She-dragons: The Untold story by Olga Esther
Olga Esther, Burning the Script, 2025, Olio su pannello, 40 × 50 cm | Courtesy Dorothy Circus Gallery | © Olga Esther
Dal 4 December 2025 al 4 December 2025
Londra |
Luogo: Dorothy Circus Gallery London
Indirizzo: 35 Connaught Street, London W2 2AZ
Orari: Mar - Sab 10.30 - 18.30 | Dom - Lun chiuso
Costo del biglietto: Ingresso libero
Telefono per informazioni: +44 (0) 755 192 9124
E-Mail info: info@dorothycircusgallery.uk
Sito ufficiale: http://www.dorothycircusgallery.com
Dorothy Circus Gallery è lieta di presentare She-dragons: The Untold Stories, una potente mostra personale di Olga Esther che mette in discussione le storie che ereditiamo e ci invita ad immaginarne di nuove. Con questa mostra, l’artista restituisce voce alle protagoniste dimenticate delle fiabe: le she-dragons a cui non è mai stato permesso di raccontarsi, le principesse rinchiuse in torri di silenzio.
«Da bambina mi insegnavano che i draghi erano sempre feroci e i principi sempre coraggiosi», ricorda l’artista. «Le principesse, invece, aspettavano in silenzio di essere salvate, imprigionate in torri che non avevano scelto». In queste narrazioni, Esther ha riconosciuto una cancellazione sistematica delle she-dragons e l’imposizione di rigidi ruoli di genere. Con questa mostra, restituisce a queste figure il potere e la voce che sono sempre stati loro negati.
Le principesse di Esther non aspettano più: accompagnano, proteggono e si lasciano proteggere. Le sue she-dragons non distruggono castelli, ma intessono legami di cura, dolcezza e complicità, sostituendo la violenza con relazioni di solidarietà e affetto. Ne emerge una riflessione profonda sul coraggio inteso come atto radicale di cura.
La mostra assume un significato ancora più intenso attraverso il tema della percezione. Molti personaggi di Esther compaiono con bende sugli occhi: una metafora dell’iper-esposizione alle immagini della nostra epoca, che ci ha abituati a fidarci più di ciò che vediamo che di ciò che sentiamo. Un tema che risuona attraverso secoli di esperienza femminile: dalle capacità sensoriali affinate delle donne alla persecuzione delle streghe, la cui ipersensibilità era giudicata pericolosa. Esther rivendica il valore del sentire rispetto al vedere, dell’intuizione rispetto allo spettacolo.
Anche la tavolozza dell’artista parla un linguaggio proprio. L’alternanza consapevole tra rosa e rosso invita ad andare oltre le associazioni superficiali con l’infanzia: sono colori di passione, di sangue, di vita. Ciò che appare fiabesco si rivela portatore di un’urgenza sociale, come tutta l’arte che conta.
Profondamente colpita dai conflitti attuali, Esther sceglie di rappresentare i bambini come incarnazioni del futuro, simboli di ciò che dobbiamo proteggere più di ogni altra cosa. «Vi invito a immaginare mondi in cui lo straordinario non è una minaccia, ma uno specchio e un alleato», afferma l’artista, «mondi in cui le creature temute possono essere anche tenere, e in cui il coraggio si misura nella cura, non nella forza distruttiva».
In ogni opera pulsa la sua convinzione che le storie possano cambiare - e che, quando lo fanno, cambiano anche il modo in cui guardiamo il mondo e noi stessi. Perché ogni principessa custodisce una she-dragon dentro di sé, ed è giunto il momento che anche la sua storia venga raccontata.
«Da bambina mi insegnavano che i draghi erano sempre feroci e i principi sempre coraggiosi», ricorda l’artista. «Le principesse, invece, aspettavano in silenzio di essere salvate, imprigionate in torri che non avevano scelto». In queste narrazioni, Esther ha riconosciuto una cancellazione sistematica delle she-dragons e l’imposizione di rigidi ruoli di genere. Con questa mostra, restituisce a queste figure il potere e la voce che sono sempre stati loro negati.
Le principesse di Esther non aspettano più: accompagnano, proteggono e si lasciano proteggere. Le sue she-dragons non distruggono castelli, ma intessono legami di cura, dolcezza e complicità, sostituendo la violenza con relazioni di solidarietà e affetto. Ne emerge una riflessione profonda sul coraggio inteso come atto radicale di cura.
La mostra assume un significato ancora più intenso attraverso il tema della percezione. Molti personaggi di Esther compaiono con bende sugli occhi: una metafora dell’iper-esposizione alle immagini della nostra epoca, che ci ha abituati a fidarci più di ciò che vediamo che di ciò che sentiamo. Un tema che risuona attraverso secoli di esperienza femminile: dalle capacità sensoriali affinate delle donne alla persecuzione delle streghe, la cui ipersensibilità era giudicata pericolosa. Esther rivendica il valore del sentire rispetto al vedere, dell’intuizione rispetto allo spettacolo.
Anche la tavolozza dell’artista parla un linguaggio proprio. L’alternanza consapevole tra rosa e rosso invita ad andare oltre le associazioni superficiali con l’infanzia: sono colori di passione, di sangue, di vita. Ciò che appare fiabesco si rivela portatore di un’urgenza sociale, come tutta l’arte che conta.
Profondamente colpita dai conflitti attuali, Esther sceglie di rappresentare i bambini come incarnazioni del futuro, simboli di ciò che dobbiamo proteggere più di ogni altra cosa. «Vi invito a immaginare mondi in cui lo straordinario non è una minaccia, ma uno specchio e un alleato», afferma l’artista, «mondi in cui le creature temute possono essere anche tenere, e in cui il coraggio si misura nella cura, non nella forza distruttiva».
In ogni opera pulsa la sua convinzione che le storie possano cambiare - e che, quando lo fanno, cambiano anche il modo in cui guardiamo il mondo e noi stessi. Perché ogni principessa custodisce una she-dragon dentro di sé, ed è giunto il momento che anche la sua storia venga raccontata.
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