Vetri dal Museo Salviati. Magiche trasparenze dalla donazione Tedeschi
Dal 21 Settembre 2013 al 24 Novembre 2013
Padova
Luogo: Musei Civici agli Eremitani
Indirizzo: piazza Eremitani 8
Orari: da martedì a domenica 9-19
Curatori: Rosa Barovier Mentasti
Costo del biglietto: intero € 10, ridotto € 8, scuole € 5
Telefono per informazioni: +39 049 8204551/ 041 5904893
E-Mail info: a.lacchin@villaggioglobale.191.it
Sito ufficiale: http://www.padovacultura.padovanet.it
Lattimi incamiciati, vetri a sbruffo, vasi con bolle soffiate, vasi in calcedonio, creazioni in vetro murrino, vetri fumé, lavori a incalmo, esemplari per lo più unici e rarissimi.
Un saggio di grande fascino dell’arte vetraria muranese, da fine Ottocento agli anni Ottanta del secolo scorso, sarà proposto a Padova ai Musei Civici agli Eremitani dal 21 settembre al 24 novembre 2013, nella mostra “Vetri dal Museo Salviati. Magiche trasparenze dalla donazione Tedeschi”, curata da Rosa Barovier Mentasti con la collaborazione di Elisabetta Gastaldi e la direzione di Davide Banzato.
Un evento che, segnando l’ingresso di questa importante raccolta nei musei patavini - in parte come preziosa donazione di Anna Tedeschi, in parte come deposito quinquennale – ci riporta a una delle personalità e dei nomi cui si deve, a metà Ottocento, la rinascita del vetro artistico veneziano, dopo la crisi di stagnazione del primo Ottocento e ci conduce, dagli anni Trenta del Novecento, al secondo connubio che caratterizzerà sempre più la lavorazione artistica del vetro.
Le circa 100 opere in mostra - tra cui spiccano numerosi vetri presentati alle Esposizioni Universali di Parigi, alle Biennali di Venezia, alla Triennale di Milano e alcuni unicum nella storia del vetro muranese per tecnica e perizia - provengono dal museo aziendale della storica vetreria fondata da Antonio Salviati ma anche della collezione privata Salviati- Camerino-Tedeschi.
A creare il Museo Salviati in alcune sale della prestigiosa sede della vetreria sul Canal Grande era stato infatti - ventiquattro anni dopo la scomparsa di Antonio (1898) - Maurizio Camerino, già direttore dei negozi Salviati, socio dei figli dell’imprenditore e in seguito unico detentore del marchio Salviati insieme ai suoi eredi (tra cui Olga Camerino sposata con l’avvocato Mario Tedeschi).
Era il 1922 e Camerino, raccolto il testimone dei Salviati, stava continuando e rinnovando, al passo con i tempi, l’avventura imprenditoriale avviata da Antonio a metà del XIX secolo.
Erano stati proprio lo spirito imprenditoriale e la fiducia nell’eccellenza e nella perizia dei vetrai muranesi a consentire a Salviati di riportare in auge sul mercato internazionale, soprattutto inglese, i vetri soffiati veneziani.
Partito con il recupero dell’arte musiva, con commissioni persino della regina Vittoria e del vicerè d’Egitto - grazie anche al sodalizio con il geniale Lorenzo Radi, che lavorava alla ripresa degli smalti colorati e del calcedonio – Salviati nel 1866 ebbe il coraggio di investire capitali nella produzione, sollecitato anche dal farmacista Antonio Colleoni sindaco di Murano e dall’abate Vincenzo Zanetti storico del vetro, che videro in lui il mezzo per restaurare il prestigio culturale dell’isola e rilanciarne l’economia.
Così, dopo un’attenta ricerca di mercato condotta a Londra - da cui inviava dettagliate indicazioni sui modelli da realizzare, sul gusto degli acquirenti e sulla qualità da raggiungere - Salviati affittò una fornace sul Canal Grande di Murano.
