Transitory People
Dal 11 Giugno 2016 al 25 Settembre 2016
Roccaverano | Asti
Luogo: Parco d'Arte Quarelli
Indirizzo: via Pianlavaggio 16
Curatori: Francesca Canfora, Daniele Ratti
E-Mail info: info@quarelli.it
Sito ufficiale: http://www.quarelli.it
Figure antropomorfe, gnomi, creature mutanti: la mostra "Transitory People - Precarious Lives", curata da Francesca Canfora e Daniele Ratti, porta le opere di 13 artisti emergenti - selezionati tra gli oltre 60 iscritti al bando di concorso indetto dalla prima edizione del Premio d'Arte Quarelli - tra le vigne, i campi e le sculture della collezione permanente del Parco Quarelli di Roccaverano, nella Langa Astigiana.
Le opere, nella loro diversità, raffigurano l'eterogeneità delle culture e delle etnie che compongono il mosaico globale della razza umana. Sono un popolo in transito che prende indebitamente possesso di quella che, sino a poco prima, era una campagna deserta. Sculture che rappresentano sempre l'essere umano, ma in modo differente per tecnica, forma, estetica, situazione e atteggiamento.
Dagli gnomi di Daniele Accossato, all'uomo che si inerpica, teso nello sforzo di scavalcare un muro, di Simone Benedetto, alle "Aracno figures" di Raimondo Castronuovo che sembrano emergere da qualche incubo. E poi, ancora, il piccolo uomo "Niemand" di Victor Frešo, dalla figura sproporzionata e dall'espressione arrogante, i "Guardiani della Valle" di Egidio Iovanna che, ieratici, sembrano osservare tutto dall'alto, o l'"Homo Homini" di Francesco Lupo, l'effigie di un uomo che porge in avanti se stesso per attraversare spazio e tempo. Dalla creatura mutante "Simbionte" di Marta Fumagalli, alla "Sposa Elefante" di Simone Consiglio, all'"Habitat-Corpo" di Monica Sgrò. Dalla figura antropomorfa composta da valigie accatastate e dall'incedere stanco, di Simona Mosca e Demis Pascal, alle sculture effimere che sembrano presenze fantasma, "Peuple de passage", di Atelier 37.2, ai corpi scomposti di una famiglia di umanoidi chiusi in casse abbandonate di Valeria Vaccaro, fino ad arrivare al volto dell'"Altrove" di Vu Ju Ka.
La mostra "Transitory People - Precarious Lives" parte da una constatazione. Ogni giorno si riversano nei paesi occidentalizzati migliaia di profughi e persone in cerca di un futuro migliore senza però alcuna destinazione certa, raccogliendo spesso difficoltà e indifferenza. Intrusi o semplici passanti, oppure migranti giunti per restare, i nuovi arrivati vagano senza una meta precisa e si mescolano al pubblico dei visitatori, condividendone con esso luoghi e percorsi, facendosi specchio e metafora, in questa atipica convivenza, non solo dell'abbattimento delle frontiere e del globalismo contemporaneo, ma anche di un'emergenza più che mai attuale e irrisolta.
La mostra "Transitory People"
I 13 artisti emergenti, under 45, selezionati dal bando di concorso indetto dalla prima edizione del Premio d'Arte Quarelli, sono stranieri e italiani. Vu Ju Ka è vietnamita, Viktor Freso è nato a Bratislava ed è professionalmente cresciuto all'interno della scena artistica contemporanea dell'ex Cecoslovacchia, prima di esporre in Europa e in America; Atelier 37.2 è un collettivo formato da Francesca Bonesio, architetto italiano, e Nicolas Guiraud, fotografo francese.
L'artista più giovane ha 25 anni, Simone Consiglio, è allievo di Paolo Grassino all'Accademia di Belle Arti di Carrara dove sta terminando la Laurea specialistica in Scultura, dopo aver conseguito la Laurea Triennale all'Accademia di Belle Arti di Palermo. L'artista meno giovane, invece, ha 44 anni, Egidio Iovanna, e proviene da un'antica famiglia di cavatori e scalpellini che da più generazioni si tramanda l'arte della lavorazione della pietra.
