Carlo Nangeroni. Sessanta cum laude
Dal 13 Dicembre 2014 al 15 Febbraio 2015
Lissone | Milano
Luogo: Museo d'Arte Contemporanea
Indirizzo: viale Padania 6
Orari: mercoledì e venerdì 10-13; giovedì 16-23; sabato e domenica 10-12 / 15-19
Curatori: Alberto Zanchetta
Telefono per informazioni: +39 039 7397368 / 039 214 5174
E-Mail info: museo@comune.lissone.mb.it
Sito ufficiale: http://www.museolissone.it
«Parto sempre dal cerchio, e dagli avvenimenti che si producono al suo interno, per poi assumerlo come elemento cellulare, in moltiplicazione, sempre con eventi plastici». Con queste parole Carlo Nangeroni ha inteso definire la sua pittura, che dagli anni Sessanta fino ai nostri giorni si è enucleata in cerchicellule che racchiudono il DNA della pittura.
L’approdo non è stato immediato né scontato, in quanto l’artista ha attraversato le istanze dell’arte del secondo dopoguerra. Dopo essere transitato attraverso un periodo di “divisionismo geometrico”, Nangeroni ha individuato l’ubi consistam della propria pittura in una topografia puntiforme che gli ha permesso di sviluppare cromostrutture dall’inconfondibile cifra stilistica. Assumendo la forma primaria del cerchio a sistema cartesiano (retaggio della geometria euclidea, allora applicata alla pittura astratto concreta), Nangeroni ha iniziato a scandire le superfici dei suoi quadri con punti-luce che ricorrono a una fredda gamma cromatica. Il risultato finale è quello di uno spazio luminoso che sembra riprodursi e pro-liferare di quadro in quadro, assicurando così una continuità – finanche un’eternità, anziché una mera sopravvivenza – alla prassi pitto-rica.
Malgrado Nangeroni abbia paragonato i suoi cerchi a «elementi cellulari», e nonostante Giovanni Maria Accame avesse fatto ricorso alla terminologia del «patrimonio genetico» per definire le opere dell’artista, il concetto dell’informazione genetica non è mai stato approfondito né tenuto in debita considerazione. Ammesso e concesso che ogni quadro contenga in ognuna delle sue particelle un “codice genetico”, la mostra antologia organizzata dal MAC di Lissone è incentrata sulle opere degli anni Sessanta, che potremmo considerare come pitture molecolari.
Nell’arco di mezzo secolo, Carlo Nangeroni non ha mai smentito la sua «intelligenza pitto-rica dotata di particolare finezza» di cui parlava Marco Valsecchi nel lontano 1963. Anno dopo anno l’artista ha continuamente approfondito i valori della pittura, creando interferenze, variazioni, permutazioni, elementi di-namici e scorrevoli.
Consapevole del fatto che dipingere «è trovare delle possibilità, non degli enunciati», l’artista ha tenuto viva e attuale la propria ricerca, che ancor oggi ci appare eterna nella sua continuità e infinita nella sua varietà. L’espo-sizione lissonese è quindi un omaggio a uno dei maestri della pittura astratta italiana, ma è anche un tributo cum laude al decennio degli anni Sessanta, periodo cui risale la “pittogenesi” di Nangeroni.
Carlo Nangeroni nasce a New York il 24 giugno 1922. Dal 1954 al 1957 lavora a una serie di opere quasi monocrome dove ricordi figurali si mescolano a partiture inoggettive. Nel 1958 si stabilisce a Milano per potersi dedicare esclusivamente alla pittura. Negli anni Sessanta ritiene concluso il suo periodo informale e volge la sua pittura verso elementi circolari che diventano una costante di base del suo modus pingendi. Nella decade dei Settanta individua una "grammatica" che utilizza gamme di grigi su fondi bianchi. Dal 1981, affascinato dalle combinazioni e dalle ambiguità del colore, sviluppa un cromatismo iridescente per mezzo di accostamenti di rette verticali e diagonali. Continua poi, negli anni Novanta, questa sua ricerca frammentando le campiture in particelle di colore, ottenendo così una maggiore vibrazione luminosa. Da allora la luce è una preoccupazione costante della sua pittura.
L’approdo non è stato immediato né scontato, in quanto l’artista ha attraversato le istanze dell’arte del secondo dopoguerra. Dopo essere transitato attraverso un periodo di “divisionismo geometrico”, Nangeroni ha individuato l’ubi consistam della propria pittura in una topografia puntiforme che gli ha permesso di sviluppare cromostrutture dall’inconfondibile cifra stilistica. Assumendo la forma primaria del cerchio a sistema cartesiano (retaggio della geometria euclidea, allora applicata alla pittura astratto concreta), Nangeroni ha iniziato a scandire le superfici dei suoi quadri con punti-luce che ricorrono a una fredda gamma cromatica. Il risultato finale è quello di uno spazio luminoso che sembra riprodursi e pro-liferare di quadro in quadro, assicurando così una continuità – finanche un’eternità, anziché una mera sopravvivenza – alla prassi pitto-rica.
Malgrado Nangeroni abbia paragonato i suoi cerchi a «elementi cellulari», e nonostante Giovanni Maria Accame avesse fatto ricorso alla terminologia del «patrimonio genetico» per definire le opere dell’artista, il concetto dell’informazione genetica non è mai stato approfondito né tenuto in debita considerazione. Ammesso e concesso che ogni quadro contenga in ognuna delle sue particelle un “codice genetico”, la mostra antologia organizzata dal MAC di Lissone è incentrata sulle opere degli anni Sessanta, che potremmo considerare come pitture molecolari.
Nell’arco di mezzo secolo, Carlo Nangeroni non ha mai smentito la sua «intelligenza pitto-rica dotata di particolare finezza» di cui parlava Marco Valsecchi nel lontano 1963. Anno dopo anno l’artista ha continuamente approfondito i valori della pittura, creando interferenze, variazioni, permutazioni, elementi di-namici e scorrevoli.
Consapevole del fatto che dipingere «è trovare delle possibilità, non degli enunciati», l’artista ha tenuto viva e attuale la propria ricerca, che ancor oggi ci appare eterna nella sua continuità e infinita nella sua varietà. L’espo-sizione lissonese è quindi un omaggio a uno dei maestri della pittura astratta italiana, ma è anche un tributo cum laude al decennio degli anni Sessanta, periodo cui risale la “pittogenesi” di Nangeroni.
Carlo Nangeroni nasce a New York il 24 giugno 1922. Dal 1954 al 1957 lavora a una serie di opere quasi monocrome dove ricordi figurali si mescolano a partiture inoggettive. Nel 1958 si stabilisce a Milano per potersi dedicare esclusivamente alla pittura. Negli anni Sessanta ritiene concluso il suo periodo informale e volge la sua pittura verso elementi circolari che diventano una costante di base del suo modus pingendi. Nella decade dei Settanta individua una "grammatica" che utilizza gamme di grigi su fondi bianchi. Dal 1981, affascinato dalle combinazioni e dalle ambiguità del colore, sviluppa un cromatismo iridescente per mezzo di accostamenti di rette verticali e diagonali. Continua poi, negli anni Novanta, questa sua ricerca frammentando le campiture in particelle di colore, ottenendo così una maggiore vibrazione luminosa. Da allora la luce è una preoccupazione costante della sua pittura.
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