Architettura – Spazialità – Artefatto
Dal 26 Maggio 2021 al 30 Luglio 2021
Milano
Luogo: Galleria Fumagalli
Indirizzo: Via Bonaventura Cavalieri 6
Orari: dal lunedì al venerdì 13 - 19
Curatori: Lóránd Hegyi
Telefono per informazioni: +39 02 36799285
E-Mail info: info@galleriafumagalli.com
Sito ufficiale: http://galleriafumagalli.com
La Galleria Fumagalli presenta la prima mostra del ciclo MY30YEARS – Coherency in Diversity, un programma ideato e curato dal critico ungherese di fama internazionale Lóránd Hegyi che intende celebrare i 30 anni di carriera di Annamaria Maggi, alla guida della galleria dal 1991.
Il progetto nasce dalla volontà di offrire uno spaccato sull’orientamento estetico e curatoriale perseguito dalla Galleria Fumagalli nel corso degli ultimi tre decenni, esaltandone la coerenza, ma anche con l’intento di stimolare nuove prospettive sull’interpretazione dell’opera di grandi maestri in dialogo con artisti più giovani. Ognuna delle otto mostre del ciclo MY30YEARS – Coherency in Diversity prevede, infatti, l’esposizione congiunta dell’opera di tre artisti seguiti e rappresentati dalla Galleria, appartenenti a diverse generazioni e gruppi, provenienti da città e paesi differenti, che rappresentano posizioni e strategie metodologiche diverse, eppure riconducibili ad alcune idee estetiche di base convergenti.
Come specificato dal curatore Lóránd Hegyi nel testo critico che accompagna l’esposizione, «è intenzione di questa serie di mostre presentare le opere selezionate nel contesto di una reinterpretazione costante, imparziale, rigenerante, come effettivamente accade nel processo storico-culturale reale di rivalutazione e reinterpretazione radicale delle opere d'arte. Si tratta di un processo – storicamente legittimo, inevitabile o addirittura necessario – in cui le giovani generazioni di artisti proiettano la propria comprensione dell'arte sulla situazione storico-culturale e recepiscono queste condizioni attraverso un legittimo arbitrio storico, selezionando per se stesse [e perseguendo] una radicale revisione e rivalutazione di sistemi dati, ereditati, convenzionali, ma anche – nonostante l'apparente discontinuità e critica – una continuità e permanenza di certe idee di base, o la durabilità di varie componenti dei loro sistemi di valori, che possono sopravvivere molto dopo la loro creazione, molto dopo lo scioglimento dei loro contesti concettuali originari e che possono essere inclusi nelle nuove realtà mentali.»
La prima mostra Architettura – Spazialità – Artefatto presenta congiuntamente le opere di Anne & Patrick Poirier, Marco Tirelli, Giuseppe Uncini consentendo una lettura plausibile e poeticamente efficace di certi loro orientamenti tematici senza voler suggerire alcuna forzata uniformità. I termini architettura, spazialità, artefatto, infatti, si concretizzano nelle loro opere in modi diversi, coniugando però connotazioni architettoniche, ricerca della presenza spaziale e significato metaforico dell’artefatto.
Mentre l’opera di Anne & Patrick Poirier combina forme architettoniche archetipiche a significati ed esperienze umane attuali, restituendo una continua reinterpretazione metaforica e un aggiornamento dell’eredità storico-culturale, collettiva e convenzionale, la ricerca plastica di Giuseppe Uncini si traduce in opere che si dispiegano immediatamente nello spazio come concrete, tangibili, eppure fondamentalmente mai mimetiche bensì astratte, che trasmettono una situazione spaziale stimolante, dinamica e un senso di nobile semplicità. A chiudere la triade, nell’opera di Marco Tirelli si palesano forme architettoniche volutamente enigmatiche, recanti poetiche allusioni a ricordi personali, spunti immaginari e associazioni mentali avulsi da qualsiasi contesto comprensibile, di fronte a cui lo spettatore diventa partecipe di un evento indefinito e spirituale che si svolge in uno spazio metaforico.
