Guy Lydster. The white riders
Dal 22 Maggio 2015 al 23 Giugno 2015
Bologna
Luogo: Galleria B4
Indirizzo: via Vinazzetti 4/b
Orari: dal martedì al sabato dalle 17 alle 20
Curatori: Patti Campani
Costo del biglietto: ingresso gratuito
Telefono per informazioni: +39 333 2223810
E-Mail info: info@galleriab4.it
Sito ufficiale: http://www.galleriab4.it
Sono sempre stato affascinato dai monumenti equestri. .. dalla forza con la quale l’insieme di uomo e animale avanza e conquista lo spazio del vissuto. Indubbiamente la posizione decisa del cavaliere sopra la possente bellezza del cavallo poteva, per alcuni, rappresentare la pienezza del potere: dello stato, del controllo sulla natura e sulla mente umana. Un tale potere rivela anche la precarietà del potere stesso. Una simile visione monumentale della società è, a mio avviso, una rappresentazione inadatta a descrivere il movimento dei nostri tempi. La mia ricerca su questo genere di scultura pubblica mi ha condotto verso la metafora di rinascita tra l’essere umano e il toro. L’uomo e l’animale che si muovono precariamente in avanti, insieme, creando, in tal modo, un arco vitale tra il passato e il presente.
Guy Lydster
Dalla forma solida dei sassi raccolti sul greto del fiume trae le sagome dei suoi tori, Guy Lydster. Con un’argilla, che asciutta e cotta diventa bianca, modella queste sculture da un’anatomia quasi assente. Con un segno circolare l’artista dà e infonde ai corpi l’energia vitale. Sono tori che in groppa portano esseri informi, uomini acrobati. Il gesto creativo diventa tramite tra la natura e l’uomo.
Rielabora così il pensiero/preoccupazione, che da sempre lo tiene legato al suo lavoro, il rapporto dell’uomo con la terra, dalla quale nasce e nella quale vive. Le sue origini Lydster, nato e cresciuto in Nuova Zelanda, le porta dentro: la natura, l’ambiente sono il tema portante della sua attività artistica.
Ha fatto un lavoro serrato su un bisogno di comunicare chiaro, senza ambiguità, pensando all’arte come bene pubblico. E’ partito da un tema ricorrente dell’antichità, e in particolare dal notissimo affresco proveniente dal Palazzo di Cnosso conosciuto come “L’acrobata”, dove un uomo sembra fare una capriola sul dorso di un toro. Questo dipinto, con il motivo rituale della taurocatapsia databile al Tardo Minoico (XVII-XVI secolo a. C.), è stato messo a confronto con il monumento equestre del Gattamelata, realizzato in bronzo da Donatello 3000 anni dopo, nel XVI secolo.
La statua equestre, che tanta fortuna ha avuto nella storia dell’umanità, allegoria della conquista e del dominio, è stata messa in discussione da Lydster. Riprendendo con il suo lavoro il tema del rapporto tra il toro e l’uomo nella classicità, lo scultore vuole comunicare la possibilità di ri-pristinare un rapporto armonico con la madre Terra. Un rapporto che deve senza dubbio riconoscere la lotta, ma negare e bandire l’uso di “ali maligne… meridiane di morte” (Salvatore Quasimodo ,“Uomo del mio tempo”).
Se il monumento equestre è l’immagine del mondo contemporaneo, nel quale l’uomo ha preteso di asservire ai suoi bisogni la natura, e il cavallo nella mitologia ha sempre trainato il carro del sole e della gloria, il toro ha invece rappresentato la terra e la fertilità. L’uomo di Lydster è con il toro che oggi deve nuovamente rapportarsi, dal toro deve rinascere e ripensarsi, tori e acrobati sono il simbolo di un nuovo modo di abitare la Terra.
Sette sono le sculture che l’artista presenta in questa mostra “The white riders”, e appunto di un cavaliere bianco si parla, un cavaliere innocente, che riconosce la natura come entità mutevole e vivente.
Ciò che indaga Lydster, con il movimento delle sue mani che modellano la terra, è il rapporto dell’uomo con lo spazio, che spesso sottende dominanza e conquista, prevalere della ragione sull’istinto, esercizio del potere dell’uomo sopra il tutto.
I suoi cavalieri bianchi danzano sul toro, dal toro/terra nascono, nascono pure insieme e insieme sentono la difficoltà, il dolore e la precarietà della nascita. Il toro fecondo, con la sua pienezza, accoglie, coccola e sostiene l’uomo che nasce e cresce in lui e con lui.
La dolcezza, la cautela, il gioco e l’equilibrio delicato e dinamico dell’essere-uomo e la solidità morbida di un toro ben saldo sulla terra, a volte ancora informe con corna addolcite, sono gli elementi del dialogo che l’artista immagina in un mondo diverso.
Il primo o l’ultimo dei sui white riders è una testa/uomo, senza più i tratti di paesaggio e natura che lo ricopre, come nelle precedenti sculture dell’artista. E’ una sentinella bianca, assottigliata, slanciata verso l’alto, che non offende, non disturba, veglia sull’equilibrio tra l’uomo e la natura; è una testa-pensiero, dalla quale nasce qualcosa, un uomo/testa che ha in sé la speranza di una nuova visione del mondo e di un nuovo rapporto con il cosmo.
