Nicola Samorì. Sfregi - Visite guidate
Dal 10 Aprile 2021 al 13 Aprile 2021
Bologna
Luogo: Sito web Genus Bononiae. Musei nella Città
Indirizzo: online
Orari: ore 18.30
Curatori: Servizi Educativi di Genus Bononiae
Costo del biglietto: € 7. È possibile prenotare le visite sul sito di Genus Bononiae o su www.ticketlandia.com/m/event/samori-visitaonline
Sito ufficiale: http://genusbononiae.it/
In attesa dell’auspicata riapertura dei musei su tutto il territorio nazionale, Genus Bononiae. Musei nella Città è orgogliosa di presentare in anteprima al pubblico Sfregi, la prima mostra antologica in Italia di Nicola Samorì (Forlì, 1977), a Palazzo Fava fino al 25 luglio. Sabato 10 e martedì 13 aprile, alle ore 18.30, saranno organizzate due visite guidate online della mostra, a cura dei Servizi Educativi di Genus Bononiae, con la straordinaria partecipazione dell’artista, Nicola Samorì (10 aprile) e dei curatori, Alberto Zanchetta e Chiara Stefani (13 aprile). Gli appuntamenti sono pensati per introdurre la mostra e, in attesa dell’apertura, avvicinare il pubblico degli appassionati alle sue principali tematiche. Attraverso le immagini che ripercorrono fedelmente il percorso espositivo e le parole dei protagonisti, i visitatori entreranno nelle meravigliose sale di Palazzo Fava compiendo un itinerario guidato tra le opere e ammirando i preziosi fregi del palazzo.
Sfregi è un progetto espositivo studiato dall’artista, Nicola Samorì, in esclusiva per le sale del Palazzo delle Esposizioni di Bologna. Una lettura esaustiva e lenticolare del percorso da lui intrapreso negli ultimi vent’anni che illumina le opere più rappresentative della sua produzione. La mostra – circa 80 lavori che spaziano dalla scultura alla pittura, dagli esordi fino alle realizzazioni più recenti – è un progetto di Genus Bononiae. Musei nella Città, ente strumentale della Fondazione Cassa di Risparmio di Bologna.
Bologna è la città che ha visto formarsi Samorì presso l’Accademia di Belle Arti: già in quel contesto hanno preso forma il suo stile e la sua poetica, indissolubilmente connessi ad una profonda necessità di fustigare la serenità delle immagini, prassi che ha mantenuto e sviluppato nel corso degli anni sperimentando sempre nuove tecniche. I traumi inferti alle opere dall’artista – che tenta di turbare, trasgredire e trasfigurare immagini preesistenti – presuppongono infatti, ieri come oggi, un potere taumaturgico.
L’esposizione a Palazzo Fava è occasione per Samorì di cimentarsi in un faccia a faccia con l’intera storia dell’arte, e in particolare con l’epoca barocca, articolando un percorso di suggestioni e analogie e innescando una stretta e intensa relazione con i preziosi fregi che decorano le pareti del piano nobile e con alcune opere individuate all’interno delle collezioni d’Arte e di Storia della Fondazione Carisbo, come i suggestivi ritratti di donne cieche di Annibale Carracci, stabilendo una “affinità elettiva”, oltre che con gli spazi, con lo stesso patrimonio del Museo.
L’intenzione programmatica di connettere le opere allo spazio che le accoglie è evidente fin dal vestibolo: al centro della sala, dominata da una statua neoclassica di Apollo, appare una scultura lignea realizzata da Samorì con un legno antico, che ci racconta una costante del suo lavoro: la meticolosa ricerca sulla materia.
Nel Salone con Il mito di Giasone e Medea un corpus di lavori databili all’ultimo decennio di attività sembra reagire – quasi in estasi – alla pittura dei Carracci: i dipinti, di varie dimensioni, sono infatti accomunati da uno sguardo verso l’alto, in armonica contraddizione con la Maddalena Penitente del Canova al centro della sala, che – come Medea alle pareti – rivolge il suo sguardo in basso.
Grazie ai lavori incentrati sull’ustione del rame, con un focus sul tema del corpo scarnificato, l’artista tenta uno stravolgimento cromatico della Sala degli allievi di Ludovico Carracci. La stanza dipinta da Francesco Albani ospita una “camera delle meraviglie”: qui colpisce la maestria dell’artista nell’adattare i colori e le forme della pietra alle sue nature morte.