Con la partecipazione alla mostra "Transitory People", i 13 artisti concorrono all'assegnazione del Premio d'Arte Quarelli. Attraverso l'app scaricabile gratuitamente e disponibile su Apple Store e Google Play Store, per Android e iPhone, il pubblico potrà votare ogni singola opera con un numero che va da 1 a 5, secondo il proprio gradimento. L'app, sfruttando la tecnologia del proximity marketing, darà informazioni aggiuntive su ogni opera con schede dettagliate e note sull'autore. In occasione del finissage della mostra, domenica 25 settembre, verrà proclamato il vincitore a cui sarà corrisposto un compenso di 8.000 euro e la scultura entrerà a far parte della collezione permanente del Parco.
Le opere e gli artisti:
"Gnomi" di Daniele Accossato, "Peuple de passage" di Atelier 37.2, "The Wall" di Simone Benedetto, "Il sonno della ragione - Aracno figures" di Raimondo Castronuovo, "Sposa elefante" di Simone Consiglio, "Niemand" di Viktor Frešo, "Simbionte" di Marta Fumagalli, "Guardiani della Valle" di Egidio Iovanna, "Homo Homini" di Francesco Lupo, "Desiderio" di Demis Pascal e Simona Mosca, "Habitat-Corpo" di Monica Sgrò, "Handle with care" di Valeria Vaccaro, "Altrove" di Vu Ju Ka.
Daniele Accossato, GNOMI
«Gli gnomi, piccole creature dei boschi, amano la natura e la libertà. Mangiano, ridono e bevono (talvolta anche troppo), ma sono grandi lavoratori e amano la famiglia. Sono come noi. Da sempre però sono costretti a vivere nascosti, nella paura, in tane sotterranee o tra le fronde del sottobosco. Questo perché gli umani adulti non tollerano la loro esistenza, non li vogliono credere reali, relegandoli in un mondo di miti e fiabe. Ora però gli gnomi sono stufi. Piano piano insorgono e infrangono le barriere, cominciano a muoversi liberamente, senza confini e senza timori». (Daniele Accossato)
Una visione ironica che allude a tematiche attuali e drammatiche, quali l’immigrazione e l’intolleranza, utilizzando l’immaginario fantastico dell’infanzia, come gli gnomi e i nani da giardino, fieri rappresentanti del gusto kitsch.
Un lieve senso di inquietudine e la costante presenza di antitesi e contraddizioni, come lo spirito irriverente che anima citazioni classicheggianti, sono le costanti della ricerca di Daniele Accossato (Torino, 1987). Nel 2012 si diploma cum Laude in scultura, presso l’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino. Si aggiudica diversi premi, tra cui il Paratissima Prize nel 2012 e il primo premio Ugo Guidi. Nel 2015 tiene la sua prima personale nella Galleria Franz Paludetto, a Torino, dopo aver partecipato a numerose collettive tra cui: Scolpiti dalla crisi, Castello di Rivara Centro d’Arte Contemporanea; Art Jungle nei Giardini della Reggia di Venaria; Sweet Death, alla 56° Biennale di Venezia, nel padiglione del Guatemala; Maestri e giovani artisti dell’Accademia Albertina di Torino, alla Marmara University di Istanbul. Vive e lavora a Torino.
Atelier 37.2, PEUPLE DE PASSAGE
Peuple de passage, un popolo di passaggio, è una colonizzazione poetica del nostro spazio. Sculture effimere che paiono presenze fantasma, diventano protagoniste di un’avventura, girando per un mondo che sembra abbandonato dai suoi abitanti. Prive di monumentalità, sono statue senza alcuna pretesa di eternità, ma, anzi, simili agli esseri umani nella durata limitata della loro vita. Questi strani visitatori disegnano un immaginario atlante visivo del nostro mondo, invadendone lo spazio fisico e mentale. Metafora della specie umana, Un peuple de passage si interroga tanto sulla sua storia e il suo passato, quanto sul suo futuro.