Anne & Patrick Poirier (rispettivamente: Marsiglia, 1941 e Nantes, 1942) ideano e firmano congiuntamente il proprio lavoro a partire dalla residenza a Villa Medici di Roma avvenuta tra il 1968 e il 1972 sotto la direzione Balthus. Artisti poliedrici, viaggiatori, archeologi e appassionati scopritori di antiche civiltà, raccolgono materiali e si ispirano alla mitologia, alle grandi narrazioni archetipiche e collettive per esprimere significati metaforici legati alla realtà antropologica contemporanea, mantenendo un continuum storicoculturale in cui i confini tra passato e futuro, tra storia e utopia, tra individuo e comunità, tra conoscenza e sogno si mescolano indissolubilmente. Il corpo di opere di Anne & Patrick Poirier si traduce in manufatti molto eterogenei: installazioni, sculture, fotografie, lavori su carta, dipinti spesso connotati dalla poetica della fragilità e caducità delle esperienze umane. Hanno esposto nei più importanti musei e istituzioni culturali di tutto il mondo e alle manifestazioni Documenta di Kassel (1977) e Biennale di Venezia (1984, 1980, 1976). Dal 2017 sono rappresentati in Italia dalla Galleria Fumagalli che partecipa alla pubblicazione della monografia “Anne et Patrick Poirier” edita da Flammarion in collaborazione con la MEP – Maison Européenne de la Photographie e della Galerie Mitterrand di Parigi.
Marco Tirelli (Roma, 1956), diplomatosi in scenografia con Toti Scialoja all’Accademia di Belle Arti di Roma, inizia a esporre nella seconda metà degli anni ’70, trasferendosi presto negli spazi dell’ex Pastificio Cerere a San Lorenzo insieme agli artisti della Nuova Scuola Romana. Frutto di un processo intellettuale e di astrazione dei dati della realtà, l’arte di Marco Tirelli arriva a distillare forme allegoriche che evocano memorie personali, esperienze biografiche, reminiscenze oniriche. La forma rimane enigmatica, in bilico tra riconoscibilità e astrazione, mentre luce e ombra segnano la misteriosa esperienza della percezione dello spazio. Espone per la prima volta alla Biennale di Venezia nel 1982, nel 1993 gli viene dedicata una sala personale, e nel 2013 realizza una grandissima installazione per il Padiglione Italia curato da Bartolomeo Pietromarchi. Marco Tirelli è membro dell’Accademia Nazionale di San Luca e dell’Accademia dei Virtuosi del Pantheon. La sua collaborazione con la Galleria Fumagalli inizia con la prima mostra personale nel 2003, seguita dalla pubblicazione di una preziosa monografia, con testi di Klaus Wolbert, Peter Weiermaier e Giorgio Verzotti, edita in occasione delle esposizioni all’Institute Mathildenhöe di Darmstadt e alla Galleria Comunale d’Arte Moderna di Bologna.
Giuseppe Uncini (Fabriano, 1929 – Trevi, 2008) si trasferisce a Roma nel 1953 dove inizia a realizzare i primi cicli di opere: le “Terre” (1956-57), ancora immerse nel clima dell’Informale, anticipano l’iconica serie dei “Cementarmati” (1957-61), sculture di cemento e ferro (elementi che caratterizzano l’intero corpus di Uncini) che rivelano il principio costruttivo del loro farsi. Partecipa a diverse mostre con la Giovane Scuola Romana e nel 1962 costituisce il Gruppo 1 per la valorizzazione del ruolo sociale dell’arte. Il percorso artistico di Uncini continua coerentemente: il suo solido pensiero strutturale, mai mimetico, è oggettivato nei successivi cicli di opere (“Ferrocementi”, “Strutturespazio”, “Mattoni”, “Ombre”, “Dimore”, “Muri d’ombra”). Tra gli anni '90 e i primi 2000 l'attenzione di Uncini è polarizzata dal desiderio di concretizzare lo spazio vuoto (“Spazi di ferro” e “Spazicemento”), per indirizzarsi poi verso la realizzazione di grandi conformazioni architettoniche (le “Architetture”) in cui nulla è davvero abitabile né mera rappresentazione della modernità industriale. Giuseppe Uncini prende parte a prestigiose rassegne internazionali: Quadriennale di Roma (1999, 1992, 1973, 1965, 1955), Biennale di Venezia (1995, 1984, 1978, 1976, 1966), e Biennale di Tokyo (1963). Dal 1995 ha collaborato con la Galleria Fumagalli che gli dedica 5 mostre personali, 8 libri di mostre e il catalogo ragionato edito nel 2008
Il progetto nasce dalla volontà di offrire uno spaccato sull’orientamento estetico e curatoriale perseguito dalla Galleria Fumagalli nel corso degli ultimi tre decenni, esaltandone la coerenza, ma anche con l’intento di stimolare nuove prospettive sull’interpretazione dell’opera di grandi maestri in dialogo con artisti più giovani. Ognuna delle otto mostre del ciclo MY30YEARS – Coherency in Diversity prevede, infatti, l’esposizione congiunta dell’opera di tre artisti seguiti e rappresentati dalla Galleria, appartenenti a diverse generazioni e gruppi, provenienti da città e paesi differenti, che rappresentano posizioni e strategie metodologiche diverse, eppure riconducibili ad alcune idee estetiche di base convergenti.
