Give Me Yesterday
Dal 21 Dicembre 2016 al 12 Marzo 2017
Milano
Luogo: Osservatorio - Galleria Vittorio Emanuele II
Indirizzo: Piazza del Duomo
Orari: lunedì / martedì / mercoledì / giovedì / venerdì, 14 - 20 sabato / domenica, 10 - 20 La biglietteria rimane aperta fino a un'ora prima della chiusura
Curatori: Francesco Zanot
Costo del biglietto: Intero, 10 €, Ridotto 8 € (Studenti fino ai 26 anni Possessori tessera FAI Accompagnatori visitatori con disabilità Gruppi 15-25 persone), gratuito Visitatori sotto i 18 e sopra i 65 anni Visitatori con disabilità Giornalisti accreditati o in possesso di tessera stampa in corso di validità
Telefono per informazioni: +39 02 5666 2611
E-Mail info: info@fondazioneprada.org
Sito ufficiale: http://www.fondazioneprada.org
Osservatorio sarà un luogo di esplorazione e indagine delle tendenze e delle espressioni della fotografia contemporanea, della costante evoluzione del medium e delle sue connessioni con altre discipline e realtà creative. In un momento storico in cui la fotografia è parte integrante del globale flusso di comunicazione digitale, Fondazione Prada, attraverso le attività di
Osservatorio, si interroga su quali siano le implicazioni culturali e sociali della produzione fotografica attuale e della sua ricezione. Si estende così il reportorio di modalità e strumenti con i quali la Fondazione intepreta e si relaziona con il presente.
Ospitato al quinto e sesto piano di uno degli edifici centrali, Osservatorio si trova al di sopra dell’ottagono, al livello della cupola in vetro e ferro che copre la Galleria realizzata da Giuseppe Mengoni tra il 1865 e il 1867. Gli ambienti, ricostruiti nel secondo dopoguerra a seguito dei bombardamenti che hanno colpito il centro di Milano nel 1943, sono stati sottoposti a un restauro che ha reso disponibile una superficie espositiva di 800 m2 sviluppata su due livelli.
La programmazione di Osservatorio si aprirà con la mostra “Give Me Yesterday”, a cura di Francesco Zanot, che si svolgerà dal 21 dicembre 2016 al 12 marzo 2017. In un percorso che comprende i lavori di 14 autori italiani e internazionali (Melanie Bonajo, Kenta Cobayashi, Tomé Duarte, Irene Fenara, Lebohang Kganye, Vendula Knopova, Leigh Ledare, Wen Ling, Ryan McGinley, Izumi Miyazaki, Joanna Piotrowska, Greg Reynolds, Antonio Rovaldi, Maurice van Es), il progetto esplora l’uso della fotografia come diario personale in un arco di tempo che va dall’inizio degli anni Duemila a oggi.
In un contesto caratterizzato dalla presenza pervasiva di dispositivi fotografici e da una circolazione ininterrotta di immagini prodotte e condivise grazie alle piattaforme digitali, una generazione di giovani artisti ha trasformato il diario fotografico in uno strumento di messa in scena della propria quotidianità e dei rituali della vita intima e personale. Consapevoli delle ricerche di autori come Nan Goldin e Larry Clark negli Stati Uniti o Richard Billingham e Wolfgang Tillmans in Europa, i fotografi presentati in “Give Me Yesterday” sostituiscono l'immediatezza e la spontaneità dello stile documentario con un controllo estremo dello sguardo di chi osserva ed è osservato. Creano così un nuovo diario nel quale si confonde la fotografia istantanea con quella allestita, si imita la catalogazione ripetitiva del web e si usa la componente performativa delle immagini per affermare un'identità individuale o collettiva.
La produzione di Ryan McGinley (Stati Uniti, 1977) avvia nei primi anni Duemila questo passaggio da un approccio alla fotografia immediato a uno più studiato che annulla la credibilità del diario spontaneo e naturale. Dopo aver ritratto i propri amici in situazioni private e scabrose all’interno delle loro case o nei club di New York, nelle serie successive McGinley mette a punto delle calcolate rappresentazioni che celebrano la nudità dei loro corpi nella bellezza della natura. Nasce così un nuovo tipo di racconto che può assumere caratteristiche grottesche.
È il caso di Melanie Bonajo (Olanda, 1978), intenta a fotografarsi ogni volta che piange creando un paradossale inventario di selfie, di Tomé Duarte (Portogallo, 1993), i cui autoritratti sono realizzati mentre indossa i vestiti della propria ex-compagna nel tentativo di riconnettersi con lei e con la propria identità, e di Izumi Miyazaki (Giappone 1994) che si autorappresenta in situazioni ironiche e surreali. La protagonista delle fotografie di Leigh Ledare (Stati Uniti, 1976) è invece la madre, colta in situazioni intime o in ritratti posati che esprimono la complessità delle relazioni familiari, acquisendo contemporaneamente un valore artistico e terapeutico. Anche i lavori di Lebohang Kganye (Sudafrica, 1990) si basano sulla figura materna, ma in una chiave completamente diversa. L’artista inserisce digitalmente la propria immagine all’interno di vecchie istantanee della madre scomparsa, evidenziando l’importanza della fotografia come archivio. Maurice van Es (Olanda, 1984), invece, fotografa oggetti e vestiti riordinati dalla madre nella propria casa, facendone delle eleganti sculture involontarie. Kenta Cobayashi (Giappone, 1992) esplora le numerose possibilità di trasformazione dell’immagine digitale, sottoponendola a un processo di manipolazione che ne afferma la fragililtà e l'instabilità. Vendula Knopova (Repubblica Ceca, 1987) riflette sulla permeabilità tra sfera pubblica e privata sfruttando un immaginario codificato come quello dell'album di famiglia. Attraverso la creazione di uno tra i primi blog fotografici cinesi, Wen Ling (Cina, 1976) documenta quotidianamente le relazioni, i luoghi e le abitudini di una ristretta comunità di amici e familiari. Joanna Piotrowska (Polonia, 1985) applica la filosofia dello psicologo tedesco Bert Hellinger per indagare il tema dei traumi familiari in una serie di ritratti collettivi attentamente calibrati, mentre Irene Fenara (Italia, 1990), in un esercizio ugualmente basato su fondamenti scientifici, indica nelle sue fotografie la distanza misurata in centimetri tra l’obiettivo e il soggetto fotografato, creando un parallello tra prossimità fisica e vicinanza emotiva. Greg Reynolds (Stati Uniti, 1958) presenta a più di trent’anni di distanza le fotografie realizzate durante i campi estivi promossi da un’organizzazione cristiana evangelica, abbandonata nel 1983 dopo essersi dichiarato omosessuale. Solo oggi l’autore realizza che quella documentazione fotografica gli permetteva di esprimere una verità impossibile da rivelare pubblicamente. Tra il 2011 e il 2014 Antonio Rovaldi (Italia, 1975) ha scattato decine di immagini di orizzonti che accostate tra loro esprimono una personale visione di paesaggio e tracciano i confini di un ideale viaggio in Italia.
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