Atelier 37.2 (Parigi, 2009) è un collettivo formato da Francesca Bonesio, architetto italiano, e Nicolas Guiraud, fotografo francese. Il duo sviluppa una forma di archeologia immaginaria che tende a includere il corpo umano nel disegno e nella creazione di micro-architetture, land-art e sculture abitate. Nell’era dell’Antropocene, la specie umana è diventata la forza geofisica più importante del pianeta, alterando radicalmente e inevitabilmente l’ambiente. La conclusione è tanto affascinante quanto spaventosa: la Terra e l’uomo hanno raggiunto un limite rischioso nella loro evoluzione. Quanto tempo ci resta per risanare l’ecosistema e la specie? In questa direzione, Atelier 37.2 interroga una certa idea di normalità/realtà e le sue stesse rappresentazioni attraverso installazioni spaziali che indagano il confine tra finzione e realtà.
Simone Benedetto, THE WALL
È un uomo che si inerpica, teso nello sforzo di scavalcare un muro, a venir congelato nell’attimo in cui viene trattenuto, tirato per i lembi dei vestiti, da una presenza immateriale e intangibile. Nessun indizio, se non un’inquietante e oscura ombra proiettata sul muro, ci rivela l’identità di chi contrasta la fuga. Viene rappresentata una scottante attualità, i muri che negli ultimi mesi hanno iniziato materialmente a essere costruiti sulle frontiere e le barriere culturali che milioni di persone sono costrette oggi ad affrontare. L’entità incorporea che frena l’uomo, se da un lato può sembrare un impedimento esterno, dall’altro raffigura la paura che accomuna chi è costretto all’esodo, ovvero il timore di abbandonare la propria famiglia, la propria terra e la propria vita.
Le opere di Simone Benedetto (Torino, 1985) affrontano tematiche legate al sociale, nascendo dal quotidiano, da uno sguardo critico sul presente per mostrare contraddizioni e problemi della società moderna. Dopo la laurea all’Accademia Albertina di Belle Arti in scultura, per la sua formazione artistica fondamentali sono state le esperienze all’estero nelle accademie di Valencia e Lisbona. Nel 2013 vince il concorso indetto dal bioparco Zoom di Torino ed è selezionato come miglior artista della nona edizione di Paratissima. Nel 2015 si tiene la sua personale nella Galleria Franz Paludetto di Torino e partecipa a numerose collettive, tra le quali Scolpiti dalla crisi, al Castello di Rivara Centro d’Arte Contemporanea, e Trasmutazioni, presso la Confraternita di San Vittore per l’Arcidiocesi di Vercelli. Vive e lavora a Torino.
Raimondo Castronuovo, IL SONNO DELLA RAGIONE - ARACNO FIGURES
Figure antropomorfe, che sembrano emerse dal sottosuolo o da qualche incubo, entrano in scena dando vita a una rappresentazione sottilmente grottesca. Gambe e testa di chiara matrice umana compongono queste creature aracniformi che si espandono così rapidamente, invadendo lo spazio in cui arrivano, tanto da arrampicarsi sia sulle pareti di casa che sugli alberi. Non si sa se tali esseri siano pericolosi o meno, ma è sempre il timore per il diverso e l’alterità a predominare e a tenere l’osservatore turbato a debita distanza. L’installazione si ispira a una famosa acquaforte di Goya, dal titolo "Il sonno della ragione genera mostri", che ancor oggi invita alla riflessione sull’importanza della ragione umana, raffigurando il male che minaccia chi l’abbandona.