Come specificato dal curatore Lóránd Hegyi nel testo critico che accompagna l’esposizione, «è intenzione di questa serie di mostre presentare le opere selezionate nel contesto di una reinterpretazione costante, imparziale, rigenerante, come effettivamente accade nel processo storico-culturale reale di rivalutazione e reinterpretazione radicale delle opere d'arte. Si tratta di un processo – storicamente legittimo, inevitabile o addirittura necessario – in cui le giovani generazioni di artisti proiettano la propria comprensione dell'arte sulla situazione storico-culturale e recepiscono queste condizioni attraverso un legittimo arbitrio storico, selezionando per se stesse [e perseguendo] una radicale revisione e rivalutazione di sistemi dati, ereditati, convenzionali, ma anche – nonostante l'apparente discontinuità e critica – una continuità e permanenza di certe idee di base, o la durabilità di varie componenti dei loro sistemi di valori, che possono sopravvivere molto dopo la loro creazione, molto dopo lo scioglimento dei loro contesti concettuali originari e che possono essere inclusi nelle nuove realtà mentali.»
La prima mostra Architettura – Spazialità – Artefatto presenta congiuntamente le opere di Anne & Patrick Poirier, Marco Tirelli, Giuseppe Uncini consentendo una lettura plausibile e poeticamente efficace di certi loro orientamenti tematici senza voler suggerire alcuna forzata uniformità. I termini architettura, spazialità, artefatto, infatti, si concretizzano nelle loro opere in modi diversi, coniugando però connotazioni architettoniche, ricerca della presenza spaziale e significato metaforico dell’artefatto.
Mentre l’opera di Anne & Patrick Poirier combina forme architettoniche archetipiche a significati ed esperienze umane attuali, restituendo una continua reinterpretazione metaforica e un aggiornamento dell’eredità storico-culturale, collettiva e convenzionale, la ricerca plastica di Giuseppe Uncini si traduce in opere che si dispiegano immediatamente nello spazio come concrete, tangibili, eppure fondamentalmente mai mimetiche bensì astratte, che trasmettono una situazione spaziale stimolante, dinamica e un senso di nobile semplicità. A chiudere la triade, nell’opera di Marco Tirelli si palesano forme architettoniche volutamente enigmatiche, recanti poetiche allusioni a ricordi personali, spunti immaginari e associazioni mentali avulsi da qualsiasi contesto comprensibile, di fronte a cui lo spettatore diventa partecipe di un evento indefinito e spirituale che si svolge in uno spazio metaforico.
