Nirvana. Punk to the people
Dal 12 Dicembre 2013 al 31 Gennaio 2014
Bologna
Luogo: ONO Arte Contemporanea
Indirizzo: via S. Margherita 10
Orari: da martedì a sabato 15-21.30; domenica 16-21
Enti promotori:
- Comune di Bologna
- Fondazione Cineteca di Bologna
- Comune di Baricella
- Regione Emilia Romagna
- Consolato Generale degli Stati Uniti d’America Firenze
Telefono per informazioni: +39 051 262465
E-Mail info: beatrice@onoarte.com
Sito ufficiale: http://www.onoarte.com
ONO Arte Contemporanea presenta Nirvana. Punk to the people, prima mostra italiana dedicata ai Nirvana in occasione dei vent'anni dall'uscita del loro storico album “In Utero” (del 1993) e dalla morte di Kurt Cobain (1994).
«È la scena più eccitante prodotta da una singola città, come non accadeva dai tempi della Londra punk»: così sentenzia Everett True, «il giornalista che ha coniato il termine grunge». Seattle è il palcoscenico del cambiamento. Qui, la “Sub Pop” – ormai famosa etichetta indipendente – aveva dato visibilità a gruppi del rango dei Mudhoney e dei Soundgarden, insieme ai Nirvana, cuore pulsante del movimento. Un movimento però nichilista, che si sviluppa sullo sfondo di una pressante crisi economica che negli anni Ottanta aveva messo in ginocchio la fiorente America, ora attanagliata dalla piaga dell’eroina e dell’AIDS.
È proprio in quell'America che nasce un nuovo suono per rispondere alle esigenze di quei giovani che non avevano più un punto di riferimento e che guardano al punk inglese, ormai passato e storicizzato, trova nuova espressione. I nirvana nascono a opera di Kurt Cobain e Krist Novoselic nel 1987 e nel 1989 esce il primo album Bleach, edito da Sub Pop. L'album ha quelle sonorità aggressive che tanto ancora devono al Punk ma una canzone “About a girl” si distacca drasticamente inaugurando uno stile personalissimo e più vicino al pop che troverà il suo apice in Nevermind del 1991.
A livello visivo e mediatico, Kurt Cobain inaugura un’era e uno stile: con i suoi jeans strappati, le pesanti camicie di flanella a cui si aggiungono i capelli lunghi è il non plus ultra dell’anti-fashion o del do-it-yourself (imperativo per la moda del periodo). Sono questi gli anni in cui nascono i primi movimenti giovanili no-global (dove il no-logo nell’abbigliamento ne rappresenta un perfetto corrispettivo) in risposta alla diffusione di multinazionali quali Starbucks o Microsoft, nate nella cerchia periferica di Seattle.
In mostra le immagini di Charles Peterson, Kevin Mazur e Kirk Weddle, illustrano questo periodo fervido e creativo che influenzerà la musica e lo stile fino ai giorni nostri. Con una forza disarmante ci mostrano quel mondo libero dai condizionamenti dell'industria, che dal punk eredita forse tutta la sua carica sovversiva ma che, mitigato dalla tradizione musicale americana, raggiunge derive più melodiche e pop. Le immagini in mostra vogliono soprattutto ripercorre la storia di una delle band più influenti degli anni Novanta che ha lasciato un segno permanente nella musica come nello stile, attuale oggi più che mai.
Di questo clima inoltre, “Belli e dannati” (My Own Private Idaho) di Gus Van Sant sembra esserne un condensato, e insieme lucido spaccato di quella scena, che idealmente potrebbe concludersi quando, il 5 aprile del 1994, Kurt Cobain si toglie la vita a soli 27 anni nel garage della sua villa di Seattle. «It's better to burn out than to fade away»: con queste profetiche parole, tratte da una canzone di Neil Young, il «ragazzo di vetro» del grunge fa calare il sipario sulla sua vita, ma non sul suo mito, costantemente nutrito dalle sue canzoni e dalle sue immagini, ormai simbolo di un’intera epoca.
«È la scena più eccitante prodotta da una singola città, come non accadeva dai tempi della Londra punk»: così sentenzia Everett True, «il giornalista che ha coniato il termine grunge». Seattle è il palcoscenico del cambiamento. Qui, la “Sub Pop” – ormai famosa etichetta indipendente – aveva dato visibilità a gruppi del rango dei Mudhoney e dei Soundgarden, insieme ai Nirvana, cuore pulsante del movimento. Un movimento però nichilista, che si sviluppa sullo sfondo di una pressante crisi economica che negli anni Ottanta aveva messo in ginocchio la fiorente America, ora attanagliata dalla piaga dell’eroina e dell’AIDS.
È proprio in quell'America che nasce un nuovo suono per rispondere alle esigenze di quei giovani che non avevano più un punto di riferimento e che guardano al punk inglese, ormai passato e storicizzato, trova nuova espressione. I nirvana nascono a opera di Kurt Cobain e Krist Novoselic nel 1987 e nel 1989 esce il primo album Bleach, edito da Sub Pop. L'album ha quelle sonorità aggressive che tanto ancora devono al Punk ma una canzone “About a girl” si distacca drasticamente inaugurando uno stile personalissimo e più vicino al pop che troverà il suo apice in Nevermind del 1991.
A livello visivo e mediatico, Kurt Cobain inaugura un’era e uno stile: con i suoi jeans strappati, le pesanti camicie di flanella a cui si aggiungono i capelli lunghi è il non plus ultra dell’anti-fashion o del do-it-yourself (imperativo per la moda del periodo). Sono questi gli anni in cui nascono i primi movimenti giovanili no-global (dove il no-logo nell’abbigliamento ne rappresenta un perfetto corrispettivo) in risposta alla diffusione di multinazionali quali Starbucks o Microsoft, nate nella cerchia periferica di Seattle.
In mostra le immagini di Charles Peterson, Kevin Mazur e Kirk Weddle, illustrano questo periodo fervido e creativo che influenzerà la musica e lo stile fino ai giorni nostri. Con una forza disarmante ci mostrano quel mondo libero dai condizionamenti dell'industria, che dal punk eredita forse tutta la sua carica sovversiva ma che, mitigato dalla tradizione musicale americana, raggiunge derive più melodiche e pop. Le immagini in mostra vogliono soprattutto ripercorre la storia di una delle band più influenti degli anni Novanta che ha lasciato un segno permanente nella musica come nello stile, attuale oggi più che mai.
Di questo clima inoltre, “Belli e dannati” (My Own Private Idaho) di Gus Van Sant sembra esserne un condensato, e insieme lucido spaccato di quella scena, che idealmente potrebbe concludersi quando, il 5 aprile del 1994, Kurt Cobain si toglie la vita a soli 27 anni nel garage della sua villa di Seattle. «It's better to burn out than to fade away»: con queste profetiche parole, tratte da una canzone di Neil Young, il «ragazzo di vetro» del grunge fa calare il sipario sulla sua vita, ma non sul suo mito, costantemente nutrito dalle sue canzoni e dalle sue immagini, ormai simbolo di un’intera epoca.
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