Mind the Gap
Dal 13 Giugno 2015 al 08 Agosto 2015
Firenze
Luogo: Eduardo Secci Contemporary
Indirizzo: via Maggio 51/r
Orari: Martedì - Sabato 10 - 13:30 / 14:30 - 19
Curatori: Gino Pisapia
Telefono per informazioni: +39 055 283506
E-Mail info: gallery@eduardosecci.com
Sito ufficiale: http://www.eduardosecci.com
La galleria Eduardo Secci Contemporary è lieta di inaugurare venerdì 12 giugno 2015 alle ore 18.00, negli spazi fiorentini di Via Maggio 51R la mostra collettiva dal titolo Mind the Gap a cura di Gino Pisapia.
La scrittura espositiva si propone di creare attraverso le opere di Davide Allieri (Bergamo, 1982), Alexandros Papathanasiou (Swansea, 1977), Luca Pozzi (Milano,1983) e Tamara Repetto (Genova, 1973), un percorso eterogeneo e coerente, capace di restituire a chi guarda una completa e complessa geografia del sistema di relazioni e condivisioni che le opere, in maniera solidale e aperta con lo spazio, attuano. Il titolo della mostra è preso direttamente in prestito dalla nota registrazione “Mind the gap”, introdotta per la prima volta nel 1969 nella Metropolitana di Londra e da allora seppur con piccole varianti si è diffusa su scala internazionale entrando a far parte della colonna sonora “obbligata”, che accompagna il transito quotidiano di milioni di utenti nel mondo. “Mind the gap”, tecnicamente tradotta in “Attenzione al vuoto”, intende allertare i viaggiatori spesso distratti rispetto a quello che potrebbe essere il pericolo costituito dallo spazio che intercorre tra la banchina ferroviaria e il pianale del treno. L’idea progettuale nasce dunque dall’esigenza di concentrarsi su quel “vuoto” evidenziato da “Mind the gap”, accendendo i riflettori della conoscenza acquisita e acquisibile attraverso l’esperienza. Esperienza diretta e indiretta, attiva e passiva, che consente di provare a capire attraverso la forma, le numerose modalità che il vuoto ha di manifestarsi o semplicemente di agire, accogliendo i fenomeni che in esso si generano dando vita a costruzioni percepibili non solo alla vista ma anche all’udito e all’olfatto. Possiamo perciò affermare che alla base delle attività che accompagnano i processi formativi delle opere e che interessano la fruizione estetica delle forme da esse prodotte, non sta una teoria del vuoto, ma un’esperienza del vuoto, che è ottenibile solo mediante la pratica. Gli artisti coinvolti nel progetto portano al cuore delle loro poetiche un’indagine complessa che declina concetti e forme seguendo una pluralità metodologica capace di far collimare il detto con il non detto, il vuoto con il pieno in una funzione reversibile e continua. Qui l’indagine sul racconto artistico contemporaneo si carica di una corposa mole di riferimenti, suggestioni e ispirazioni, arricchendosi al contempo della storia e dei suoi “prodotti”, delle scoperte e delle regole che il progresso costantemente ci consegna. La mostra si apre con una serie di opere che analizzano il tema del vuoto su più livelli e riunisce due immagini fotografiche tratte dal macro progetto Supersymmetric Partner di Luca Pozzi, rispettivamente del 2010 e 2014, dove l’artista si lascia ritrarre davanti ai banchetti del Veronese mentre compie un gesto atletico, spiccando un salto fino a collocarsi idealmente nel vuoto creato tra i personaggi dipinti con l’intento di unificare lo spazio e il tempo, la storia passata e quella futura attraverso la gravità che colma il vuoto nel presente, mediante la massa corporea dell’artista stesso, quindi con la sua immagine. Oppure il feltro Still waiting for a spatial concept II, 2015, ispirato al Concetto Spaziale, Attese, del 1965, formato da 12 tagli, che Alexandros Papathanasiou in maniera consapevolmente lucida e ironica ricuce, chiudendo definitivamente quello spazio vuoto reale aperto 50 anni prima dalla geniale intuizione di Fontana. In mostra sempre di Papathanasiou viene presentato Into Dust, 2014, scultura in progress, di forma sferica realizzata completamente di polvere, quella stessa che si muove libera nel vuoto e impossibile da percepire se non attraverso la sua stratificazione nel tempo. A questo punto il racconto espositivo prosegue con due sculture di Davide Allieri, 0.488 cubic meters (K), 2015 e Senza Titolo, 2013, differenti tipologie di “teche” molto curate nei dettagli, eleganti, progettate come architetture e completamente vuote. Se la prima palesa nel titolo il calcolo del suo volume interno, “conservando” il vuoto, la seconda privata dei vetri ne viene attraversata. Completa la mostra l’installazione ambientale di Tamara Repetto che in un certo qual modo concentra e sintetizza le differenti proprietà del vuoto. Oniria, 2014, è un’opera esperienziale, che vive nel vuoto, azionata da un rilevatore di movimento che al passaggio del pubblico attiva un circuito virtuoso capace di produrre suoni e profumi.
