sequenza di riflessioni scritte, schizzi, registrazioni, letture e quanto altro potesse entrare in dialogo serrato con il suo progetto di lavoro. Lacerazione, definizione che suona inusuale e sorprendente nel panorama delle opere vedoviane perché indica una posizione di natura diversa rispetto al Vedova più conosciuto, esprime tutta la passione e l’intensità di quel disagio esistenziale testimoniato con distacco e lontananza. Per Vedova il richiamo verso una vita umanamente autentica era diventato fortissimo, oltre la contingenza sociale e politica, condizione cercata nella solitudine dello studio e nel suo silenzio intensamente vissuto, laddove la ragione non può spiegare e non può decidere. Lacerazione è anche punto di risonanza di alcuni suoi riferimenti, amati e chiamati, come Goya, un certo Tintoretto ma più ancora Giandomenico Tiepolo e la sua malinconica, grigia e precipiziale caduta di Venezia.
I Plurimi/Binari esprimono una condizione di particolare raffreddamento interiore, graffiti da alfabeti indecifrabili, spaccati di luce bianca su “vuoti insostenibili”, presenze e tracce di umano in un camminare senza meta e gravità. E ancora, scritture bianco su nero in automatico, poi dilavate, cancellate e negate. Diversamente dai Plurimi precedenti, aggressivi e proiettati verso l’esterno a occupare e scontrarsi con spazi e situazioni, i Plurimi/Binari percorrono silenziosamente inquietanti traiettorie parallele senza contatti e traumi rumorosi, assiderati frammenti e schegge di vita. I grandi cicli di opere erano progettati da Emilio Vedova con attente e intense riflessioni sia per il contenuto poetico che per quello tecnico e dei materiali. I Plurimi/Binari, così come i primi Plurimi, vennero definiti da Vedova “Spazi/Azione”, al di là quindi di ogni catalogazione ristretta semplicemente alla pittura o alla scultura, per sottolineare il senso incombente di un evento che si rinnova di volta in volta e nel quale il pubblico è chiamato, come spesso accade con Emilio Vedova, a interagire con le opere stesse. I Plurimi/Binari sono dipinti su pannelli asimmetrici in legno, scorrevoli in parallelo su binari in gruppi di 2 o 3, sovrapponendosi creano collage in movimento, stretti da forti strutture in acciaio che ne limitano e comprimono lo spazio di scorrimento ma ne incrementano l’energia espressiva. Vedova ne realizzò alla fine degli anni ‘70 cinque cicli (I, II, III, IV e V), ognuno composto da dieci forme in quattro inquadrature.
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