La Sala delle Grottesche accoglie l’affresco monumentale Malafonte, che in un gioco di perfette geometrie sembra essere stato concepito da sempre per quello spazio largo 380 centimetri esattamente come l’opera.
Rispetto alle imponenti opere del piano nobile, nelle sale del secondo piano sono esposti lavori di piccolo e medio formato che sviluppano singoli temi o costituiscono dei focus sulle diverse tecniche utilizzate dall’artista: l’accecamento dell’immagine, l’aggregazione di materiali di risulta, la pittura su pietra, il disegno e la scultura. Tra le opere qui esposte spiccano: Lienzo, il Cristo deposto dipinto su un antico tavolo da massaggio, presentato alla Biennale di Venezia; i lavori su onice in cui la pittura incontra la forma naturale della materia; le due splendide Santa Lucia – una scolpita, l’altra dipinta – che si specchiano, con i loro occhi scarnificati.
Opere dunque più intime, ma non meno preziose, che permettono allo spettatore di abbracciare la vasta e complessa produzione di Samorì, una ricerca ossessiva, che potrebbe perfino definirsi maniacale, che gli ha permesso di differenziarsi dall’odierno panorama artistico, balzando agli onori della critica internazionale.
“Questa mostra antologica, la prima in Italia, vuol essere un riconoscimento alla carriera dell’artista, che si presenta al pubblico con un’esposizione ricca ed esauriente che abbraccia tutto il suo percorso creativo: un tentativo di mettersi a nudo di fronte alla storia dell’arte, che incombe dalle pareti stesse del palazzo. – spiega Fabio Roversi-Monaco, Presidente di Genus Bononiae – Penso che Samorì abbia tutto il carattere per reggere un incontro tanto ambizioso e sono felice di accogliere a Palazzo Fava un giovane della nostra terra, che ha già saputo imporsi sul piano internazionale. Le sue opere ci fanno riflettere ed emozionare, riscoprendo il valore taumaturgico dell’arte, di cui abbiamo estremo bisogno”.
Artista tra i più originali della sua generazione e figura che ha saputo creare una versione eterodossa dell’arte, della storia e del tempo, Nicola Samorì ha all’attivo due partecipazioni alla Biennale di Venezia (2015 e 2011). Negli ultimi anni, molti musei e spazi istituzionali italiani hanno ospitato sue personali, come il Mart di Trento e Rovereto (2020/21), la Fondazione Made in Cloister e il MANN Museo Archeologico Nazionale di Napoli (2020) e il Centro Arti Visive Pescheria di Pesaro (2017). A queste si aggiungono ulteriori importanti personali all’estero, in spazi istituzionali come lo Yu-Hsiu Museum of Art di Taiwan, la Neue Galerie di Gladbeck, il Center for Contemporary Art di Szczecin e la Kunsthalle di Tübingen.
La mostra gode del Patrocinio del Comune di Bologna e dell’Accademia di Belle Arti di Bologna.
Sfregi è un progetto espositivo studiato dall’artista, Nicola Samorì, in esclusiva per le sale del Palazzo delle Esposizioni di Bologna. Una lettura esaustiva e lenticolare del percorso da lui intrapreso negli ultimi vent’anni che illumina le opere più rappresentative della sua produzione. La mostra – circa 80 lavori che spaziano dalla scultura alla pittura, dagli esordi fino alle realizzazioni più recenti – è un progetto di Genus Bononiae. Musei nella Città, ente strumentale della Fondazione Cassa di Risparmio di Bologna.
Bologna è la città che ha visto formarsi Samorì presso l’Accademia di Belle Arti: già in quel contesto hanno preso forma il suo stile e la sua poetica, indissolubilmente connessi ad una profonda necessità di fustigare la serenità delle immagini, prassi che ha mantenuto e sviluppato nel corso degli anni sperimentando sempre nuove tecniche. I traumi inferti alle opere dall’artista – che tenta di turbare, trasgredire e trasfigurare immagini preesistenti – presuppongono infatti, ieri come oggi, un potere taumaturgico.