Sapeva valutare con spirito critico le caratteristiche tecniche dei lavori realizzati e con sensibilità capiva le inclinazioni e le capacità specifiche dei diversi maestri vetrai coinvolti nell’operazione: Angelo Ongaro, Antonio Seguso, Giovanni Barovier. L’ispirazione la prendeva dai modelli esposti nel Museo del Vetro di Murano - fondato nel 1861 da Colleoni e Zanetti – e dai vetri della grande tradizione muranese che ammirava nelle collezioni inglesi.
Già nel 1867 portò i suoi prodotti – che voleva fossero “forme antiche precise o forme anche moderne ma di sicura e incontestabile bellezza” - all’Esposizione Universale di Parigi.
Furono soprattutto le forme moderne a riscuotere successo: vetri colorati, sia trasparenti che opachi (grazie all’incamiciatura), e filigrane tanto vivacemente policrome quanto non lo erano mai state nei secoli precedenti.
Le tecniche del passato venivano dunque rivisitate grazie al senso del colore di Salviati come nel caso della nuova variante del graffitto (decoro di fitti fili applicati a festoni), caratterizzata da fili di “girasol” e di avventurina e definita graffitto a fiamma.
In mostra troviamo alcuni pezzi importantissimi di quegli anni, come il “calice di vetro girasol” (1866 – 1895) molto trasparente, con tre delfini di vetro girasol sul rocchetto alternati a tre fiori di vetro rosa, sicuramente risalente ai primi anni della produzione Salviati; oppure il “calice di vetro rosso rubino” (1867 – 1877) – una coppa di vetro soffiato rosso rubino all’oro - estremamente raro, che compare col n. 462 nel più antico catalogo conosciuto dell’azienda edito a Londra nel 1867.
È stata poi la volta del vetro archeologico con le forme ispirate all’antico, come i vasi metalliformi di Salviati dal vetro scuro fortemente iridato (esposta a Padova una piccola anfora “tarda”, di inizi Novecento) e i corinto, di prezioso vetro a screziature policrome, d’oro e d’argento.
Nel 1883 Salviati cede la vetreria di Murano ai suoi maestri Barovier, con l’obbligo di mantenere la denominazione Salviati e di garantire l’esclusività dei prodotti ai negozi veneziani che, anche dopo la morte di Antonio, continuano a rifornirsi dai Barovier ma anche da altre fornaci.
Era iniziata l’era Camerino.
Negli anni precedenti la prima guerra mondiale la sede veneziana della Salviati si è ormai stabilizzata sul Canal Grande, vicino alla Basilica della Salute e i vetrai più aggiornati avviano i primi salutari contatti con gli artisti del gruppo di Ca’Pesaro, i cui esiti si vedono anche nel catalogo Salviati.
Alla morte di Maurizio Camerino nel 1931, i figli Mario e Renzo ereditano la proprietà, insieme alla sorella Olga, sposata con Mario Tedeschi, e assumono la direzione dell’azienda.
Sono di quegli anni due gruppi di vetri assolutamente innovativi presentati alla Biennale del 1932 nel nuovo Padiglione Venezia, costruito all’interno dei Giardini e dedicato alle arti decorative: soffiati di vetro fumè dalle forme sinuose e bizzarre e soffiati Cristallo con incalmi di filigrana lattimo - ancora presenti nella collezione ed esposti ora a Padova - che portano la firma di Dino Martens.
Il pittore novecentista residente a Murano, che aveva già operato nel settore del vetro disegnando una collezione per i fratelli Toso nel ’22, firmava ora sia opere per Salviati che per la “Successori Andrea Rioda” e proprio nei vetri qui esposti mette in luce tutto il suo spirito innovativo.