Le inquietudini dell’uomo, come la solitudine interiore, sono al centro dell’indagine di Raimondo Castronuovo (Napoli, 1981). Ansie e paure del vivere contemporaneo sembrano emergere dalle sue opere. Objet trouvé, elementi della natura o materiali di scarto vengono spesso ibridati a elementi antropomorfi, dando luogo a nuove forme di vita. Tali creature, frutto di inaspettati innesti, dialogano così tra loro e con il luogo ospitante, dando vita a rappresentazioni spesso paradossali e grottesche. Architetto, scultore e pittore, si laurea in architettura nel 2009 portando avanti il suo percorso artistico tra Napoli e Berlino. Vincitore nel 2013 del Premio di scultura Who art you?, tenutosi a Milano, ha partecipato a numerose mostre personali e collettive sia in Italia che in Germania.
Simone Consiglio, SPOSA ELEFANTE
È costantemente in transito verso un qualcosa che si configura come l’ennesima svolta, ma anche quando la meta sembra prefissata già si pensa a un nuovo traguardo. Ecco che da una riflessione sul tema della precarietà nasce la Sposa Elefante, una figura in cui migrazione umana e animale vengono unite da un trapianto innaturale. Un pesante cranio di elefante va a costituire il velo nuziale di una donna, inducendola a un inevitabile processo di zoomorfizzazione. Non è un elmo o un’arma ma semplicemente un innesto insolito, qualcosa di terrificante ma allo stesso tempo di languido, che racconta come la migrazione umana, tanto quanto quella dell’elefante, possa durare tantissimi anni. Una figura perturbante e al tempo stesso familiare: donna, sposa umile e pellegrina, in attesa di un fato predeterminato che tutto si compia e si ripeta.
Allievo di Paolo Grassino all’Accademia di Belle Arti di Carrara, dove sta terminando la Laurea Specialistica in Scultura, Simone Consiglio (Palermo, 1991) consegue la Laurea Triennale all’Accademia di Belle Arti di Palermo con Salvatore Rizzuti e Giuseppe Agnello. Nonostante la giovane età ha già esposto in varie collettive tra cui New Year’s Brunch 2015 presso Teké Gallery a Carrara; Via delle Ceramiche d’Italia a Maierà, in provincia di Cosenza, nel 2014; Invasioni Urbane presso il Conservatorio V. Bellini di Palermo nel 2013. Attualmente vive e lavora tra Palermo e Carrara.
Viktor Frešo, NIEMAND
Niemand è la statua di un piccolo uomo, dalla figura sproporzionata e l’espressione arrogante dipinta sul volto. Il corpo è approssimativamente suddiviso in tre terzi, ciascuna delle quali ne rappresenta una parte: testa, tronco e gambe. Proprio questa divisione semplicistica crea una mancata corrispondenza anatomica e, in virtù di tale sproporzione, la testa enorme a prima vista risulta grottesca. È un mix di attributi negativi a esser condensati in Niemand, in cui si possono ritrovare arroganza mista a negatività, come un complesso di inferiorità accompagnato a un dannoso e malsano egocentrismo. In quest’opera si ritrova in modo ostentato l’essenza di tutte quelle emozioni negative che le persone normalmente cercano di nascondere, evocando paradossalmente, nella loro evidenza, il senso del ridicolo.
La cifra poetica di Viktor Frešo (Bratislava, 1979) si muove su di un ampio spettro tematico, saturo di provocazioni e di osservazioni taglienti. Tramite opere d’arte apparentemente semplici, Frešo conduce profonde e sofisticate riflessioni su vari temi di attualità. Spesso molto critico riguardo all’ambito in cui lavora, non si esime dall’esprimere il suo disprezzo verso il sistema del mercato dell’arte e i suoi meccanismi, bilanciando sempre le sue provocazioni con un tono leggero e giocoso. Dopo gli studi all’Accademia di Belle Arti e Design di Bratislava e Praga, Frešo è professionalmente cresciuto all’interno della scena artistica contemporanea dell’ex Cecoslovacchia, per poi esporre largamente sia in Europa che in America.