Lorella Grossi
Guy Lydster scultore neozelandese nasce a Auckland nell’aprile del 1955, ma si trasferisce con la famiglia a Vancouver molto presto.
Già da bambino scopre l’amore per l’arte, inizia a studiare teatro, poi si dedica alla pittura e infine arriva alla forma simbolica a lui più congeniale: la scultura.
Nei primi anni 80 si trasferisce a Bologna per studiare all’Accademia delle Belle Arti e finito il suo percorso universitario decide di rimanere a vivere e lavorare nel capoluogo emiliano.
Guy Lydster
Dalla forma solida dei sassi raccolti sul greto del fiume trae le sagome dei suoi tori, Guy Lydster. Con un’argilla, che asciutta e cotta diventa bianca, modella queste sculture da un’anatomia quasi assente. Con un segno circolare l’artista dà e infonde ai corpi l’energia vitale. Sono tori che in groppa portano esseri informi, uomini acrobati. Il gesto creativo diventa tramite tra la natura e l’uomo.
Rielabora così il pensiero/preoccupazione, che da sempre lo tiene legato al suo lavoro, il rapporto dell’uomo con la terra, dalla quale nasce e nella quale vive. Le sue origini Lydster, nato e cresciuto in Nuova Zelanda, le porta dentro: la natura, l’ambiente sono il tema portante della sua attività artistica.
Ha fatto un lavoro serrato su un bisogno di comunicare chiaro, senza ambiguità, pensando all’arte come bene pubblico. E’ partito da un tema ricorrente dell’antichità, e in particolare dal notissimo affresco proveniente dal Palazzo di Cnosso conosciuto come “L’acrobata”, dove un uomo sembra fare una capriola sul dorso di un toro. Questo dipinto, con il motivo rituale della taurocatapsia databile al Tardo Minoico (XVII-XVI secolo a. C.), è stato messo a confronto con il monumento equestre del Gattamelata, realizzato in bronzo da Donatello 3000 anni dopo, nel XVI secolo.
La statua equestre, che tanta fortuna ha avuto nella storia dell’umanità, allegoria della conquista e del dominio, è stata messa in discussione da Lydster. Riprendendo con il suo lavoro il tema del rapporto tra il toro e l’uomo nella classicità, lo scultore vuole comunicare la possibilità di ri-pristinare un rapporto armonico con la madre Terra. Un rapporto che deve senza dubbio riconoscere la lotta, ma negare e bandire l’uso di “ali maligne… meridiane di morte” (Salvatore Quasimodo ,“Uomo del mio tempo”).
Se il monumento equestre è l’immagine del mondo contemporaneo, nel quale l’uomo ha preteso di asservire ai suoi bisogni la natura, e il cavallo nella mitologia ha sempre trainato il carro del sole e della gloria, il toro ha invece rappresentato la terra e la fertilità. L’uomo di Lydster è con il toro che oggi deve nuovamente rapportarsi, dal toro deve rinascere e ripensarsi, tori e acrobati sono il simbolo di un nuovo modo di abitare la Terra.
Sette sono le sculture che l’artista presenta in questa mostra “The white riders”, e appunto di un cavaliere bianco si parla, un cavaliere innocente, che riconosce la natura come entità mutevole e vivente.
Ciò che indaga Lydster, con il movimento delle sue mani che modellano la terra, è il rapporto dell’uomo con lo spazio, che spesso sottende dominanza e conquista, prevalere della ragione sull’istinto, esercizio del potere dell’uomo sopra il tutto.
I suoi cavalieri bianchi danzano sul toro, dal toro/terra nascono, nascono pure insieme e insieme sentono la difficoltà, il dolore e la precarietà della nascita. Il toro fecondo, con la sua pienezza, accoglie, coccola e sostiene l’uomo che nasce e cresce in lui e con lui.
La dolcezza, la cautela, il gioco e l’equilibrio delicato e dinamico dell’essere-uomo e la solidità morbida di un toro ben saldo sulla terra, a volte ancora informe con corna addolcite, sono gli elementi del dialogo che l’artista immagina in un mondo diverso.
Il primo o l’ultimo dei sui white riders è una testa/uomo, senza più i tratti di paesaggio e natura che lo ricopre, come nelle precedenti sculture dell’artista. E’ una sentinella bianca, assottigliata, slanciata verso l’alto, che non offende, non disturba, veglia sull’equilibrio tra l’uomo e la natura; è una testa-pensiero, dalla quale nasce qualcosa, un uomo/testa che ha in sé la speranza di una nuova visione del mondo e di un nuovo rapporto con il cosmo.
Lorella Grossi
Guy Lydster scultore neozelandese nasce a Auckland nell’aprile del 1955, ma si trasferisce con la famiglia a Vancouver molto presto.
Già da bambino scopre l’amore per l’arte, inizia a studiare teatro, poi si dedica alla pittura e infine arriva alla forma simbolica a lui più congeniale: la scultura.
Nei primi anni 80 si trasferisce a Bologna per studiare all’Accademia delle Belle Arti e finito il suo percorso universitario decide di rimanere a vivere e lavorare nel capoluogo emiliano.
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