Martens precorre i tempi, adottando ben prima di quel che faranno massicciamente i migliori maestri a partire dagli anni Sessanta del XX secolo la tecnica dell’incalmo, che pur risalendo alla seconda metà del XVI secolo – come sottolinea Rosa Barovier Mentasti nel catalogo Skira, che accompagna la mostra – “non era mai stata adeguatamente valorizzata nel corso della storia della vetreria veneziana”. Per la Biennale del ’36 Renzo e Mario Camerino si rivolsero a Mario Deluigi, pittore, scenografo e mosaicista che progettò un’originalissima serie di Vetri musivi sotto lo pseudonimo di Guido Bin. Erano piccoli vasi – di cui in mostra vi è un significativo esemplare - volutamente irregolari di gusto naïf, ottenuto con la fusione di un mosaico di tessere vitree opache.
Con l’emanazione delle leggi razziali l’azienda Salviati dovette cessare l’attività, che riprenderà solo dopo la Seconda Guerra Mondiale.
Gli anni Cinquanta rappresentano una fase di grande innovazione per la vetreria, diretta ora da Renzo Camerino assieme a Renzo Tedeschi figlio di Olga: viene acquistata una nuova fornace a Murano, attiva dal 1959, e l’azienda comincia a essere frequentata da artisti interessati a usare il vetro come mezzo espressivo per pezzi unici d’arte.
Un’apertura maturata nell’ambito dello Spazialismo e codificata nel ’53 con la fondazione del “Centro Studio Pittori Arte del Vetro” coordinato da Egidio Costantini e ribattezzato da Cocteau “Fucina degli Angeli”: qui arrivano tra gli altri Guidi, Licata, Guttuso, Gio Ponti ma anche Braque, Calder, Kokoshka, Le Corbusier, Moore, Arp, Picasso...
Sarà Luciano Gaspari, pittore spazialista allievo all’Accademia di Virglio Guidi, il grande protagonista della produzione d’arte Salviati di quegli anni.
Luciano entra subito in simbiosi con la produzione vetraria. Studia le collezioni, verifica scientificamente le tecniche, instaura un rapporto profondo con grandi maestri quali Alfredo Barbini Luciano Vistosi, Paolo Martinuzzi e soprattutto Livio Seguso e Pino Signorotto; ottiene uno studio per la progettazione vetraria e i suoi personali lavori di pittura all’interno dei palazzi di vendita sul Canal Grande e nel 1955 assume la direzione artistica della vetreria interpretando il ruolo con rigore e impegno instancabile.
Le opere disegnate per Salviati furono ininterrottamente esposte alla Biennale dal 1956 al 1968.
Caratteristica del suo approccio è una totale padronanza e un uso innovativo delle tecniche tradizionali, la capacità di guardare al passato per inventare il futuro.
Questa risulta assolutamente evidente in mostra, grazie a un eccezionale confronto tra un pezzo antico, raro e curioso – un’urna su piedestallo con bolle blu in rilievo, molto probabilmente un modello Salviati eseguito dai vetrai Barovier alla fine del XIX secolo – e due vasi con bolle disegnati da Gaspari nel ’68, ultimo anno della sua collaborazione con la vetreria.
Gaspari si lascia probabilmente ispirare dall’antica urna che vede ripetutamente esposta sulle mensole del Museo Salviati, si rifà alla tecnica del passato ma la attualizza: il suo disegno è modernissimo, le bolle argentee si contrappongono con grande ironia alla trasparenze e alle linee pure dei suoi vasi.
Un richiamo forte al passato dunque, ma il pittore-designer sa anche usare con coraggio e fantasia le novità e sa “forzare” l’uso comune trasformando, per esempio, semplici bottiglie in sculture.
