Michele Lombardelli. Camera Chiara
Dal 28 Febbraio 2014 al 15 Marzo 2014
Cremona
Luogo: CRAC - Centro Ricerca Arte Contemporanea
Indirizzo: via XI Febbraio 80
Orari: da lunedì a venerdì 10-12 / 15-19; sabato 10-12 e su appuntamento
Telefono per informazioni: +39 0372 34190
E-Mail info: crac.cremona@artisticomunari.it
Sito ufficiale: http://www.crac-cremona.org
“Rigore formale ed economia espressiva. Scrivere è come lavorare su “un mucchio di cenere”: questo è il complesso Beckett degli anni ‘70, quello di Lessness e Company, che reca a vessillo un motto non più esistenzialista né tragicomico.
A mettere in moto la recente produzione di Michele Lombardelli (Cremona, 1968; vive a Cremona e Los Angeles) è proprio questa versione stanca del drammaturgo irlandese, che in un momento di impasse creativa produce il miglior elogio della forma residuale e della “pochezza” espressiva: lavorare su “ciò che resta”, secondo una precisa grammatica dei materiali, dei loro processi di manipolazione e della loro posizione nello spazio. E con una logica estranea all’iperproduzione”.
Così scrive il curatore Simone Frangi di Lombardelli, nel recensire una sua mostra del 2010, ed è ciò che caratterizza ancora la ricerca e il mondo delle forme che interessano l’artista.
Nel progetto proposto al CRAC vengono attivati due laboratori da tenersi con gli studenti, con lo scopo di esplorare il disegno attraverso l’uso di uno strumento: la camera chiara o lucida, in disuso con la nascita della fotografia; e di una tecnica: la fotoincisione, per trasferire qualsiasi segno o lavoro fotografico su una matrice da cui trarre stampe.
La camera chiara o lucida, entrò in scena nel 1807 per mano dello scienziato inglese William Hyde Wollaston, essa consisteva in un prisma di vetro legato ad un'asticella sormontante una tavoletta su cui era posto un foglio di carta. La camera lucida era uno strumento agile e poco ingombrante ma richiedeva comunque una buona dose di abilità manuale per poter essere davvero utilizzata. Il prisma permetteva al disegnatore di vedere contemporaneamente il soggetto da ritrarre e il foglio sul quale doveva disegnarlo.
Per l’occasione lo spazio espositivo del CRAC assumerà le parvenze di una bottega artigiana, sarà istallata una natura morta e dei calchi di gesso, soggetti da ricopiare che faranno parte dell’allestimento.
Alla forte presenza delle composizioni di genere, si oppongono come epifanie i residui e le tracce appena esposte da Lombardelli: un disegno dalle linee incerte lasciato dalla graffite, o dalla penna ceduta allo scorrere della mano franata sulla carta, una piccola tela dipinta con la coloritura dai toni scuri e grigi appena accennati, e una forma-scultura di metallo. Si tratta di indizi di sostanze dai contorni incerti, di accenni di ciò che resta dei corpi, tremule apparenze di visioni sfrangiate, debordate in una visione gelatinosa, come se la vista fosse stata improvvisamente sorpresa dalla discesa di una cataratta.
Ma proprio da questi residui segnici e dalla sottrazione dichiarata degli spazi e della materia, ottenuti utilizzando uno strumento che dovrebbe essere di precisione come la camera chiara, che l’artista ci restituisce una rigorosa visione delle cose, rigore ed economia espressiva che possono rivelarsi solo dall’inatteso sorgere dei segni, dal precipitare del gesto nell’incertezza che segue quando si cerca di disegnare su un accumulo di sabbia.
A mettere in moto la recente produzione di Michele Lombardelli (Cremona, 1968; vive a Cremona e Los Angeles) è proprio questa versione stanca del drammaturgo irlandese, che in un momento di impasse creativa produce il miglior elogio della forma residuale e della “pochezza” espressiva: lavorare su “ciò che resta”, secondo una precisa grammatica dei materiali, dei loro processi di manipolazione e della loro posizione nello spazio. E con una logica estranea all’iperproduzione”.
Così scrive il curatore Simone Frangi di Lombardelli, nel recensire una sua mostra del 2010, ed è ciò che caratterizza ancora la ricerca e il mondo delle forme che interessano l’artista.
Nel progetto proposto al CRAC vengono attivati due laboratori da tenersi con gli studenti, con lo scopo di esplorare il disegno attraverso l’uso di uno strumento: la camera chiara o lucida, in disuso con la nascita della fotografia; e di una tecnica: la fotoincisione, per trasferire qualsiasi segno o lavoro fotografico su una matrice da cui trarre stampe.
La camera chiara o lucida, entrò in scena nel 1807 per mano dello scienziato inglese William Hyde Wollaston, essa consisteva in un prisma di vetro legato ad un'asticella sormontante una tavoletta su cui era posto un foglio di carta. La camera lucida era uno strumento agile e poco ingombrante ma richiedeva comunque una buona dose di abilità manuale per poter essere davvero utilizzata. Il prisma permetteva al disegnatore di vedere contemporaneamente il soggetto da ritrarre e il foglio sul quale doveva disegnarlo.
Per l’occasione lo spazio espositivo del CRAC assumerà le parvenze di una bottega artigiana, sarà istallata una natura morta e dei calchi di gesso, soggetti da ricopiare che faranno parte dell’allestimento.
Alla forte presenza delle composizioni di genere, si oppongono come epifanie i residui e le tracce appena esposte da Lombardelli: un disegno dalle linee incerte lasciato dalla graffite, o dalla penna ceduta allo scorrere della mano franata sulla carta, una piccola tela dipinta con la coloritura dai toni scuri e grigi appena accennati, e una forma-scultura di metallo. Si tratta di indizi di sostanze dai contorni incerti, di accenni di ciò che resta dei corpi, tremule apparenze di visioni sfrangiate, debordate in una visione gelatinosa, come se la vista fosse stata improvvisamente sorpresa dalla discesa di una cataratta.
Ma proprio da questi residui segnici e dalla sottrazione dichiarata degli spazi e della materia, ottenuti utilizzando uno strumento che dovrebbe essere di precisione come la camera chiara, che l’artista ci restituisce una rigorosa visione delle cose, rigore ed economia espressiva che possono rivelarsi solo dall’inatteso sorgere dei segni, dal precipitare del gesto nell’incertezza che segue quando si cerca di disegnare su un accumulo di sabbia.
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