A come Armenia
Dal 26 Luglio 2015 al 15 Settembre 2015
Lipari | Messina
Luogo: Terme di San Calogero di Lipari
Indirizzo: Pianoconte, Lipari
Orari: dal lunedì al sabato 10-19
Curatori: Martina Corgnati
Enti promotori:
- Fondazione Horcynus Orca
Costo del biglietto: offerta libera
Telefono per informazioni: +39 339 68 84 161
E-Mail info: info@horcynusorca.it
Sito ufficiale: http://www.horcynusorca.it
“A come Armenia” è la mostra d’arte contemporanea che apre, alle 11.30 del 26 luglio alle Antiche Terme di San Calogero di Lipari, l’edizione 2015 dell’Horcynus Festival.
Il titolo del Festival è Ricordare per dimenticare. Ricordare, cercando la verità delle ferite aperte – a partire dal genocidio del popolo armeno del 1915 – perché solo dalla ricerca della verità può arrivare la pacificazione con la storia.
L’Armenia è il paese ospite. Il Festival celebra i cento anni dal Metz Yeghérn, Il “Grande Male”, termine con il quale si indica la strage degli armeni, un milione e mezzo di morti, in Turchia, dedicando ampio spazio alle manifestazioni contemporanee della cultura armena, con la quale le regioni meridionali, Sicilia e Calabria in primis, hanno una lunghissima storia di intrecci e scambi.
La mostra d’arte contemporanea “A come Armenia” è curata da Martina Corgnati (storica dell’arte, docente all’Accademia di Brera di Milano, membro del Comitato Scientifico e direttore del settore Arti Visive della Fondazione Horcynus Orca) e prosegue l’indagine sui linguaggi artistici del Mediterraneo avviata nel 2004 dalla Fondazione Horcynus. È un viaggio attraverso le immagini fotografiche di cinque artisti, armeni e non, che in queste opere hanno scelto l’Armenia come tema o come metafora, come “segno” forte di un ambito culturale e di un paesaggio ma anche come memoria o come impossibilità di sguardo, luogo per definizione irraggiungibile.
Il percorso espositivo si apre con un omaggio a Van Leo (1921-2002), notissimo fotografo di studio, nato ad Adana ma fuggito in Egitto con i genitori, fortunosamente scampati al genocidio. I suoi sono ritratti di attori e attrici, modelle e personaggi di un Medio Oriente aperto e multietnico, che nel frattempo è stato quasi completamente spazzato via dalla storia.
Al cuore della mostra, la grande installazione di Mario Sillani Djerrahian, Walking for Ad Reinhardt, composta da 106 immagini organizzate con rigore geometrico intorno a una riproduzione fotografica di un’opera del grande artista americano. Oggetti e paesaggi non sono riconoscibili ma immersi nella nebbia entropica della sfocatura, che mette in questione il senso stesso del lavoro fotografico, così come la natura della nostalgia per il lontano, l’irrecuperabile, nel tempo e nello spazio.
Immagini ibride come potenti campi magnetici che attraggono segni verbali, invocazioni, visioni, oggetti e azioni caratterizzano la serie di sette collage digitali e il video J’ai utilisé la mémoire di Agnese Purgatorio L’insieme ricrea un’intensa dimensione poetica dove drammi e marginalità presenti si sovrappongono a tragedie passate e l’antico paesaggio in rovina della capitale armena di Ani diventa sfondo di una performance dedicata alle donne sopravvissute al genocidio.
Sharis Garabedian, che appartiene alla terza generazione dei figli della diaspora armena, sceglie pareti scrostate, edifici in rovina, porte e vecchi muri, frammenti di un vissuto collettivo e ormai anonimo, le cui superfici multicolori riportano alla mente dei quadri astratti. Le stratificazioni messe a nudo dal degrado e, forse, dalla violenza di cui il paesaggio è stato testimone, presentano un’inattesa bellezza e si configurano come palinsesti di storie e presenze irrecuperabili.
Armenie ville di Claudio Gobbi è la sintesi di più di sette anni di ricerca sulle tracce dell’architettura ecclesiastica armena in oltre 25 paesi. Evidenziando le peculiarità di questa architettura e l’essenzialità delle sue forme, rimaste inalterate per oltre 1500 anni, l’artista si sofferma sui concetti di tempo e memoria collettiva. Come nell’ Atlante Warburghiano le forme sono in se stesse portatrici di significato, segnando in questo caso un possibile confine della civiltà occidentale.
