Le donne e la fotografia
Dal 08 Ottobre 2021 al 28 Novembre 2021
Milano
Luogo: Fondazione Luciana Matalon
Indirizzo: Foro Buonaparte 67
Orari: da martedì a domenica 10 - 19. Lunedì chiuso
Curatori: Maria Francesca Frosi e Dionisio Gavagnin
Costo del biglietto: intero € 8, ridotto € 6
Telefono per informazioni: +39 02.878781
E-Mail info: fineart@fondazionematalon.org
Sito ufficiale: http://fondazionematalon.org
È dedicata allo sguardo femminile nell’arte fotografica e al contributo innovativo che le donne hanno dato a tale linguaggio, l’ampia esposizione “Le donne e la fotografia” presentata alla Fondazione Luciana Matalon di Milano dall’8 ottobre al 28 novembre 2021.
La mostra, organizzata in collaborazione con l’associazione culturale Mandr.agor.art, nasce da un accurato lavoro di selezione svolto dai curatori Maria Francesca Frosi e Dionisio Gavagnin che hanno scelto 90 fotografie originali di altrettante artiste fotografe per raccontare il punto di vista femminile in campo fotografico e il suo processo di evoluzione nell’arco di quasi un secolo, con opere che vanno dal 1925 fino al 2018.
Molti i nomi di rilievo: da Diane Arbus a Margaret Bourke-White, da Lisetta Carmi a Regina José Galindo, passando per Gerda Taro, Lisette Model, Sandy Skoglund, Marina Abramovic, Tina Modotti, Gina Pane, Francesca Woodman, Nan Goldin, Sophie Calle, Cindy Sherman, Inge Morath, solo per citarne alcuni.
Due sono i nuclei tematici attorno ai quali si è andato costruendo il corpus delle opere selezionate: quello dell’empatia e quello della ricerca dell’identità, individuati dai curatori come peculiari dello sguardo e del contributo femminili all’arte fotografica. «La produzione artistica femminile si distingue da quella maschile – spiegano – per una specificità determinata da una sensibilità distinta per ragioni di natura, di cultura, di ruolo sociale. Da un lato la donna è influenzata dal proprio ruolo di madre, che la rende empatica e sensibile alla sopravvivenza e al benessere umano. Il secondo tema trainante è quello dell’identità in ambito sociale, sentita come compressa o inespressa».
I due macro-temi sono poi declinati in un percorso espositivo suddiviso in quattro capitoli: “La ricerca del sé tra identità femminile e ruoli sociali”, “Simpatie”, “Donne, moda, costume”, “Sul pezzo. Dentro all’attualità”.
La storia dell’arte al femminile è strettamente connessa alla storia dell’emancipazione della donna.
È con l’accesso all’istruzione e l’indipendenza economica, infatti, che la donna inizia a determinarsi come donna moderna e a misurarsi con le professioni intellettuali e con gli strumenti della cultura e dell’arte.
Nel ‘900, grazie anche a una maggiore maneggevolezza delle attrezzature fotografiche, sempre più numerose sono le donne che utilizzano la fotografia come mezzo espressivo. I temi sono gli stessi della fotografia documentaria ma l’occhio femminile che vede e seleziona è emozionato, commosso, e il soggetto emerge dall’immagine come avviluppato da un pathos particolare frutto di una pietas che sembra comprendere, proteggere, amare. Bambini, famiglie, amici, costituiscono alcuni dei soggetti più frequentati della fotografia femminile dell’empatia.
Tema frequente, per esempio, in Dorothea Lange – pioniera della fotografia sociale che documenta le conseguenze della crisi del ’29: in mostra un suo scatto degli anni ’30 intitolato Feeding of Orphans –, in Lisette Model – che fotografa instancabilmente ogni angolo della città, mettendone in luce i forti contrasti sociali, di cui si ammira l’opera Sammy’s Bar at the Bowery, del 1940 circa –, in Gerda Taro, presente in mostra con uno scatto che ritrae un membro della milizia repubblicana durante la Guerra Spagnola – la Taro fu –, e, nel secondo dopoguerra, in Diane Arbus, Lisetta Carmi –tra i primi fotografi ad occuparsi di identità di genere e del movimento LGBT realizzando la celebre serie I Travestiti di cui in mostra è esposto uno scatto.