Marta Fumagalli, SIMBIONTE
Simbionte è una creatura mutante, in cui un albero incompleto e una figura antropomorfa, dalle fattezze lignee, convivono e si completano, dando origine a un nuovo esemplare. Si tratta di un’entità sconosciuta derivante dalla combinazione/associazione di due esseri di specie diversa. Trasponendo il fenomeno della simbiosi nell’ambito umano, Simbionte porta a immaginare una società in cui ogni individuo ha la possibilità di sostare o radicarsi nel paesaggio a sé più congeniale, prescindendo dalle proprie origini. La scultura diventa, così, un simbolo, la rappresentazione della necessità di un luogo o di una dimensione ideale, senza barriere o limiti territoriali, in cui gli individui/simbionti possano convivere traendo reciproco vantaggio.
L’indagine poetica di Marta Fumagalli (Milano, 1985), spazia dal paesaggio urbano alla sfera del quotidiano, spingendosi verso quei margini indecisi di realtà in cui è possibile alimentare micro utopie. Diplomata in scultura presso l’Accademia di Belle Arti di Brera, ha frequentato l’École Nationale Supérieure des Beaux-Arts di Parigi. Dal 2006 partecipa a diverse mostre collettive tra le quali Salon I presso il Palazzo della Permanente di Milano; Interside.Meet-land presso la Fabbrica del Vapore, Milano; Nemeton all’interno della Riserva Naturale della Fagiana, Magenta; Paradigmi, presso lo spazio Geh8 di Dresda e alla Biennale di Dakar. Sin dal 2011 intrattiene una fitta collaborazione con il Giappone, partecipando per ben due volte consecutive alla Biennale di Biwako a Kyoto. Vive e lavora a Milano.
Egidio Iovanna, GUARDIANI DELLA VALLE
I Guardiani della Valle, figure ieratiche che paiono osservare dall’alto, nascono come atto di indignazione verso uno stato di cose, sia esteriore che interiore al tempo stesso, non condiviso e compromesso. Paiono raffigurare un’entità altra cui affidarsi per contrastare la precarietà e l’inconsistenza della contemporaneità e riconquistare così nuovi equilibri. Il gruppo pone inevitabilmente la questione dello scambio e della convivenza di identità diverse, corpi autonomi che rimangono riconoscibili nella loro individualità, grazie anche alle loro differenze, ma che contribuiscono alla nascita di un’inedita unità. Una riflessione intima sulla necessità di una forma di bellezza alternativa, quella delle relazioni, più aperta alla dimensione collettiva e rivolta al molteplice.
Egidio Iovanna (Avellino, 1972), proviene da un’antica famiglia di cavatori e scalpellini che da più generazioni si tramanda l’arte della lavorazione della pietra. La sua formazione giovanile si svolge a Carrara, all’IPSAM e all’Accademia di Belle Arti, per proseguire lavorando presso lo Studio Giovannini di Pietrasanta. Dal 2006, nell’ambito del progetto Europa Leonardo Da Vinci, insegna "Tecniche di scultura" agli studenti dell’Università di Belle Arti di Istanbul. Partecipa a diversi simposi e collettive internazionali, in America, in Turchia, negli Emirati Arabi, a Dubai e Abu Dhabi. Nel 2010 l’Università degli Studi di Napoli Federico II, in collaborazione con la Sovrintendenza, organizza una sua mostra personale presso la biblioteca BRAU di Napoli. Vive e lavora a Fontanarosa (AV).
Francesco Lupo, HOMO HOMINI
Homo homini è la simbolica effigie di un uomo che porge in avanti se stesso, per attraversare spazio e tempo, confini e generazioni: un idolo all’effimerità del qui e ora, che sembrerebbe rappresentare lo strenuo tentativo di perpetuare la specie e la propria cultura. Nel suo moltiplicarsi all’infinito, verso il cielo, pare clonarsi in una catena senza fine di alter ego, interrogandosi sulla relazione tra identità, collettività e anonimato. È proprio il rapporto tra collettività e individuo a dover essere maggiormente indagato, come ambito in cui spesso è la solidarietà, l’indottrinamento o altri fattori, a condizionare le dinamiche della sfera intima e personale.