In mostra alcuni pezzi eclatanti chiudono il percorso: un “piatto OP” di vetro murrino con cerchi di cristallo e di vetro giallo e verde su fondo nero, parte di una serie di otto vetri OP esposti alla Biennale del ’66 - gusto optical e sperimentazione, due anni prima di lasciare la vetreria - e due “bottiglie Zefiro di vetro soffiato molto sottile e leggermente fumè. Dai tappi originalissimi e con macchie sulle pareti realizzate con la tecnica dello sbruffo, erano state disegnate da Gaspari, nella collezione Zefiro, per Salviati nell’81 - dopo tanti anni di “assenza” dalla vetreria - per la grande mostra “Vetri Murano Oggi”.
Un saggio di grande fascino dell’arte vetraria muranese, da fine Ottocento agli anni Ottanta del secolo scorso, sarà proposto a Padova ai Musei Civici agli Eremitani dal 21 settembre al 24 novembre 2013, nella mostra “Vetri dal Museo Salviati. Magiche trasparenze dalla donazione Tedeschi”, curata da Rosa Barovier Mentasti con la collaborazione di Elisabetta Gastaldi e la direzione di Davide Banzato.
Un evento che, segnando l’ingresso di questa importante raccolta nei musei patavini - in parte come preziosa donazione di Anna Tedeschi, in parte come deposito quinquennale – ci riporta a una delle personalità e dei nomi cui si deve, a metà Ottocento, la rinascita del vetro artistico veneziano, dopo la crisi di stagnazione del primo Ottocento e ci conduce, dagli anni Trenta del Novecento, al secondo connubio che caratterizzerà sempre più la lavorazione artistica del vetro.
Le circa 100 opere in mostra - tra cui spiccano numerosi vetri presentati alle Esposizioni Universali di Parigi, alle Biennali di Venezia, alla Triennale di Milano e alcuni unicum nella storia del vetro muranese per tecnica e perizia - provengono dal museo aziendale della storica vetreria fondata da Antonio Salviati ma anche della collezione privata Salviati- Camerino-Tedeschi.
A creare il Museo Salviati in alcune sale della prestigiosa sede della vetreria sul Canal Grande era stato infatti - ventiquattro anni dopo la scomparsa di Antonio (1898) - Maurizio Camerino, già direttore dei negozi Salviati, socio dei figli dell’imprenditore e in seguito unico detentore del marchio Salviati insieme ai suoi eredi (tra cui Olga Camerino sposata con l’avvocato Mario Tedeschi).
Era il 1922 e Camerino, raccolto il testimone dei Salviati, stava continuando e rinnovando, al passo con i tempi, l’avventura imprenditoriale avviata da Antonio a metà del XIX secolo.
Erano stati proprio lo spirito imprenditoriale e la fiducia nell’eccellenza e nella perizia dei vetrai muranesi a consentire a Salviati di riportare in auge sul mercato internazionale, soprattutto inglese, i vetri soffiati veneziani.
Partito con il recupero dell’arte musiva, con commissioni persino della regina Vittoria e del vicerè d’Egitto - grazie anche al sodalizio con il geniale Lorenzo Radi, che lavorava alla ripresa degli smalti colorati e del calcedonio – Salviati nel 1866 ebbe il coraggio di investire capitali nella produzione, sollecitato anche dal farmacista Antonio Colleoni sindaco di Murano e dall’abate Vincenzo Zanetti storico del vetro, che videro in lui il mezzo per restaurare il prestigio culturale dell’isola e rilanciarne l’economia.
Così, dopo un’attenta ricerca di mercato condotta a Londra - da cui inviava dettagliate indicazioni sui modelli da realizzare, sul gusto degli acquirenti e sulla qualità da raggiungere - Salviati affittò una fornace sul Canal Grande di Murano.
Sapeva valutare con spirito critico le caratteristiche tecniche dei lavori realizzati e con sensibilità capiva le inclinazioni e le capacità specifiche dei diversi maestri vetrai coinvolti nell’operazione: Angelo Ongaro, Antonio Seguso, Giovanni Barovier. L’ispirazione la prendeva dai modelli esposti nel Museo del Vetro di Murano - fondato nel 1861 da Colleoni e Zanetti – e dai vetri della grande tradizione muranese che ammirava nelle collezioni inglesi.