Empatia umana che si ritrova anche nelle immagini di violenza, di guerra, di emigrazione, di paura, di Letizia Battaglia, Christine Spengler – che si concentra sulla fotografia di guerra colta dal punto di vista delle sue vittime: Le bombardement de Phnom-Penh del 1975 è il suo scatto presente in rassegna –, Regina José Galindo, Yto Barrada, o nelle distopie di Sandy Skoglund.
Un più universale e onnicomprensivo sentimento di empatia è invece quello che alimenta la creatività di artiste come Tina Modotti,il cui tema cardine èla denuncia delle condizioni di miseria in Messico, ben rappresentato nell’esposizione dall’opera Bateau et pêcheurs del 1925, e Gina Pane che nello scatto Deuxième projet du silence mette in gioco sé stessa e il suo corpo. Attraverso il loro sguardo il paesaggio si trasforma in territorio, nello spazio aperto ed amico di una umanità finalmente liberata da costrizioni, confini, conflitti.
Il secondo tema dominante della fotografia al femminile riguarda l’identità della donna nel contesto sociale. Alcune artiste fotografe ci introducono in questo processo, a volte esaltante, altre volte doloroso, di ricerca della propria identità, tra gli ostacoli frapposti a tale ricerca da leggi, abitudini e principi morali propri di una civiltà al maschile.
Che si tratti di una sofferta introspezione ai limiti del sogno o della follia, come nelle foto di Francesca Woodman, dalle cui immagini rivoluzionarie emerge una riflessione sul rapporto fra il corpo e il mondo circostante e di cui in mostra si ammira un Untitled del 1977-78, o in Ketty La Rocca, Sophie Calle, Nan Goldin; o del rapporto uomo-donna nei suoi risvolti sessuali e di potere, come in Olga Spolarics (Atelier Manasse) presente in mostra con uno scatto surrealista che ritrae una donna come una zolletta di zucchero, probabilmente la prima volta in cui la donna si trasforma in oggetto, in Marina Abramovic, Odinea Pamici, o, infine, nella denuncia dei ruoli minoritari e stereotipati, o di comportamenti “alla moda”, a cui la donna viene costretta da leggi maschiliste e dal mercato, come in Cindy Sherman, che attraverso lo strumento del travestimento esplora a pieno il concetto di identità, o in Vanessa Beecroft.
Le loro immagini colpiscono l’osservatore per un radicale rifiuto della figura tradizionale della donna e per un elevato tasso di provocazione; ma anche per una toccante aspirazione a una condizione di piena realizzazione della persona.
Accompagna la mostra un catalogo, edito da Mandr.agor.art, con i testi critici di Maria Francesca Frosi e Dionisio Gavagnin.
La mostra, organizzata in collaborazione con l’associazione culturale Mandr.agor.art, nasce da un accurato lavoro di selezione svolto dai curatori Maria Francesca Frosi e Dionisio Gavagnin che hanno scelto 90 fotografie originali di altrettante artiste fotografe per raccontare il punto di vista femminile in campo fotografico e il suo processo di evoluzione nell’arco di quasi un secolo, con opere che vanno dal 1925 fino al 2018.
Molti i nomi di rilievo: da Diane Arbus a Margaret Bourke-White, da Lisetta Carmi a Regina José Galindo, passando per Gerda Taro, Lisette Model, Sandy Skoglund, Marina Abramovic, Tina Modotti, Gina Pane, Francesca Woodman, Nan Goldin, Sophie Calle, Cindy Sherman, Inge Morath, solo per citarne alcuni.
Due sono i nuclei tematici attorno ai quali si è andato costruendo il corpus delle opere selezionate: quello dell’empatia e quello della ricerca dell’identità, individuati dai curatori come peculiari dello sguardo e del contributo femminili all’arte fotografica. «La produzione artistica femminile si distingue da quella maschile – spiegano – per una specificità determinata da una sensibilità distinta per ragioni di natura, di cultura, di ruolo sociale. Da un lato la donna è influenzata dal proprio ruolo di madre, che la rende empatica e sensibile alla sopravvivenza e al benessere umano. Il secondo tema trainante è quello dell’identità in ambito sociale, sentita come compressa o inespressa».
I due macro-temi sono poi declinati in un percorso espositivo suddiviso in quattro capitoli: “La ricerca del sé tra identità femminile e ruoli sociali”, “Simpatie”, “Donne, moda, costume”, “Sul pezzo. Dentro all’attualità”.
