Giulio Paolini. Del bello ideale

© Giulio Paolini / Fondazione Giulio e Anna Paolini, Torino / Ph. Adam Reich | Giulio Paolini, Et quid amabo nisi quod ænigma est?, 1969-70. Collage su carta

 

Dal 26 Ottobre 2018 al 10 Febbraio 2019

Milano

Luogo: Fondazione Carriero

Indirizzo: via Cino del Duca 4

Orari: dalle 11:00 alle 18:00 (chiuso lunedì)

Curatori: Francesco Stocchi

Costo del biglietto: ingresso gratuito

Telefono per informazioni: +39 02 36747039

E-Mail info: info@fondazionecarriero.org

Sito ufficiale: http://www.fondazionecarriero.org



“L’opera preesiste all’intervento dell’artista, che è il primo a poterla contemplare
Giulio Paolini

Dal 26 ottobre 2018 al 10 febbraio 2019 la Fondazione Carriero presenta Giulio Paolini. Del bello ideale, a cura di Francesco Stocchi, mostra dedicata a uno dei massimi esponenti dell’arte concettuale, con interventi della scenografa Margherita Palli, organizzata in stretta collaborazione con l’artista.

Dopo la mostra Sol LeWitt. Between the Lines dedicata all’esplorazione dei confini dell’artista americano in relazione all’architettura, la Fondazione Carriero prosegue il suo percorso di indagine e approfondimento dell’arte concettuale analizzando l’opera di Giulio Paolini, suo indiscusso pioniere nel nostro Paese. Attraverso una nutrita selezione di lavori, scelti e allestiti dal curatore insieme all’artista torinese, Del bello ideale ripercorre l’intero arco dei suoi 57 anni di carriera, esponendo capisaldi della sua produzione comeSenza titolo (1961), Monogramma (1965), AB 3 (1966), Nécessaire (1968), Controfigura (critica del punto di vista) (1981), alcuni dei suoi celebri autoritratti, fino a tre nuove opere appositamente concepite per l’occasione.

Paolini ha risposto all’invito della Fondazione Carriero facendosi coinvolgere in prima persona nella realizzazione della mostra e accettando di cimentarsi in un esercizio introspettivo, in un processo di lettura dall’interno, e in alcuni casi di rilettura, della sua produzione. Il dialogo con il curatore Francesco Stocchi ha dato vita a un percorso espositivo non cronologico, scandito da nuclei tematici che si articolano nello spazio entrando in relazione con l’architettura dell’edificio, consentendo al visitatore di mettere a fuoco la poetica di Paolini e di semplificarne la comprensione. Attraverso questo esercizio, la mostra “scompone” l’opera di Paolini, la seziona adottando lo stesso approccio teorico e formale utilizzato dall’artista nei suoi lavori e nel suo modo di affrontare l’arte.
Tre sono i nuclei tematici individuati come punti di riferimento nel percorso espositivo, presentati singolarmente, uno per ogni piano della Fondazione, ma mantenendo una relazione reciproca e costante tra loro. Al piano terra l’allestimento ruota attorno al tema del Ritratto e Autoritratto, vero e proprio toposdella storia dell’arte occidentale e fulcro della poetica di Paolini, che fin dall’inizio degli anni Sessanta si è cimentato in modo fortemente personale con l’analisi di questa tematica, distillandola fino ad arrivare alla sottrazione dell’autore nella sua opera. La sezione al primo piano si intitola In superficie e sviluppa la relazione con il tema della prospettiva nelle sue varie declinazioni, dall’indagine sulla linea alla simbologia dell’orizzonte fino all’uso della specularità, della tautologia e della ripetizione come strumenti di analisi dello spazio e del tempo. Infine, la sala rococò del secondo piano fa da cornice a Uno di due, che presenta una selezione di lavori che indagano il rapporto tra il mito e la classicità nell’universo artistico di Paolini, emblemi di quella bellezza ideale che, nel polarizzare gli sguardi con la sua armonia, crea una distanza apparentemente incolmabile tra opera d’arte e osservatore.

In questo viaggio introspettivo su più livelli, Paolini assume la veste dell’archeologo, dello studioso che abbandona la dimensione nostalgica del guardare al (proprio) passato per analizzarlo con nuova consapevolezza, scavando nella psiche e nella storia dell’arte fino ad arrivare alle radici del suo pensiero. Un viaggio nella categoria filosofica del tempo, che evidenzia come la sua ricerca non si collochi su una linea di evoluzione diacronica, per tappe progressive – dal passato al presente al futuro – ma sia piuttosto ascrivibile a una dimensione sincronica, a un presente continuo, fatto di una costante variazione sul tema a partire dalla sua prima opera. Proprio come se il suo lavoro fosse, alla fine, un’unica opera continua.