Dopo l’inaugurazione eoliana, il festival prosegue dal 28 luglio al 2 agosto al Parco Horcynus Orca di Capo Peloro, dedicando ampio spazio a tutte le manifestazioni contemporanee della cultura armena, con la quale le regioni meridionali, Sicilia e Calabria in primis, hanno una lunghissima storia di intrecci e scambi.
Il titolo del Festival è Ricordare per dimenticare. Ricordare, cercando la verità delle ferite aperte – a partire dal genocidio del popolo armeno del 1915 – perché solo dalla ricerca della verità può arrivare la pacificazione con la storia.
L’Armenia è il paese ospite. Il Festival celebra i cento anni dal Metz Yeghérn, Il “Grande Male”, termine con il quale si indica la strage degli armeni, un milione e mezzo di morti, in Turchia, dedicando ampio spazio alle manifestazioni contemporanee della cultura armena, con la quale le regioni meridionali, Sicilia e Calabria in primis, hanno una lunghissima storia di intrecci e scambi.
La mostra d’arte contemporanea “A come Armenia” è curata da Martina Corgnati (storica dell’arte, docente all’Accademia di Brera di Milano, membro del Comitato Scientifico e direttore del settore Arti Visive della Fondazione Horcynus Orca) e prosegue l’indagine sui linguaggi artistici del Mediterraneo avviata nel 2004 dalla Fondazione Horcynus. È un viaggio attraverso le immagini fotografiche di cinque artisti, armeni e non, che in queste opere hanno scelto l’Armenia come tema o come metafora, come “segno” forte di un ambito culturale e di un paesaggio ma anche come memoria o come impossibilità di sguardo, luogo per definizione irraggiungibile.
Il percorso espositivo si apre con un omaggio a Van Leo (1921-2002), notissimo fotografo di studio, nato ad Adana ma fuggito in Egitto con i genitori, fortunosamente scampati al genocidio. I suoi sono ritratti di attori e attrici, modelle e personaggi di un Medio Oriente aperto e multietnico, che nel frattempo è stato quasi completamente spazzato via dalla storia.
Al cuore della mostra, la grande installazione di Mario Sillani Djerrahian, Walking for Ad Reinhardt, composta da 106 immagini organizzate con rigore geometrico intorno a una riproduzione fotografica di un’opera del grande artista americano. Oggetti e paesaggi non sono riconoscibili ma immersi nella nebbia entropica della sfocatura, che mette in questione il senso stesso del lavoro fotografico, così come la natura della nostalgia per il lontano, l’irrecuperabile, nel tempo e nello spazio.
Immagini ibride come potenti campi magnetici che attraggono segni verbali, invocazioni, visioni, oggetti e azioni caratterizzano la serie di sette collage digitali e il video J’ai utilisé la mémoire di Agnese Purgatorio L’insieme ricrea un’intensa dimensione poetica dove drammi e marginalità presenti si sovrappongono a tragedie passate e l’antico paesaggio in rovina della capitale armena di Ani diventa sfondo di una performance dedicata alle donne sopravvissute al genocidio.
Sharis Garabedian, che appartiene alla terza generazione dei figli della diaspora armena, sceglie pareti scrostate, edifici in rovina, porte e vecchi muri, frammenti di un vissuto collettivo e ormai anonimo, le cui superfici multicolori riportano alla mente dei quadri astratti. Le stratificazioni messe a nudo dal degrado e, forse, dalla violenza di cui il paesaggio è stato testimone, presentano un’inattesa bellezza e si configurano come palinsesti di storie e presenze irrecuperabili.
Armenie ville di Claudio Gobbi è la sintesi di più di sette anni di ricerca sulle tracce dell’architettura ecclesiastica armena in oltre 25 paesi. Evidenziando le peculiarità di questa architettura e l’essenzialità delle sue forme, rimaste inalterate per oltre 1500 anni, l’artista si sofferma sui concetti di tempo e memoria collettiva. Come nell’ Atlante Warburghiano le forme sono in se stesse portatrici di significato, segnando in questo caso un possibile confine della civiltà occidentale.
Dopo l’inaugurazione eoliana, il festival prosegue dal 28 luglio al 2 agosto al Parco Horcynus Orca di Capo Peloro, dedicando ampio spazio a tutte le manifestazioni contemporanee della cultura armena, con la quale le regioni meridionali, Sicilia e Calabria in primis, hanno una lunghissima storia di intrecci e scambi.
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