Tabù. Classico Contemporaneo. Opere di Cecilia Cosci
Dal 28 Maggio 2021 al 19 Giugno 2021
Firenze
Luogo: Tobian Art Gallery
Indirizzo: Via Maggio 78r
Orari: da martedì a domenica ore 10.30 – 13.10 / 14.30 – 20.00, lunedì chiuso
Curatori: Gisella Guarducci
Costo del biglietto: ingresso gratuito
Telefono per informazioni: +39 055 5326272
E-Mail info: tobianart@gmail.com
Sito ufficiale: http://www.tobianart.com
Alla Tobian Art Gallery il 28 maggio 2021 si inaugura finalmente Tabù. Classico Contemporaneo. Opere di Cecilia Cosci, prima personale dell’artista fiorentina, la cui inaugurazione, prevista per lo scorso novembre, era stata rinviata a causa del Covid. La mostra, curata da Gisella Guarducci, è corredata da un catalogo con testi di Gianni Pozzi, Gianni Caverni e Adalinda Gasparini.
Cecilia Cosci, laureata in Storia dell’Arte e animata da un grande amore per l’arte figurativa, da due anni a questa parte si cimenta nella creazione di montage, composizioni percorse da una cifra incontenibilmente ironica che nascono dall’incastro di ritagli raffiguranti parti di opere pittoriche rinascimentali e realizzate servendosi soltanto di carta, cartone, forbici e colla.
Il termine montage richiama collage, ed è un omaggio al cinema in cui la creazione dell’opera avviene proprio nella fase di montaggio. Un’operazione, quest’ultima, che scartando e ricombinando fa emergere significati potenziali che suscitano un sorriso, imponendo allo sguardo una realtà di solito rimossa.
Assecondando un’insopprimibile quanto fino a poco tempo fa sconosciuta urgenza creativa, che la porta a sottoporre ad un’operazione di scomposizione e ricomposizione l’immaginario artistico a lei familiare, Cecilia ritaglia libri, cartoline, riviste, brochure e a volte immagini stampate appositamente da internet per dare vita a “nuovi montaggi, accostamenti inediti, apparentemente tanto incongrui da lasciare interdetti, funzionalmente tanto efficaci da strappare un sorriso, una riflessione, una riconsiderazione”, come osserva Gianni Pozzi, che aggiunge: “Le sue figure, ritagliate, ingigantite, decontestualizzate rimangono nel mondo della raffigurazione artistica, ma tutto viene riformulato e se ne mostra un’altra vitalità, una possibilità non prevista. Si rende altrimenti leggibile una storia, quella dell’arte dei giganti o dei padri, attraverso apparizioni fulminee, non più in una continuità spazio temporale, ma che, così rinnovate, interpellano in un’operazione critica lo spettatore, facendo vedere quello che la consuetudine impedisce di cogliere”.
Liberati dal contesto figurativo di appartenenza, i protagonisti, animati e non, dei capolavori rinascimentali sedimentatisi ormai nel nostro patrimonio culturale creano insolite connessioni prendendo nuova vita e aprendo la strada a interpretazioni e significati imprevisti e magicamente attuali. “È come se la parte conscia e quella inconscia si alternassero selezionando, combinando, creando collegamenti fra ciò che so e ciò che provo fino ad ottenere qualcosa di nuovo”, spiega Cecilia Cosci riferendosi al suo processo creativo, che a volte può durare anche mesi. Il punto di partenza può essere un’idea, una sensazione, un’immagine che affiorano tra la veglia e il sonno dando inizio ad un paziente lavoro fatto tutto artigianalmente.
Ne Il Principio di Archimede, ad esempio, il braccio armato del personaggio che figura nell’Incoronazione di spine di Caravaggio tenta invano di spingere fuori dal perimetro della raffigurazione la testa di Monna Lisa, nel cui sguardo sembra di poter cogliere un’insopprimibile ironia: la sottomissione a cui è costretta in fondo è solo momentanea, se è vero, secondo una lettura suggerita forse anche dal titolo dell’opera, che la donna riceve da Madre Terra una spinta tale da contrastare prima o poi qualunque tentativo di asservimento. E, come fa osservare Adalinda Gasparini, “se torniamo a guardarla nel suo quadro, dal quale è e non è uscita, la sentiamo più vicina”.
