Giovanna Marraro. Personale di Pittura
Dal 09 Gennaio 2015 al 25 Gennaio 2015
Catania
Luogo: Palazzo Platamone
Indirizzo: via Vittorio Emanuele II, 121
Orari: da martedì a sabato 9-13 / 15,30-19
Enti promotori:
- Città di Catania
Costo del biglietto: ingresso gratuito
Telefono per informazioni: +39 095 7150405
E-Mail info: bonucciajelo@yahoo.it
Sito ufficiale: http://www.comune.catania.it/
Nella pittura di Giovanna Marraro si colgono testimonianze inequivocabili del suo essere donna, siciliana, madre. Appaiono esplicite, se si accetta la sfida di cercare il legame possibile fra il questo, ovvero la soggettività più intima, e l’andare al di fuori del questo, nell’esterno che visione e desiderio ci propongono come meta e come limite.
Del resto, qui si legge l’attualità di questi dipinti. Si pensi al ritorno di interesse per la pittura che potremmo definire estatico-paesaggistica, che trova esemplificazioni inarrivabili in Turner e Monet. La frizione odierna fra le soggettività estetiche e il vaporizzarsi delle esperienze sembra trovare un possibile equilibrio (sia pure utopico) nell’Aperto, sempre inattingibile, là dove le tensioni si acutizzano e allo stesso tempo si disinnescano. “Li vediamo, perfettamente e limpidamente come non mai e, tuttavia, non li vediamo già più, perduti – felicemente, immemorabilmente perduti – nel paesaggio” (Agamben).
La pittura di Marraro si inserisce in una linea di espressività pittorica che intende far colore di quell’esperienza quasi estatica (essere-qui essendo in un nessundove). Fra i momenti salienti di quel percorso di ricerca contemporanea certamente va ricordato l’Informale europeo, nel suo nesso disgiuntivo con l’Action painting statunitense. La pittura di Marraro trova origine e alimento in alcuni modi di quelle esperienze, dal gestualismo al segnismo (qui accennato, nel reiterarsi delle cellule cromatiche). È il colore, l’elemento dominante. Luci e ombre cercano un equilibrio fra interno ed esterno, alla ricerca di quanto Handke chiamava “mondo interno dell’esterno dell’interno”. È il colore il medium, il tramite, metaxy, fra soggettività e sofferta apertura all’esterno; colore in movimento, primari che sfumano in accordature tonali o dissonanti, ombre negate, luci soffuse.
Non è questione qui né di forma né di non-forma, se non di forma/non-forma di qualcosa come il sentimento. Un che di invisibile, dunque, che semmai diventa visibile nel “guardarsi dentro”: la pittura è ciò che viene tracciato sulla superficie quando si pensa a se stessi e al mondo, il colore è ciò che la superficie supporta quando si pensa al colore. Di conseguenza, parlando con Giovanna Marraro si possono ascoltare frasi come “questo quadro mi spaventa” o “questo quadro mi entusiasma”. Emozioni, che la soggettività rielabora mediante il suo procedere sulla superficie, e che svelano alla pittrice qualcosa che ancora non sapeva in quanto lo sapeva da sempre. Dolenti intuizioni del proprio stare al mondo, da donna, da siciliana, da madre.
Del resto, qui si legge l’attualità di questi dipinti. Si pensi al ritorno di interesse per la pittura che potremmo definire estatico-paesaggistica, che trova esemplificazioni inarrivabili in Turner e Monet. La frizione odierna fra le soggettività estetiche e il vaporizzarsi delle esperienze sembra trovare un possibile equilibrio (sia pure utopico) nell’Aperto, sempre inattingibile, là dove le tensioni si acutizzano e allo stesso tempo si disinnescano. “Li vediamo, perfettamente e limpidamente come non mai e, tuttavia, non li vediamo già più, perduti – felicemente, immemorabilmente perduti – nel paesaggio” (Agamben).
La pittura di Marraro si inserisce in una linea di espressività pittorica che intende far colore di quell’esperienza quasi estatica (essere-qui essendo in un nessundove). Fra i momenti salienti di quel percorso di ricerca contemporanea certamente va ricordato l’Informale europeo, nel suo nesso disgiuntivo con l’Action painting statunitense. La pittura di Marraro trova origine e alimento in alcuni modi di quelle esperienze, dal gestualismo al segnismo (qui accennato, nel reiterarsi delle cellule cromatiche). È il colore, l’elemento dominante. Luci e ombre cercano un equilibrio fra interno ed esterno, alla ricerca di quanto Handke chiamava “mondo interno dell’esterno dell’interno”. È il colore il medium, il tramite, metaxy, fra soggettività e sofferta apertura all’esterno; colore in movimento, primari che sfumano in accordature tonali o dissonanti, ombre negate, luci soffuse.
Non è questione qui né di forma né di non-forma, se non di forma/non-forma di qualcosa come il sentimento. Un che di invisibile, dunque, che semmai diventa visibile nel “guardarsi dentro”: la pittura è ciò che viene tracciato sulla superficie quando si pensa a se stessi e al mondo, il colore è ciò che la superficie supporta quando si pensa al colore. Di conseguenza, parlando con Giovanna Marraro si possono ascoltare frasi come “questo quadro mi spaventa” o “questo quadro mi entusiasma”. Emozioni, che la soggettività rielabora mediante il suo procedere sulla superficie, e che svelano alla pittrice qualcosa che ancora non sapeva in quanto lo sapeva da sempre. Dolenti intuizioni del proprio stare al mondo, da donna, da siciliana, da madre.
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