Figlio di un orafo, Francesco Lupo (Pescara, 1985) sin da piccolo si avvicina alle arti manuali, respirando l’aria del laboratorio e giocando con il suo fuoco. Tentando di sfuggire a ciò che sembrava un destino già scritto si perde tra diverse passioni, fino al giorno in cui, passando per una cava di pietra, si imbatte in un’iguana incastrata nella roccia. Studia all’Accademia di Belle arti di Urbino, diplomandosi con 110 e lode, e successivamente all’Accademia di Belle Arti di Istanbul. Viene selezionato come secondo classificato al Premio Abbado, sezione Arte Pubblica, ed espone nel 2015 a Torino al FISAD, Festival Internazionale delle Scuole d’Arte e di Design, come rappresentante per la sezione Scultura dell’Accademia di Urbino. Vive e lavora a Pescara.
Simona Mosca e Demis Pascal, DESIDERIO
È una figura antropomorfa composta da valigie accatastate, dall’incedere stanco, a richiamare inequivocabilmente il tema del viaggio. I bagagli usati e logori simboleggiano la povertà e il disagio da cui i profughi fuggono, e che risultano spesso il loro unico avere. È infatti la necessità a costringere ad abbandonare la propria terra, e che spinge l’uomo ad andare avanti nonostante il filo spinato che frena la sua marcia di speranza. Come i viandanti delle favole, porta in spalla un fagotto di rete, che tuttavia non contiene i suoi pochi averi ma bensì il mondo intero: e se da un lato tale fardello ci ricorda la globalità del fenomeno, dall’altro rappresenta il bagaglio culturale che ognuno di noi reca con sé, come ricchezza di storia e tradizioni che contraddistinguono l’umanità intera.
Demis Pascal (Pinerolo, 1979) fotografo e jewelry designer, inizia il suo percorso artistico dedicandosi alla scultura nel 2006, partecipando a diverse iniziative espositive. L’incontro con la cultura celtica è determinante per l’allargamento dei suoi orizzonti creativi, portandolo alla sperimentazione di diversi materiali tra cui l’argento e il bronzo. Dalla comune passione per la musica e l’arte nasce il collettivo formato insieme a Simona Mosca (Pinerolo, 1982), di cui Desiderio risulta essere l’opera di esordio.
Monica Sgrò, HABITAT-CORPO
Habitat-corpo rappresenta un luogo totalmente differente rispetto a quello in cui si vive, è un contro-spazio eterotopico, un rifugio in cui il corpo è protetto e prende contatto con sé e con la presenza di chi lo ha realizzato. Varcando la soglia, è uno spazio vuoto e immateriale ad accogliere qualsiasi umano e qualsiasi corpo, in un’avvolgente dimensione parallela situata tra abitato e abitante, tra individuo e collettività. L’opera, pregna delle identità che l’hanno tessuta, si proietta sul corpo del nuovo ospite, che a sua volta deve accogliere in sé le antecedenti presenze. È così che l’Habitat-vuoto si contrappone a uno spazio-pieno di pregiudizi e false credenze, diventando il luogo in cui ogni nuovo abitante in transito traccia il proprio passaggio, unendosi agli ospiti precedenti e futuri, in nome di un’auspicabile pacifica convivenza.
«Rimaniamo tracce visibili solo se siamo con gli altri», afferma Monica Sgrò (Milano, 1973) parlando delle sue installazioni; opere in cui risulta centrale la partecipazione corale come determinante la contaminazione tra valore sociale e ricerca artistica. Laureata in scultura all’Accademia di Belle Arti di Brera, in seguito frequenta la Scuola di Specializzazione all’Insegnamento Secondario e lavora tuttora come insegnante di scultura presso il Liceo Artistico Statale Caravaggio di Milano. La sensibilità a tematiche sociali e la passione per l’arte conducono il suo percorso didattico verso i metodi pedagogici di Munari e Steiner. Attualmente si dedica a proposte di arte partecipata e a workshop di scultura, dove la creazione di tessuto materiale coincide con la ricostruzione del tessuto sociale, utile alla collettività.