In Eva Cecilia immerge la donna che figura in Meditazione di Hayez in un paesaggio primordiale, quello dell’incantatrice di serpenti dipinto dal Doganiere, coprendo tutti i riferimenti ai fatti storici contemporanei, come la croce che recava la data della sconfitta dell’esercito piemontese nella prima guerra d’Indipendenza. Perché quello che le interessa del quadro di Hayez è lo sguardo determinato sfoderato dalla protagonista, trasformata in un’Eva moderna, una creatura indipendente, non accondiscendente, scomoda e paziente perché sa cosa vuole e come ottenerlo. Così l’artista strappa dall’astrazione un’allegoria, rendendo la protagonista di Meditazione un ritratto concreto. E lo fa proponendo garbatamete, come suggerito da Gianni Caverni che ci tiene a sottolineare che i lavori di Cecilia Cosci non sono dei collage, ma hanno a che fare con una questione ben più complessa perché “affrontano il problema della contemporaneità e del suo potenziale di iconoclastia, del recupero con occhi nuovi e altri bisogni, di digestione del patrimonio culturale”.
Un processo, quest’ultimo, che si realizza anche attraverso quell’operazione di decostruzione e ricostruzione dell’immagine artistica in atto nei tagli di Cecilia, che sembrano seguire il suggerimento, dato da Georges Perec nel suo Infra-ordinario (1993), di tornare ad interrogare l’abituale, ciò che sembra avere smesso di stupirci, smontandolo e rimontandolo. “Ed è quello che fa Cecilia Cosci col suo abituale immaginario artistico”, rileva Gianni Pozzi, specificando che lo fa “con l’atteggiamento antisoggettivistico di tanta ricerca contemporanea, ma anche con la determinazione di chi vuole tornare a scoprire, emozionare ed emozionarsi”.
Cecilia Cosci è figlia di Firenze, dove vive dal 1973. Laureata in storia dell'arte, prima di dedicarsi all'insegnamento, è stata redattrice per il canale televisivo TMC2 e per la rivista Art e Dossier della casa editrice Giunti. Alla sua passione per l'arte figurativa, per il cinema e la musica, unisce l'amore per le fiabe, che ha messo in scena in spettacoli per bambini con la compagnia teatrale Gli Asini di Mercadante.
Cecilia Cosci, laureata in Storia dell’Arte e animata da un grande amore per l’arte figurativa, da due anni a questa parte si cimenta nella creazione di montage, composizioni percorse da una cifra incontenibilmente ironica che nascono dall’incastro di ritagli raffiguranti parti di opere pittoriche rinascimentali e realizzate servendosi soltanto di carta, cartone, forbici e colla.
Il termine montage richiama collage, ed è un omaggio al cinema in cui la creazione dell’opera avviene proprio nella fase di montaggio. Un’operazione, quest’ultima, che scartando e ricombinando fa emergere significati potenziali che suscitano un sorriso, imponendo allo sguardo una realtà di solito rimossa.
Assecondando un’insopprimibile quanto fino a poco tempo fa sconosciuta urgenza creativa, che la porta a sottoporre ad un’operazione di scomposizione e ricomposizione l’immaginario artistico a lei familiare, Cecilia ritaglia libri, cartoline, riviste, brochure e a volte immagini stampate appositamente da internet per dare vita a “nuovi montaggi, accostamenti inediti, apparentemente tanto incongrui da lasciare interdetti, funzionalmente tanto efficaci da strappare un sorriso, una riflessione, una riconsiderazione”, come osserva Gianni Pozzi, che aggiunge: “Le sue figure, ritagliate, ingigantite, decontestualizzate rimangono nel mondo della raffigurazione artistica, ma tutto viene riformulato e se ne mostra un’altra vitalità, una possibilità non prevista. Si rende altrimenti leggibile una storia, quella dell’arte dei giganti o dei padri, attraverso apparizioni fulminee, non più in una continuità spazio temporale, ma che, così rinnovate, interpellano in un’operazione critica lo spettatore, facendo vedere quello che la consuetudine impedisce di cogliere”.
