Adriana Pullio. L’infinito nelle geometrie

Opera di Adriana Pullio
Dal 21 April 2018 al 19 May 2018
Brescia
Luogo: Galleria ab/arte
Indirizzo: vicolo San Nicola 6
Orari: dal giovedì al sabato: ore 9.30 - 12,30 e 15,30 - 19,30.
Curatori: Andrea Barretta
Costo del biglietto: Ingresso gratuito
Telefono per informazioni: +39 030 3759 779
E-Mail info: info@abarte.it
Sito ufficiale: http://www.abarte.it
Figlia artistica delle avanguardie storiche, Adriana Pullio nasce a Luino nel 1943, in provincia di Varese sulla sponda orientale del lago Maggiore. Dopo pochi anni si trasferisce con la famiglia a Milano nel 1953. Diplomata all’Accademia di Belle Arti di Brera, presso la cattedra di pittura di Mauro Reggiani nel 1967, ha insegnato disegno e storia dell’arte, e ha collaborato con studi di architettura tra cui quello di Piero Bottoni. Personaggio dai molti interessi, in comune con la nostra artista, che non la sola urbanistica in un intenso rapporto con le arti che lo portano alla Triennale, e tra i protagonisti del Razionalismo. Fuori dai rituali mondani dell’arte, ha frequentato l’ambiente culturale dei Navigli, e ha conosciuto Giovanni Campus e Mario Nigro, che aderì al Movimento Arte Concreta di Gillo Dorfles, seguendo la via dell’astrattismo. Poi anche Fontana e Minguzzi, che per un periodo ha avuto il suo laboratorio nel suo stesso palazzo a Milano, tutti proiettati in un panorama internazionale.
Ed è questa la Milano di quegli anni in cui ha avuto la fortuna di esserci, anche nei luoghi d’arte che erano più d’incontro, di ritrovo, lontani dall’attuale “mercato” contemporaneo, in quel tempo di là da venire. Luoghi che sono entrati nella storia dell’arte, come la “Galleria Blu”, la “Vismara”, “Il Milione”, con il gruppo degli astrattisti: Soldati, Rho, Radice, Reggiani, Bogliardi e Ghiringhelli, e che portò in Italia Georges Rouault e Kandinsky.
Nelle sue opere assembla linee in cui non è più individuabile un riferimento imitativo, nell’azzeramento della figura e nel tentativo - riuscito - di dare immagini mediate dalla prospettiva del colore, e dal rapporto che intercorre con il piano, tra spazio e profilo, come per un caleidoscopio da cui trarre quell’ispirazione che fu apripista ai più innovativi gruppi artistici del secondo Novecento. Lo fa per empatia, nell’essere artista che è la sua stessa esistenza. E ne rappresenta l’indipendenza e al contempo l’accessibilità per crescere in un panorama europeo e non solo, e allontanarsi sempre più da assetti negativi, guardando alla sperimentazione di quanti sentivano l’urgenza - alcuni il dovere - di attuare quel nuovo tipo di arte, tra entusiasmi pittorici e provocazioni, oppure semplificazioni quale l’ordine della geometria. Alcuni di questi artisti sono stati più vicini, e hanno avuto un ruolo importante nella sua vita. Tra questi: Mauro Reggiani e Mario Radice (cui ha dedicato la sua tesi). Soprattutto con Reggiani, in collaborazione tra stima e amicizia, avendo dal 1967 e fino alla sua morte nel 1980, condiviso il suo studio in Via Solferino a Milano, e anche quello di Albissola Marina in Liguria, Inizia come artista totale, tra disegni, chine, incisioni, pitture, sculture. Non solo. Inizialmente ha praticato anche la scultura e con buoni risultati se nel 1962 riceve, nell’ambito del “Premio Avezzano” assegnato a Remo Brindisi, il “Premio Marsica” per l’opera: “Testa di fanciulla”. In questa Milano d’avanguardie traccia la sua strada, certa che per gli artisti e per l’arte la componente dell’estro è soltanto quella sostenuta dalla cultura, pur in eventi non scevri da condizionamenti e legami politici, sociali e intellettuali, che erano alla base dell’attività creativa negli anni centrali del Novecento, e per lei foriera di evoluzioni cui non era estranea un’economia difficile per molti.
Oggi pone un’istanza artistica che iscrive il valore etico nella cultura e non nel mercato, allo slancio del fare più che all’isteria del déjà vu, al piacere di momenti dedicati piuttosto che alla fretta di una produzione scadente. Perché il mondo in crisi in cui viviamo ha messo in difficoltà anche l’artista, e la società dei consumi tende a perdere la grammatica del turbamento, quella ricerca anche estetica, che invece propone.
Andrea Barretta
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