Come suggerisce lo stesso titolo della mostra – Del bello ideale – il lavoro di Paolini tende a una dimensione “ideale”, in un certo senso assoluta o utopica, che può essere percepita come criptica, di non facile lettura per i non addetti ai lavori. La scenografa Margherita Palli è stata invitata a entrare in dialogo con il corpus di opere dell’artista, creando degli interventi che “mettano in scena” i nuclei tematici della mostra e che, attingendo alle stesse fonti di Paolini e ad alcune opere della sua collezione privata, offrano ai visitatori la possibilità di entrare nel suo mondo e di partecipare dall’interno a questo viaggio introspettivo. In particolare, Margherita Palli si è confrontata con il tema del ritratto e autoritratto al piano terra – trasformando una delle sale della Fondazione in una Wunderkammer ispirata allo studiolo di Federico da Montefeltro – e con il tema della prospettiva al primo piano – riproducendo, in forma onirica su una superficie interamente disegnata a mano, i principi chiave del trattato sulla prospettiva dell’architetto e artista fiammingo Hans Vredeman de Vries, testo di riferimento nella poetica di Paolini.

Gli interventi scenografici di Margherita Palli si pongono in netto contrasto con le sale rarefatte e gli ambienti bianchi che ospitano le opere dell’artista, contrappunti visivi che sottolineano l’interesse che Paolini ha sempre portato nei confronti dell’aspetto scenografico di una mostra, e verso il teatro più in generale, e che ne rivelano l’essenza di artista la cui tavolozza è la storia dell'arte e la cui cultura è profondamente italiana

Giulio Paolini. Del bello ideale si inserisce coerentemente nel percorso iniziato dalla Fondazione Carriero con imaginarii (settembre 2015), FONTANA • LEONCILLO Forma della materia (aprile 2016), FASI LUNARI(ottobre 2016), PASCALI SCIAMANO (marzo 2017) e SOL LEWITT. BETWEEN THE LINES (novembre 2017- giugno 2018, co-curata con Rem Koolhaas) mostre curate da Francesco Stocchi il cui punto cardine è l’approccio dialogico e la tensione costante verso ricerca e sperimentazione.

La mostra è resa possibile grazie alla stretta collaborazione con Giulio Paolini e la Fondazione Giulio e Anna Paolini e a prestiti provenienti da prestigiose istituzioni pubbliche e importanti collezioni private.

La mostra sarà accompagnata da un catalogo (italiano e inglese) edito da König Books, curato da Francesco Stocchi, che raccoglierà le immagini delle opere allestite negli spazi della Fondazione Carriero, con contributi tra gli altri di Giulio Paolini e di Francesco Stocchi.

Giulio Paolini è nato il 5 novembre 1940 a Genova e risiede a Torino.
La sua poetica verte su tematiche che interrogano la concezione, il manifestarsi e la visione dell’opera d’arte. Dalle prime indagini intorno agli elementi costitutivi del quadro l’attenzione si è orientata in seguito sull’atto espositivo, sulla considerazione dell’opera come catalogo delle sue stesse possibilità, così come sulla figura dell’autore e il suo mancato contatto con l’opera, che gli preesiste e lo trascende.
Dalla sua prima partecipazione a un’esposizione collettiva (1961) e dalla sua prima personale (1964) ha tenuto innumerevoli mostre in gallerie e musei di tutto il mondo. Tra le maggiori antologiche si ricordano quelle al Palazzo della Pilotta a Parma (1976), allo Stedelijk Museum di Amsterdam (1980), al Nouveau Musée di Villeurbanne (1984), alla Staatsgalerie di Stoccarda (1986), alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma (1988), alla Neue Galerie am Landesmuseum Joanneum di Graz (1998), alla GAM Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, Torino (1999), alla Fondazione Prada a Milano (2003), al Kunstmuseum di Winterthur (2005), al MACRO Museo d’Arte Contemporanea Roma (2013), alla Whitechapel Gallery a Londra (2014). Tra le personali più recenti si distinguono quelle al Museo Poldi Pezzoli a Milano (2016) e al Center for Italian Modern Art a New York (dialogo con opere di Giorgio de Chirico, 2016). Ha partecipato a diverse mostre di Arte povera ed è stato invitato più volte a Documenta a Kassel (1972, 1977, 1982, 1992) e alla Biennale di Venezia (1970, 1976, 1978, 1980, 1984, 1986, 1993, 1995, 1997, 2013).
Dal 1969 ha realizzato anche scene e costumi per rappresentazioni teatrali, tra cui si distinguono i progetti ideati con Carlo Quartucci negli anni ottanta e le scenografie per due opere di Richard Wagner al Teatro di San Carlo di Napoli, per la regia di Federico Tiezzi (2005, 2007).
Grafico di formazione, ha sempre nutrito un particolare interesse per il campo editoriale e la pagina scritta. Fin dall’inizio ha accompagnato la sua ricerca artistica con riflessioni raccolte in libri curati in prima persona: daIdem, pubblicato nel 1975 da Einaudi con un’introduzione di Italo Calvino, ai recenti Quattro passi. Nel museo senza muse (Einaudi, Torino 2006), Dall’Atlante al Vuoto in ordine alfabetico (Electa, Milano 2010) e L’autore che credeva di esistere (Johan & Levi, Milano 2012).
Numerose sono le pubblicazioni dedicate alla sua produzione artistica: dalla prima monografia di Germano Celant (Sonnabend Press, New York 1972) al volume di Francesco Poli (Lindau, Torino 1990), fino al catalogo ragionato delle opere dal 1960 al 1999, curato da Maddalena Disch (Skira, Milano 2008).  

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