Liberati dal contesto figurativo di appartenenza, i protagonisti, animati e non, dei capolavori rinascimentali sedimentatisi ormai nel nostro patrimonio culturale creano insolite connessioni prendendo nuova vita e aprendo la strada a interpretazioni e significati imprevisti e magicamente attuali. “È come se la parte conscia e quella inconscia si alternassero selezionando, combinando, creando collegamenti fra ciò che so e ciò che provo fino ad ottenere qualcosa di nuovo”, spiega Cecilia Cosci riferendosi al suo processo creativo, che a volte può durare anche mesi. Il punto di partenza può essere un’idea, una sensazione, un’immagine che affiorano tra la veglia e il sonno dando inizio ad un paziente lavoro fatto tutto artigianalmente.
Ne Il Principio di Archimede, ad esempio, il braccio armato del personaggio che figura nell’Incoronazione di spine di Caravaggio tenta invano di spingere fuori dal perimetro della raffigurazione la testa di Monna Lisa, nel cui sguardo sembra di poter cogliere un’insopprimibile ironia: la sottomissione a cui è costretta in fondo è solo momentanea, se è vero, secondo una lettura suggerita forse anche dal titolo dell’opera, che la donna riceve da Madre Terra una spinta tale da contrastare prima o poi qualunque tentativo di asservimento. E, come fa osservare Adalinda Gasparini, “se torniamo a guardarla nel suo quadro, dal quale è e non è uscita, la sentiamo più vicina”.
In Eva Cecilia immerge la donna che figura in Meditazione di Hayez in un paesaggio primordiale, quello dell’incantatrice di serpenti dipinto dal Doganiere, coprendo tutti i riferimenti ai fatti storici contemporanei, come la croce che recava la data della sconfitta dell’esercito piemontese nella prima guerra d’Indipendenza. Perché quello che le interessa del quadro di Hayez è lo sguardo determinato sfoderato dalla protagonista, trasformata in un’Eva moderna, una creatura indipendente, non accondiscendente, scomoda e paziente perché sa cosa vuole e come ottenerlo. Così l’artista strappa dall’astrazione un’allegoria, rendendo la protagonista di Meditazione un ritratto concreto. E lo fa proponendo garbatamete, come suggerito da Gianni Caverni che ci tiene a sottolineare che i lavori di Cecilia Cosci non sono dei collage, ma hanno a che fare con una questione ben più complessa perché “affrontano il problema della contemporaneità e del suo potenziale di iconoclastia, del recupero con occhi nuovi e altri bisogni, di digestione del patrimonio culturale”.
Un processo, quest’ultimo, che si realizza anche attraverso quell’operazione di decostruzione e ricostruzione dell’immagine artistica in atto nei tagli di Cecilia, che sembrano seguire il suggerimento, dato da Georges Perec nel suo Infra-ordinario (1993), di tornare ad interrogare l’abituale, ciò che sembra avere smesso di stupirci, smontandolo e rimontandolo. “Ed è quello che fa Cecilia Cosci col suo abituale immaginario artistico”, rileva Gianni Pozzi, specificando che lo fa “con l’atteggiamento antisoggettivistico di tanta ricerca contemporanea, ma anche con la determinazione di chi vuole tornare a scoprire, emozionare ed emozionarsi”.
Cecilia Cosci è figlia di Firenze, dove vive dal 1973. Laureata in storia dell'arte, prima di dedicarsi all'insegnamento, è stata redattrice per il canale televisivo TMC2 e per la rivista Art e Dossier della casa editrice Giunti. Alla sua passione per l'arte figurativa, per il cinema e la musica, unisce l'amore per le fiabe, che ha messo in scena in spettacoli per bambini con la compagnia teatrale Gli Asini di Mercadante.
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