Essere Donna. Il corpo come strumento di creazione e atto di ribellione

Dettaglio da Gina Pane Action Mélancolique 2x2x2, 1974. Courtesy Galleria Fumagalli

 

Dal 05 Marzo 2025 al 30 Maggio 2025

Milano

Luogo: Galleria Fumagalli

Indirizzo: Via Bonaventura Cavalieri 6

Curatori: Maria Vittoria Baravelli e Annamaria Maggi

Sito ufficiale: http://galleriafumagalli.com


«Essere donna è così affascinante. E un’avventura che richiede un tale coraggio, una sfida che non annoia mai. Avrai tante cose da intraprendere se nascerai donna. Per incominciare, avrai da batterti per sostenere che se Dio esistesse potrebbe anche essere una vecchia coi capelli bianchi o una bella ragazza. Poi avrai da batterti per spiegare che il peccato non nacque il giorno in cui Eva colse una mela: quel giorno nacque una splendida virtù chiamata disubbidienza. Infine avrai da batterti per dimostrare che dentro il tuo corpo liscio e rotondo c’è un’intelligenza che urla d’essere ascoltata.»
Oriana Fallaci in Lettera a un bambino mai nato (Rizzoli, Milano 1975).

Dal 5 marzo al 30 maggio 2025
, la Galleria Fumagalli ospita l’esposizione Essere Donna. Il corpo come strumento di creazione e atto di ribellione.
 
Ispirate dalle parole di Oriana Fallaci, le curatrici Maria Vittoria Baravelli e Annamaria Maggi scelgono di esporre opere iconiche di artiste quali Marina AbramovićSang A HanAnnette MessagerShirin NeshatGina Pane e spiegano: «essere donne non è un genere, ma un modo di vedere il mondo, di sperimentare sul proprio corpo la conquista e la perdita».
Shirin Neshat, Marina Abramović, Sang A Han, Annette Messager, Gina Pane: ognuna di loro ha trasformato il proprio corpo in un campo di battaglia dove sperimentare tutto, dove la politica, la vita, il sangue, la follia e la fantasia si intrecciano in una lotta continua contro le convenzioni. Essere donna, come scrive Oriana Fallaci, «è un’avventura che richiede un tale coraggio, una sfida che non finisce mai.»
Nella storia, il corpo delle donne è stato un territorio conteso, un simbolo da controllare, un’idea da normare. Queste artiste, ribelli e disobbedienti, hanno sfidato il manicheismo del canone, rompendo le gabbie imposte dal patriarcato e dalle tradizioni. Hanno rifiutato di essere oggetti passivi e si sono trasformate in soggetti attivi, utilizzando il loro corpo come mezzo di resistenza e di espressione, ridefinendo cosa significhi essere donne.
Le loro opere sono come “un fucile carico,” come ci ha insegnato Emily Dickinson, pronte a metterci al muro e a farci ripensare ciò che credevamo di sapere. Fallaci scrive: «Essere donna significa vivere di emozioni, di paure, di piaceri, di speranze e di disperazioni che gli uomini non conoscono.»
 
Attraverso l’arte, queste donne ci costringono a confrontarci con un mondo nuovo, un mondo in cui il corpo non è solo un involucro, ma uno strumento potente per conoscere e trasformare la realtà.
Seguendo il pensiero di Lea Vergine, il corpo è il luogo in cui si sperimenta tutto, in cui si sente tutto, un ponte tra l’individuo e il mondo, che non può essere ignorato o negato. “Essere donna” è un atto di ribellione, una sfida continua contro un sistema che cerca di limitare e definire, ma che queste artiste hanno saputo trasformare in un’opportunità per ridefinire i confini dell’arte e della vita.
 
Il percorso espositivo riunisce iconici esempi di Body Art, come “Thomas Lips” (1975-2002) di Marina Abramović (Belgrado, Serbia, 1946), documentazione di una tra le performance più brutali durante la quale l’artista si incide sull’addome un pentacolo con un rasoio davanti a un pubblico di astanti che metteranno fine al supplizio portandola in ospedale, salvandola, restituendo quell’attenzione e quell’amore espressi dall’artista nell’azione performativa. E ancora “Cicatrice de l’action” (1974-1975) di Gina Pane (Biarritz, Francia, 1939 – Parigi, Francia, 1990) nella quale l’autolesionismo è un atto di indagine del proprio corpo, anche attraverso il dolore e il segno nella carne, e quindi un atto di apertura, in ultima analisi di amore, nonché un estremo tentativo di introspezione e di spiritualità.
Il corpo femminile come strumento di ricerca di spiritualità è anche quello dipinto e cucito da Sang A Han (Seoul, Corea del Sud, 1987): un corpo capace di essere sensuale e allo stesso tempo delicato e fiabesco, ma anche un corpo – quello di una donna madre – capace di creare la vita. L’esplorazione della femminilità è da sempre perseguita anche da Annette Messager (Berck, Francia, 1943) in opere quali “Mes Voeux” (1997) che combinando fotografie di varie parti del corpo evoca una pluralità di identità fisiche, psicologiche, sessuali, che sovrapponendosi creano un amalgama di relazioni e di esperienze.
La rappresentazione identitaria è concetto molto caro a Shirin Neshat (Qazvin, Iran, 1957), declinata all’ambito geografico e sociale di provenienza: l’Iran. Tra le serie fotografiche più note, “Women of Allah” indaga attraverso l’autoritratto la figura femminile e il suo ruolo nella società iraniana dopo la rivoluzione islamica: creatura delicata celata dal velo, ma forzatamente combattente (si veda la presenza dei fucili).
 
Per tutte il corpo è lo strumento attraverso cui agire, nella vita e nell’arte.

Inaugurazione mercoledì 5 marzo, ore 17 – 21

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