L’esposizione a Palazzo Fava è occasione per Samorì di cimentarsi in un faccia a faccia con l’intera storia dell’arte, e in particolare con l’epoca barocca, articolando un percorso di suggestioni e analogie e innescando una stretta e intensa relazione con i preziosi fregi che decorano le pareti del piano nobile e con alcune opere individuate all’interno delle collezioni d’Arte e di Storia della Fondazione Carisbo, come i suggestivi ritratti di donne cieche di Annibale Carracci, stabilendo una “affinità elettiva”, oltre che con gli spazi, con lo stesso patrimonio del Museo.
L’intenzione programmatica di connettere le opere allo spazio che le accoglie è evidente fin dal vestibolo: al centro della sala, dominata da una statua neoclassica di Apollo, appare una scultura lignea realizzata da Samorì con un legno antico, che ci racconta una costante del suo lavoro: la meticolosa ricerca sulla materia.
Nel Salone con Il mito di Giasone e Medea un corpus di lavori databili all’ultimo decennio di attività sembra reagire – quasi in estasi – alla pittura dei Carracci: i dipinti, di varie dimensioni, sono infatti accomunati da uno sguardo verso l’alto, in armonica contraddizione con la Maddalena Penitente del Canova al centro della sala, che – come Medea alle pareti – rivolge il suo sguardo in basso.
Grazie ai lavori incentrati sull’ustione del rame, con un focus sul tema del corpo scarnificato, l’artista tenta uno stravolgimento cromatico della Sala degli allievi di Ludovico Carracci. La stanza dipinta da Francesco Albani ospita una “camera delle meraviglie”: qui colpisce la maestria dell’artista nell’adattare i colori e le forme della pietra alle sue nature morte.
La Sala delle Grottesche accoglie l’affresco monumentale Malafonte, che in un gioco di perfette geometrie sembra essere stato concepito da sempre per quello spazio largo 380 centimetri esattamente come l’opera.
Rispetto alle imponenti opere del piano nobile, nelle sale del secondo piano sono esposti lavori di piccolo e medio formato che sviluppano singoli temi o costituiscono dei focus sulle diverse tecniche utilizzate dall’artista: l’accecamento dell’immagine, l’aggregazione di materiali di risulta, la pittura su pietra, il disegno e la scultura. Tra le opere qui esposte spiccano: Lienzo, il Cristo deposto dipinto su un antico tavolo da massaggio, presentato alla Biennale di Venezia; i lavori su onice in cui la pittura incontra la forma naturale della materia; le due splendide Santa Lucia – una scolpita, l’altra dipinta – che si specchiano, con i loro occhi scarnificati.
Opere dunque più intime, ma non meno preziose, che permettono allo spettatore di abbracciare la vasta e complessa produzione di Samorì, una ricerca ossessiva, che potrebbe perfino definirsi maniacale, che gli ha permesso di differenziarsi dall’odierno panorama artistico, balzando agli onori della critica internazionale.
“Questa mostra antologica, la prima in Italia, vuol essere un riconoscimento alla carriera dell’artista, che si presenta al pubblico con un’esposizione ricca ed esauriente che abbraccia tutto il suo percorso creativo: un tentativo di mettersi a nudo di fronte alla storia dell’arte, che incombe dalle pareti stesse del palazzo. – spiega Fabio Roversi-Monaco, Presidente di Genus Bononiae – Penso che Samorì abbia tutto il carattere per reggere un incontro tanto ambizioso e sono felice di accogliere a Palazzo Fava un giovane della nostra terra, che ha già saputo imporsi sul piano internazionale. Le sue opere ci fanno riflettere ed emozionare, riscoprendo il valore taumaturgico dell’arte, di cui abbiamo estremo bisogno”.
Artista tra i più originali della sua generazione e figura che ha saputo creare una versione eterodossa dell’arte, della storia e del tempo, Nicola Samorì ha all’attivo due partecipazioni alla Biennale di Venezia (2015 e 2011). Negli ultimi anni, molti musei e spazi istituzionali italiani hanno ospitato sue personali, come il Mart di Trento e Rovereto (2020/21), la Fondazione Made in Cloister e il MANN Museo Archeologico Nazionale di Napoli (2020) e il Centro Arti Visive Pescheria di Pesaro (2017). A queste si aggiungono ulteriori importanti personali all’estero, in spazi istituzionali come lo Yu-Hsiu Museum of Art di Taiwan, la Neue Galerie di Gladbeck, il Center for Contemporary Art di Szczecin e la Kunsthalle di Tübingen.
La mostra gode del Patrocinio del Comune di Bologna e dell’Accademia di Belle Arti di Bologna.
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