Già nel 1867 portò i suoi prodotti – che voleva fossero “forme antiche precise o forme anche moderne ma di sicura e incontestabile bellezza” - all’Esposizione Universale di Parigi.
Furono soprattutto le forme moderne a riscuotere successo: vetri colorati, sia trasparenti che opachi (grazie all’incamiciatura), e filigrane tanto vivacemente policrome quanto non lo erano mai state nei secoli precedenti.
Le tecniche del passato venivano dunque rivisitate grazie al senso del colore di Salviati come nel caso della nuova variante del graffitto (decoro di fitti fili applicati a festoni), caratterizzata da fili di “girasol” e di avventurina e definita graffitto a fiamma.
In mostra troviamo alcuni pezzi importantissimi di quegli anni, come il “calice di vetro girasol” (1866 – 1895) molto trasparente, con tre delfini di vetro girasol sul rocchetto alternati a tre fiori di vetro rosa, sicuramente risalente ai primi anni della produzione Salviati; oppure il “calice di vetro rosso rubino” (1867 – 1877) – una coppa di vetro soffiato rosso rubino all’oro - estremamente raro, che compare col n. 462 nel più antico catalogo conosciuto dell’azienda edito a Londra nel 1867.
È stata poi la volta del vetro archeologico con le forme ispirate all’antico, come i vasi metalliformi di Salviati dal vetro scuro fortemente iridato (esposta a Padova una piccola anfora “tarda”, di inizi Novecento) e i corinto, di prezioso vetro a screziature policrome, d’oro e d’argento.
Nel 1883 Salviati cede la vetreria di Murano ai suoi maestri Barovier, con l’obbligo di mantenere la denominazione Salviati e di garantire l’esclusività dei prodotti ai negozi veneziani che, anche dopo la morte di Antonio, continuano a rifornirsi dai Barovier ma anche da altre fornaci.
Era iniziata l’era Camerino.
Negli anni precedenti la prima guerra mondiale la sede veneziana della Salviati si è ormai stabilizzata sul Canal Grande, vicino alla Basilica della Salute e i vetrai più aggiornati avviano i primi salutari contatti con gli artisti del gruppo di Ca’Pesaro, i cui esiti si vedono anche nel catalogo Salviati.
Alla morte di Maurizio Camerino nel 1931, i figli Mario e Renzo ereditano la proprietà, insieme alla sorella Olga, sposata con Mario Tedeschi, e assumono la direzione dell’azienda.
Sono di quegli anni due gruppi di vetri assolutamente innovativi presentati alla Biennale del 1932 nel nuovo Padiglione Venezia, costruito all’interno dei Giardini e dedicato alle arti decorative: soffiati di vetro fumè dalle forme sinuose e bizzarre e soffiati Cristallo con incalmi di filigrana lattimo - ancora presenti nella collezione ed esposti ora a Padova - che portano la firma di Dino Martens.
Il pittore novecentista residente a Murano, che aveva già operato nel settore del vetro disegnando una collezione per i fratelli Toso nel ’22, firmava ora sia opere per Salviati che per la “Successori Andrea Rioda” e proprio nei vetri qui esposti mette in luce tutto il suo spirito innovativo.
Martens precorre i tempi, adottando ben prima di quel che faranno massicciamente i migliori maestri a partire dagli anni Sessanta del XX secolo la tecnica dell’incalmo, che pur risalendo alla seconda metà del XVI secolo – come sottolinea Rosa Barovier Mentasti nel catalogo Skira, che accompagna la mostra – “non era mai stata adeguatamente valorizzata nel corso della storia della vetreria veneziana”. Per la Biennale del ’36 Renzo e Mario Camerino si rivolsero a Mario Deluigi, pittore, scenografo e mosaicista che progettò un’originalissima serie di Vetri musivi sotto lo pseudonimo di Guido Bin. Erano piccoli vasi – di cui in mostra vi è un significativo esemplare - volutamente irregolari di gusto naïf, ottenuto con la fusione di un mosaico di tessere vitree opache.