Anne & Patrick Poirier (rispettivamente: Marsiglia, 1941 e Nantes, 1942) ideano e firmano congiuntamente il proprio lavoro a partire dalla residenza a Villa Medici di Roma avvenuta tra il 1968 e il 1972 sotto la direzione Balthus. Artisti poliedrici, viaggiatori, archeologi e appassionati scopritori di antiche civiltà, raccolgono materiali e si ispirano alla mitologia, alle grandi narrazioni archetipiche e collettive per esprimere significati metaforici legati alla realtà antropologica contemporanea, mantenendo un continuum storicoculturale in cui i confini tra passato e futuro, tra storia e utopia, tra individuo e comunità, tra conoscenza e sogno si mescolano indissolubilmente. Il corpo di opere di Anne & Patrick Poirier si traduce in manufatti molto eterogenei: installazioni, sculture, fotografie, lavori su carta, dipinti spesso connotati dalla poetica della fragilità e caducità delle esperienze umane. Hanno esposto nei più importanti musei e istituzioni culturali di tutto il mondo e alle manifestazioni Documenta di Kassel (1977) e Biennale di Venezia (1984, 1980, 1976). Dal 2017 sono rappresentati in Italia dalla Galleria Fumagalli che partecipa alla pubblicazione della monografia “Anne et Patrick Poirier” edita da Flammarion in collaborazione con la MEP – Maison Européenne de la Photographie e della Galerie Mitterrand di Parigi.
Marco Tirelli (Roma, 1956), diplomatosi in scenografia con Toti Scialoja all’Accademia di Belle Arti di Roma, inizia a esporre nella seconda metà degli anni ’70, trasferendosi presto negli spazi dell’ex Pastificio Cerere a San Lorenzo insieme agli artisti della Nuova Scuola Romana. Frutto di un processo intellettuale e di astrazione dei dati della realtà, l’arte di Marco Tirelli arriva a distillare forme allegoriche che evocano memorie personali, esperienze biografiche, reminiscenze oniriche. La forma rimane enigmatica, in bilico tra riconoscibilità e astrazione, mentre luce e ombra segnano la misteriosa esperienza della percezione dello spazio. Espone per la prima volta alla Biennale di Venezia nel 1982, nel 1993 gli viene dedicata una sala personale, e nel 2013 realizza una grandissima installazione per il Padiglione Italia curato da Bartolomeo Pietromarchi. Marco Tirelli è membro dell’Accademia Nazionale di San Luca e dell’Accademia dei Virtuosi del Pantheon. La sua collaborazione con la Galleria Fumagalli inizia con la prima mostra personale nel 2003, seguita dalla pubblicazione di una preziosa monografia, con testi di Klaus Wolbert, Peter Weiermaier e Giorgio Verzotti, edita in occasione delle esposizioni all’Institute Mathildenhöe di Darmstadt e alla Galleria Comunale d’Arte Moderna di Bologna.
Giuseppe Uncini (Fabriano, 1929 – Trevi, 2008) si trasferisce a Roma nel 1953 dove inizia a realizzare i primi cicli di opere: le “Terre” (1956-57), ancora immerse nel clima dell’Informale, anticipano l’iconica serie dei “Cementarmati” (1957-61), sculture di cemento e ferro (elementi che caratterizzano l’intero corpus di Uncini) che rivelano il principio costruttivo del loro farsi. Partecipa a diverse mostre con la Giovane Scuola Romana e nel 1962 costituisce il Gruppo 1 per la valorizzazione del ruolo sociale dell’arte. Il percorso artistico di Uncini continua coerentemente: il suo solido pensiero strutturale, mai mimetico, è oggettivato nei successivi cicli di opere (“Ferrocementi”, “Strutturespazio”, “Mattoni”, “Ombre”, “Dimore”, “Muri d’ombra”). Tra gli anni '90 e i primi 2000 l'attenzione di Uncini è polarizzata dal desiderio di concretizzare lo spazio vuoto (“Spazi di ferro” e “Spazicemento”), per indirizzarsi poi verso la realizzazione di grandi conformazioni architettoniche (le “Architetture”) in cui nulla è davvero abitabile né mera rappresentazione della modernità industriale. Giuseppe Uncini prende parte a prestigiose rassegne internazionali: Quadriennale di Roma (1999, 1992, 1973, 1965, 1955), Biennale di Venezia (1995, 1984, 1978, 1976, 1966), e Biennale di Tokyo (1963). Dal 1995 ha collaborato con la Galleria Fumagalli che gli dedica 5 mostre personali, 8 libri di mostre e il catalogo ragionato edito nel 2008
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