Marco Pace. The King of the Ruins
Dal 27 Giugno 2015 al 12 Luglio 2015
Palermo
Luogo: Giuseppe Veniero Project
Indirizzo: piazza Cassa di Risparmio 21
Orari: da lunedì a sabato 10.30-13 / 16-20. Domenica e fuori orario, su appuntamento
Costo del biglietto: ingresso gratuito
Telefono per informazioni: +39 333.60.66.232
E-Mail info: info@veniero.it
Apre sabato 27 giugno la personale di Marco Pace “The King of the Ruins” alla galleria Giuseppe Veniero Project di Palermo.
Fino al 12 luglio, è esposta un’accurata selezione di tele di piccole e medie dimensioni tutte realizzate appositamente per l’occasione.
Marco Pace (Lanciano, 1977, vive e lavora a Firenze) nei suoi dipinti rappresenta interni d'architetture uniti a paesaggi primordiali, dei quali l'artista fa esperienza diretta, abitati da animali, figure "altre" rispetto al contesto, e da citazioni provenienti dall’ambito artistico contemporaneo. I quadri vengono realizzati dopo una ricerca fotografica condotta dall'autore durante le sue visite a musei di arte primitiva, di storia naturale e di arte contemporanea nonché di nuove realizzazioni d'architettura.
L'incongrua presenza di figure che non siamo abituati a incontrare accanto ad architetture moderne crea un profondo straniamento e genera un senso di inquietudine, ma anche, in fondo, una certa attrazione nei confronti di una natura che si riappropria di spazi che le sono stati rubati.
È un dominio umano superato e sconfitto quello descritto da Pace, ma non del tutto annientato: opere d’arte e di architettura - dunque manufatti dell’uomo - fanno da contraltare alla questione animale. Nei nuovi lavori in mostra, un omaggio alla scultura classica e contemporanea e, più in generale, a momenti alti della creatività umana è reso infatti attraverso la citazione dell’opera di Aaron Curry e del Colosso dell’Appennino del Giambologna.
Il risultato è una scena di impostazione teatrale (quello della scenografia teatrale e cinematografica è del resto un ambito del quale l’artista si è occupato), un'installazione che evidenzia la centralità del soggetto direttamente affacciata agli occhi del suo spettatore. Il gorilla rappresentato nel quadro che dà il titolo alla mostra The King of the Ruins guarda l’uomo, l’osservatore, dritto negli occhi – come già accadeva nella versione precedente, The King of Undeground - reclamandone l’attenzione e rendendogli impossibile sottrarsi alla responsabilità di riconoscere e rispettare l’intima essenza della natura in tutte le sue manifestazioni.
Scrive Elisabetta Trincherini nel suo testo: “Se, in accordo con Simmel, un edificio è considerato in rovina quando l’ideale equilibrio di natura e spirito si rompe a favore della sfera naturale che tende a prendere il sopravvento, qui la presenza del gorilla avvalora oltremodo la tesi. Pur suscitando senso del tragico, per l’idea di deperimento, non siamo di fronte solo alla rappresentazione di un tutto che non è più dato nella sua integrità, ma a un’entità nuova dotata di senso in sé. La natura intesa nell’insieme della sfera animale e vegetale, realizza, perché completa, quello che gli uomini ‘mandano in rovina’”.
Fino al 12 luglio, è esposta un’accurata selezione di tele di piccole e medie dimensioni tutte realizzate appositamente per l’occasione.
Marco Pace (Lanciano, 1977, vive e lavora a Firenze) nei suoi dipinti rappresenta interni d'architetture uniti a paesaggi primordiali, dei quali l'artista fa esperienza diretta, abitati da animali, figure "altre" rispetto al contesto, e da citazioni provenienti dall’ambito artistico contemporaneo. I quadri vengono realizzati dopo una ricerca fotografica condotta dall'autore durante le sue visite a musei di arte primitiva, di storia naturale e di arte contemporanea nonché di nuove realizzazioni d'architettura.
L'incongrua presenza di figure che non siamo abituati a incontrare accanto ad architetture moderne crea un profondo straniamento e genera un senso di inquietudine, ma anche, in fondo, una certa attrazione nei confronti di una natura che si riappropria di spazi che le sono stati rubati.
È un dominio umano superato e sconfitto quello descritto da Pace, ma non del tutto annientato: opere d’arte e di architettura - dunque manufatti dell’uomo - fanno da contraltare alla questione animale. Nei nuovi lavori in mostra, un omaggio alla scultura classica e contemporanea e, più in generale, a momenti alti della creatività umana è reso infatti attraverso la citazione dell’opera di Aaron Curry e del Colosso dell’Appennino del Giambologna.
Il risultato è una scena di impostazione teatrale (quello della scenografia teatrale e cinematografica è del resto un ambito del quale l’artista si è occupato), un'installazione che evidenzia la centralità del soggetto direttamente affacciata agli occhi del suo spettatore. Il gorilla rappresentato nel quadro che dà il titolo alla mostra The King of the Ruins guarda l’uomo, l’osservatore, dritto negli occhi – come già accadeva nella versione precedente, The King of Undeground - reclamandone l’attenzione e rendendogli impossibile sottrarsi alla responsabilità di riconoscere e rispettare l’intima essenza della natura in tutte le sue manifestazioni.
Scrive Elisabetta Trincherini nel suo testo: “Se, in accordo con Simmel, un edificio è considerato in rovina quando l’ideale equilibrio di natura e spirito si rompe a favore della sfera naturale che tende a prendere il sopravvento, qui la presenza del gorilla avvalora oltremodo la tesi. Pur suscitando senso del tragico, per l’idea di deperimento, non siamo di fronte solo alla rappresentazione di un tutto che non è più dato nella sua integrità, ma a un’entità nuova dotata di senso in sé. La natura intesa nell’insieme della sfera animale e vegetale, realizza, perché completa, quello che gli uomini ‘mandano in rovina’”.
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