Valeria Vaccaro, HANDLE WHIT CARE
Tre casse di varie dimensioni appaiono misteriosamente abbandonate in un prato. Contengono dei corpi scomposti di una famiglia di umanoidi, spediti sulla Terra non si sa da quale pianeta. Sono esseri molto fragili, come lascia intuire la scritta ai lati delle casse, Handle with Care, e in grado di autoprodurre energia elettrica. Solo al tramontare del sole, attraverso dei piccoli fori, si può intravedere la loro presenza all’interno dei contenitori. Non è dato sapere se siano stati spediti qui, in attesa di capire se sulla Terra vi possa essere per loro un destino migliore o se siano solo di passaggio. L’unica certezza è la loro paura, che li frena ancora adesso dall’uscire dal rifugio/involucro che li cela, nel timore di sentirsi degli estranei in un ambiente ostile.
Tutta la ricerca di Valeria Vaccaro (Torino, 1988) ruota attorno al fuoco, elemento purificatore e forza creatrice più che fattore di distruzione. È proprio la combustione a rendere più vero quel materiale ligneo che in realtà è marmo, dando vita a ossimori visivi dall’effetto spiazzante, in cui il legno appare freddo o il marmo brucia e si carbonizza. Laureata in scultura presso l’Accademia Albertina di Belle Arti, inizia sin dal 2005 a esporre partecipando a collettive, premi, Master Class, distinguendosi nel 2012 tra i migliori artisti di Paratissima. Nel 2013 è selezionata per la Biennale itinerante europea Jeune Création Européenne. Nel 2015 espone al Castello di Rivara Centro d’Arte Contemporanea, al Coffi Festival di Berlino, nella chiesa di San Vittore per l’Arcidiocesi di Vercelli e a Exhibit – The Others all’ex-borsa valori di Torino.
Vu Ju Ka, ALTROVE
Come gli uccelli volano da un posto a un altro, gli uomini da sempre migrano a causa dei cambiamenti delle condizioni di vita, della necessità di procurarsi nuove risorse o altre terre da occupare. In questo errare, alcune persone rimangono, altre continuano a viaggiare, sempre alla ricerca di una vita migliore; nell’incertezza della speranza c’è sempre un tendere a un Altrove.
La scultura rappresenta un volto, costruito come un albero, radicato nella terra da cui trae nutrimento, mentre l’uovo e le piume al suo interno sono metafora della vita del migrante: come si dice in Vietnam «in una terra di pace gli uccelli si posano». Costruita come un disegno, composta da tratti che delineano la forma nelle tre dimensioni, l’opera si lascia compenetrare e mutare dal paesaggio circostante, soggetto al variare delle stagioni.
Sulla possibilità di conciliare valori tradizionali e linguaggio artistico contemporaneo verte tutta la ricerca di Vu Ju Ka (Vietnam, 1978), nel tentativo costante di mantenere un collegamento tra le opere e la propria esperienza di vita. Compiuti gli studi presso l’Accademia di Belle Arti del Vietnam, nel 2006 vince il primo premio al Concorso di Arte Contemporanea Viet-It organizzato dall’Ambasciata Italiana in Vietnam, ottenendo una borsa di studio presso l’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino, dove si laurea in pittura nel 2013. Nel 2014 si iscrive alla specialistica in scultura presso la stessa accademia. Le sperimentazioni artistiche di Vu Ju Ka passano attraverso diversi materiali, per concentrarsi infine principalmente sui metalli. Vive e lavora in Valle d’Aosta.
Opening: sabato 11 giugno ore 15
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