"Prizefighter" e "The day of the Fight"

Kubrick
20/09/2001
Il fotoracconto intitolato “Prizefighter” (pugile professionista) ritrae l’atleta al risveglio nel suo appartamento, al momento del peso, dell’allenamento e infine durante l’incontro vinto per K.O. a Jersey City.
Per Kubrick la boxe è violenza elevata a livello artistico: tra tutte le foto che ritraggono la giornata di Cartier quella che lo vede seduto nel proprio spogliatoio, a petto nudo, guantoni sulle ginocchia e sguardo verso l’alto, con al suo fianco l’allenatore, emana un fascino che va oltre la nuda cronaca. Il momento precedente il combattimento appare come una scena epica: luce che arriva dal soffitto e genera un’ombra che accentua gli zigomi alti del pugile; un’inquadratura dal basso che trasforma Cartier in un simbolo di mascolinità.
Le potenzialità del soggetto portano Stanley Kubrick a realizzare il suo primo cortometraggio, un documentario da lui prodotto e diretto, intitolato “The day of the fight”. I 3900 dollari spesi per produrre la pellicola vengono recuperati grazie alla vendita alla RKO che pensa bene di finanziarne subito un altro: la folgorante carriera di uno dei registi più celebrati dell’ultimo cinquantennio iniziava così, quasi per caso.
Nei sedici minuti di “The Day of the fight” si incontrano elementi caratteristici della poetica kubrickiana: si è già scritto sulla figura di labirinto che spesso tornerà nel cinema di Kubrick, qui rappresentata dal ring, ruolo chiuso per antonomasia in cui l’eroe deve superare delle prove. Alcune scene sembrano un'anticipazione delle trincee labirintiche di “Orizzonti di gloria”, dell’astronave di “2001”, dell’Overlook Hotel di “Shining”, della caserma di “Full metal jacket” o della villa di “Eyes wide shut”, tutti luoghi circoscritti, fulcri dell’azione delle singole vicende narrate. Cifra stilistica del regista è la sfida stessa: tra Hal 9000 e gli astronauti in “2001”, i continui duelli di “Barry Lyndon”, gli scontri dei drughi di “Arancia meccanica” e in una dimensione più grande nelle immagini di guerra in “Full metal jacket”.
Labirinto e sfida che sono ben riassunti nel gioco degli scacchi, per i quali il regista statunitense aveva una passione non comune, comprensibile proprio se letta come iterazione di una sfida labirintica.
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