La storia dell’arte al femminile è strettamente connessa alla storia dell’emancipazione della donna.
È con l’accesso all’istruzione e l’indipendenza economica, infatti, che la donna inizia a determinarsi come donna moderna e a misurarsi con le professioni intellettuali e con gli strumenti della cultura e dell’arte.
Nel ‘900, grazie anche a una maggiore maneggevolezza delle attrezzature fotografiche, sempre più numerose sono le donne che utilizzano la fotografia come mezzo espressivo. I temi sono gli stessi della fotografia documentaria ma l’occhio femminile che vede e seleziona è emozionato, commosso, e il soggetto emerge dall’immagine come avviluppato da un pathos particolare frutto di una pietas che sembra comprendere, proteggere, amare. Bambini, famiglie, amici, costituiscono alcuni dei soggetti più frequentati della fotografia femminile dell’empatia.
Tema frequente, per esempio, in Dorothea Lange – pioniera della fotografia sociale che documenta le conseguenze della crisi del ’29: in mostra un suo scatto degli anni ’30 intitolato Feeding of Orphans –, in Lisette Model – che fotografa instancabilmente ogni angolo della città, mettendone in luce i forti contrasti sociali, di cui si ammira l’opera Sammy’s Bar at the Bowery, del 1940 circa –, in Gerda Taro, presente in mostra con uno scatto che ritrae un membro della milizia repubblicana durante la Guerra Spagnola – la Taro fu –, e, nel secondo dopoguerra, in Diane Arbus, Lisetta Carmi –tra i primi fotografi ad occuparsi di identità di genere e del movimento LGBT realizzando la celebre serie I Travestiti di cui in mostra è esposto uno scatto.
Empatia umana che si ritrova anche nelle immagini di violenza, di guerra, di emigrazione, di paura, di Letizia Battaglia, Christine Spengler – che si concentra sulla fotografia di guerra colta dal punto di vista delle sue vittime: Le bombardement de Phnom-Penh del 1975 è il suo scatto presente in rassegna –, Regina José Galindo, Yto Barrada, o nelle distopie di Sandy Skoglund.
Un più universale e onnicomprensivo sentimento di empatia è invece quello che alimenta la creatività di artiste come Tina Modotti,il cui tema cardine èla denuncia delle condizioni di miseria in Messico, ben rappresentato nell’esposizione dall’opera Bateau et pêcheurs del 1925, e Gina Pane che nello scatto Deuxième projet du silence mette in gioco sé stessa e il suo corpo. Attraverso il loro sguardo il paesaggio si trasforma in territorio, nello spazio aperto ed amico di una umanità finalmente liberata da costrizioni, confini, conflitti.
Il secondo tema dominante della fotografia al femminile riguarda l’identità della donna nel contesto sociale. Alcune artiste fotografe ci introducono in questo processo, a volte esaltante, altre volte doloroso, di ricerca della propria identità, tra gli ostacoli frapposti a tale ricerca da leggi, abitudini e principi morali propri di una civiltà al maschile.
Che si tratti di una sofferta introspezione ai limiti del sogno o della follia, come nelle foto di Francesca Woodman, dalle cui immagini rivoluzionarie emerge una riflessione sul rapporto fra il corpo e il mondo circostante e di cui in mostra si ammira un Untitled del 1977-78, o in Ketty La Rocca, Sophie Calle, Nan Goldin; o del rapporto uomo-donna nei suoi risvolti sessuali e di potere, come in Olga Spolarics (Atelier Manasse) presente in mostra con uno scatto surrealista che ritrae una donna come una zolletta di zucchero, probabilmente la prima volta in cui la donna si trasforma in oggetto, in Marina Abramovic, Odinea Pamici, o, infine, nella denuncia dei ruoli minoritari e stereotipati, o di comportamenti “alla moda”, a cui la donna viene costretta da leggi maschiliste e dal mercato, come in Cindy Sherman, che attraverso lo strumento del travestimento esplora a pieno il concetto di identità, o in Vanessa Beecroft.
Le loro immagini colpiscono l’osservatore per un radicale rifiuto della figura tradizionale della donna e per un elevato tasso di provocazione; ma anche per una toccante aspirazione a una condizione di piena realizzazione della persona.
Accompagna la mostra un catalogo, edito da Mandr.agor.art, con i testi critici di Maria Francesca Frosi e Dionisio Gavagnin.
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