La scrittura espositiva si propone di creare attraverso le opere di Davide Allieri (Bergamo, 1982), Alexandros Papathanasiou (Swansea, 1977), Luca Pozzi (Milano,1983) e Tamara Repetto (Genova, 1973), un percorso eterogeneo e coerente, capace di restituire a chi guarda una completa e complessa geografia del sistema di relazioni e condivisioni che le opere, in maniera solidale e aperta con lo spazio, attuano. Il titolo della mostra è preso direttamente in prestito dalla nota registrazione “Mind the gap”, introdotta per la prima volta nel 1969 nella Metropolitana di Londra e da allora seppur con piccole varianti si è diffusa su scala internazionale entrando a far parte della colonna sonora “obbligata”, che accompagna il transito quotidiano di milioni di utenti nel mondo. “Mind the gap”, tecnicamente tradotta in “Attenzione al vuoto”, intende allertare i viaggiatori spesso distratti rispetto a quello che potrebbe essere il pericolo costituito dallo spazio che intercorre tra la banchina ferroviaria e il pianale del treno. L’idea progettuale nasce dunque dall’esigenza di concentrarsi su quel “vuoto” evidenziato da “Mind the gap”, accendendo i riflettori della conoscenza acquisita e acquisibile attraverso l’esperienza. Esperienza diretta e indiretta, attiva e passiva, che consente di provare a capire attraverso la forma, le numerose modalità che il vuoto ha di manifestarsi o semplicemente di agire, accogliendo i fenomeni che in esso si generano dando vita a costruzioni percepibili non solo alla vista ma anche all’udito e all’olfatto. Possiamo perciò affermare che alla base delle attività che accompagnano i processi formativi delle opere e che interessano la fruizione estetica delle forme da esse prodotte, non sta una teoria del vuoto, ma un’esperienza del vuoto, che è ottenibile solo mediante la pratica. Gli artisti coinvolti nel progetto portano al cuore delle loro poetiche un’indagine complessa che declina concetti e forme seguendo una pluralità metodologica capace di far collimare il detto con il non detto, il vuoto con il pieno in una funzione reversibile e continua. Qui l’indagine sul racconto artistico contemporaneo si carica di una corposa mole di riferimenti, suggestioni e ispirazioni, arricchendosi al contempo della storia e dei suoi “prodotti”, delle scoperte e delle regole che il progresso costantemente ci consegna. La mostra si apre con una serie di opere che analizzano il tema del vuoto su più livelli e riunisce due immagini fotografiche tratte dal macro progetto Supersymmetric Partner di Luca Pozzi, rispettivamente del 2010 e 2014, dove l’artista si lascia ritrarre davanti ai banchetti del Veronese mentre compie un gesto atletico, spiccando un salto fino a collocarsi idealmente nel vuoto creato tra i personaggi dipinti con l’intento di unificare lo spazio e il tempo, la storia passata e quella futura attraverso la gravità che colma il vuoto nel presente, mediante la massa corporea dell’artista stesso, quindi con la sua immagine. Oppure il feltro Still waiting for a spatial concept II, 2015, ispirato al Concetto Spaziale, Attese, del 1965, formato da 12 tagli, che Alexandros Papathanasiou in maniera consapevolmente lucida e ironica ricuce, chiudendo definitivamente quello spazio vuoto reale aperto 50 anni prima dalla geniale intuizione di Fontana. In mostra sempre di Papathanasiou viene presentato Into Dust, 2014, scultura in progress, di forma sferica realizzata completamente di polvere, quella stessa che si muove libera nel vuoto e impossibile da percepire se non attraverso la sua stratificazione nel tempo. A questo punto il racconto espositivo prosegue con due sculture di Davide Allieri, 0.488 cubic meters (K), 2015 e Senza Titolo, 2013, differenti tipologie di “teche” molto curate nei dettagli, eleganti, progettate come architetture e completamente vuote. Se la prima palesa nel titolo il calcolo del suo volume interno, “conservando” il vuoto, la seconda privata dei vetri ne viene attraversata. Completa la mostra l’installazione ambientale di Tamara Repetto che in un certo qual modo concentra e sintetizza le differenti proprietà del vuoto. Oniria, 2014, è un’opera esperienziale, che vive nel vuoto, azionata da un rilevatore di movimento che al passaggio del pubblico attiva un circuito virtuoso capace di produrre suoni e profumi.
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