Con l’emanazione delle leggi razziali l’azienda Salviati dovette cessare l’attività, che riprenderà solo dopo la Seconda Guerra Mondiale.
Gli anni Cinquanta rappresentano una fase di grande innovazione per la vetreria, diretta ora da Renzo Camerino assieme a Renzo Tedeschi figlio di Olga: viene acquistata una nuova fornace a Murano, attiva dal 1959, e l’azienda comincia a essere frequentata da artisti interessati a usare il vetro come mezzo espressivo per pezzi unici d’arte.
Un’apertura maturata nell’ambito dello Spazialismo e codificata nel ’53 con la fondazione del “Centro Studio Pittori Arte del Vetro” coordinato da Egidio Costantini e ribattezzato da Cocteau “Fucina degli Angeli”: qui arrivano tra gli altri Guidi, Licata, Guttuso, Gio Ponti ma anche Braque, Calder, Kokoshka, Le Corbusier, Moore, Arp, Picasso...
Sarà Luciano Gaspari, pittore spazialista allievo all’Accademia di Virglio Guidi, il grande protagonista della produzione d’arte Salviati di quegli anni.
Luciano entra subito in simbiosi con la produzione vetraria. Studia le collezioni, verifica scientificamente le tecniche, instaura un rapporto profondo con grandi maestri quali Alfredo Barbini Luciano Vistosi, Paolo Martinuzzi e soprattutto Livio Seguso e Pino Signorotto; ottiene uno studio per la progettazione vetraria e i suoi personali lavori di pittura all’interno dei palazzi di vendita sul Canal Grande e nel 1955 assume la direzione artistica della vetreria interpretando il ruolo con rigore e impegno instancabile.
Le opere disegnate per Salviati furono ininterrottamente esposte alla Biennale dal 1956 al 1968.
Caratteristica del suo approccio è una totale padronanza e un uso innovativo delle tecniche tradizionali, la capacità di guardare al passato per inventare il futuro.
Questa risulta assolutamente evidente in mostra, grazie a un eccezionale confronto tra un pezzo antico, raro e curioso – un’urna su piedestallo con bolle blu in rilievo, molto probabilmente un modello Salviati eseguito dai vetrai Barovier alla fine del XIX secolo – e due vasi con bolle disegnati da Gaspari nel ’68, ultimo anno della sua collaborazione con la vetreria.
Gaspari si lascia probabilmente ispirare dall’antica urna che vede ripetutamente esposta sulle mensole del Museo Salviati, si rifà alla tecnica del passato ma la attualizza: il suo disegno è modernissimo, le bolle argentee si contrappongono con grande ironia alla trasparenze e alle linee pure dei suoi vasi.
Un richiamo forte al passato dunque, ma il pittore-designer sa anche usare con coraggio e fantasia le novità e sa “forzare” l’uso comune trasformando, per esempio, semplici bottiglie in sculture.
In mostra alcuni pezzi eclatanti chiudono il percorso: un “piatto OP” di vetro murrino con cerchi di cristallo e di vetro giallo e verde su fondo nero, parte di una serie di otto vetri OP esposti alla Biennale del ’66 - gusto optical e sperimentazione, due anni prima di lasciare la vetreria - e due “bottiglie Zefiro di vetro soffiato molto sottile e leggermente fumè. Dai tappi originalissimi e con macchie sulle pareti realizzate con la tecnica dello sbruffo, erano state disegnate da Gaspari, nella collezione Zefiro, per Salviati nell’81 - dopo tanti anni di “assenza” dalla vetreria - per la grande mostra “Vetri Murano Oggi”.
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