Fabio Amaya. Presenze / Presencias

Fabio Amaya, Presencias 20, 2023. Tecnica mista e disegno su carta, 133,5 x 133,5 cm. I Ph. Fabio Mantegna
Dal 1 February 2024 al 1 March 2024
Milano
Luogo: Fondazione Mudima
Indirizzo: Via Tadino 26
Orari: dal lunedì al venerdì 11-13 / 14 -17:30
Curatori: Davide Di Maggio
Costo del biglietto: Ingresso libero
Telefono per informazioni: +39 02.29409633
E-Mail info: info@mudima.net
Sito ufficiale: http://www.mudima.net
Fabio Amaya è un artista colombiano, un intellettuale poliedrico, romanziere, saggista, do- cente universitario che disegna e dipinge da sempre. È stato professore ordinario di Lingue e letterature ispano-americane all’Università degli Studi di Bergamo, e ha casa e studio a Milano.
Figurativi sono i suoi disegni eseguiti a grafite e solventi su carta. Disegni espressionisti e a volte drammatici, in grande misura dedicati all’autoritratto, in una ricerca quasi spasmodica, ossessiva di sé, della propria identità. Le tele, quasi sempre di grandi dimensioni, sembrano pittura astratta, appassionata e bella, che fa come da velario alla presenza, non immediata- mente percepibile e identificabile, di un corpo umano statuario, nell’immobilità della sua in- quietante presenza, quando femminile; espressionista e quasi sempre dolorosamente urlante, quando maschile.
Una pittura forte, sensuale, caotica e cosmica nella sua formalizzazione. Una pittura libera, che si fa sipario fisicamente palpabile tra conscio e inconscio. Con il passare del tempo il caos e l’anarchia, che per alcuni decenni facevano bella mostra di sé, nelle carte dell’ultimo periodo si ritrovano come traccia, all’interno di spazi pittoricamente astratti, concettualmente metafi- sici, come un elemento che appare non più inquietante ma quasi silenzioso.
In Presenze, che rappresenta il nucleo della sua nuova mostra, Amaya propone un altro mo- dello di prospettiva. Si tratta di una scoperta. Non solo una prospettiva architettonica, ma una prospettiva mentale. L’artista colombiano, ribaltando lo scritto di Roland Barthes, “senza dubbio l’immagine non è il reale; ma ne è quanto meno l’analogo perfetto”, dove egli intende un potente sussulto di liberazione, agisce applicando leggi proprie che gli permettono di superare la visione che l’arte e la società impongono, le stesse leggi che sono state utilizzate dai pittori del Rinascimento quando hanno iniziato a dipingere adottando le regole della prospettiva e della luce, perché anche l’arte è prospettiva e luce.
Quello di Amaya è un vero punto di fuga, ma non per sfuggire alla realtà, bensì per introdursi e introdurci in un altro spazio, metafisico e vitale, allargando un varco che normalmente sembrava precluso. I suoi interni architettonici sono velati di colori caldi e freddi, la pittura è “magra”, compatta, le campiture sono larghe e piatte come ponti senza parapetto, e ci ripor- tano al Den Raum beleben (Friedrich Ratzel, 1876), modificando non solo la percezione dello spazio fisico visibile, ma soprattutto quello mentale, quella nicchia esistenziale che ognuno di noi si costruisce nell’ambiente per cercare pace e serenità.
Lo spettatore inizia il suo viaggio con un salto nel vuoto attraverso forme create come archi- tetture della visione, ed è condotto in una dimensione differente dal reale percepito, in un’at- mosfera di solitudine, di assenza che dovremo imparare ad accettare, perché parte del nostro essere è la solitudine del cittadino globale. Le sue opere in mostra trasmettono prospettive immaginarie che portano lontano, coerentemente alla sua vocazione di dare consistenza allo spazio attraverso forme prima programmate e poi visualizzate. Sono opere-specchio che riflet- tono una filosofia del vedere, che scandiscono i luoghi in maniera ritmica.
In questa mostra la carta è il luogo d’elezione dell’artista, il luogo in cui si misura la ricchezza e la novità dell’ispirazione dell’artista stesso. Le opere si rivelano come un’incomparabile te- stimonianza della sua fertile immaginazione e del suo duro lavoro, uno spaccato delle infinite possibilità offerte da una tecnica antica che, anche in questa occasione, non manca di rivelare la sua attualità. Con questa nuova serie di quadri Fabio Amaya dimostra ancora una volta al mondo di essere, come avrebbe detto Giorgio de Chirico, “pictor optimus”.
Inaugurazione giovedì 1 febbraio ore 18
Figurativi sono i suoi disegni eseguiti a grafite e solventi su carta. Disegni espressionisti e a volte drammatici, in grande misura dedicati all’autoritratto, in una ricerca quasi spasmodica, ossessiva di sé, della propria identità. Le tele, quasi sempre di grandi dimensioni, sembrano pittura astratta, appassionata e bella, che fa come da velario alla presenza, non immediata- mente percepibile e identificabile, di un corpo umano statuario, nell’immobilità della sua in- quietante presenza, quando femminile; espressionista e quasi sempre dolorosamente urlante, quando maschile.
Una pittura forte, sensuale, caotica e cosmica nella sua formalizzazione. Una pittura libera, che si fa sipario fisicamente palpabile tra conscio e inconscio. Con il passare del tempo il caos e l’anarchia, che per alcuni decenni facevano bella mostra di sé, nelle carte dell’ultimo periodo si ritrovano come traccia, all’interno di spazi pittoricamente astratti, concettualmente metafi- sici, come un elemento che appare non più inquietante ma quasi silenzioso.
In Presenze, che rappresenta il nucleo della sua nuova mostra, Amaya propone un altro mo- dello di prospettiva. Si tratta di una scoperta. Non solo una prospettiva architettonica, ma una prospettiva mentale. L’artista colombiano, ribaltando lo scritto di Roland Barthes, “senza dubbio l’immagine non è il reale; ma ne è quanto meno l’analogo perfetto”, dove egli intende un potente sussulto di liberazione, agisce applicando leggi proprie che gli permettono di superare la visione che l’arte e la società impongono, le stesse leggi che sono state utilizzate dai pittori del Rinascimento quando hanno iniziato a dipingere adottando le regole della prospettiva e della luce, perché anche l’arte è prospettiva e luce.
Quello di Amaya è un vero punto di fuga, ma non per sfuggire alla realtà, bensì per introdursi e introdurci in un altro spazio, metafisico e vitale, allargando un varco che normalmente sembrava precluso. I suoi interni architettonici sono velati di colori caldi e freddi, la pittura è “magra”, compatta, le campiture sono larghe e piatte come ponti senza parapetto, e ci ripor- tano al Den Raum beleben (Friedrich Ratzel, 1876), modificando non solo la percezione dello spazio fisico visibile, ma soprattutto quello mentale, quella nicchia esistenziale che ognuno di noi si costruisce nell’ambiente per cercare pace e serenità.
Lo spettatore inizia il suo viaggio con un salto nel vuoto attraverso forme create come archi- tetture della visione, ed è condotto in una dimensione differente dal reale percepito, in un’at- mosfera di solitudine, di assenza che dovremo imparare ad accettare, perché parte del nostro essere è la solitudine del cittadino globale. Le sue opere in mostra trasmettono prospettive immaginarie che portano lontano, coerentemente alla sua vocazione di dare consistenza allo spazio attraverso forme prima programmate e poi visualizzate. Sono opere-specchio che riflet- tono una filosofia del vedere, che scandiscono i luoghi in maniera ritmica.
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Inaugurazione giovedì 1 febbraio ore 18
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