Un Rembrandt dall’Ermitage 1669 - 2019: 350 anni dalla morte del maestro

© Museo dell’Hermitage, San Pietroburgo | Rembrandt Harmenszoon van Rijn, Adorazione dei Magi, 1632. Olio su carta incollato su tela, 45x39 cm.

 

Dal 07 Dicembre 2019 al 26 Gennaio 2020

Parma

Luogo: Galleria Nazionale - Complesso Monumentale della Pilotta

Indirizzo: piazza della Pilotta 3

Orari: 8.30 – 19.00; domenica e festivi 13.00-19.00

Costo del biglietto: La visita alla sala dedicata all’Adorazione dei Magi di Rembrabdt è compresa nel biglietto di ingresso della Galleria

Telefono per informazioni: +39 0521 233309

E-Mail info: cm-pil.info@beniculturali.it

Sito ufficiale: http://www.pilotta.beniculturali.it



Nel 1669, trecentocinquanta anni fa, scompariva ad Amsterdam uno degli artisti più rappresentativi dell’arte occidentale: Rembrandt Harmenszoon van Rijn. Dal 6 dicembre 2019 al 26 gennaio 2020, il Complesso Monumentale della Pilotta, grazie a un prestito accordato dal Museo dell’Ermitage di San Pietroburgo, festeggia questo importante anniversario, ospitando nelle sue sale l’Adorazione dei Magi del 1632, vero e proprio manifesto del fare pittorico del maestro. A 350 anni dalla morte di Rembrandt, l’esposizione in Pilotta dell’Adorazione dei Magi permette un contrappunto tra le collezioni del Complesso monumentale, la loro continuità nelle categorie dell’accademismo di matrice cattolica e l’altro volto dell’Europa, rappresentato dalle culture del Nord, così fiere nel rivendicare tradizioni e spiritualità antichissime sovrapposte ideologicamente al ritorno al cristianesimo delle origini. Esso permette altresì di individuare nell’Italia del Nord i primi germi di questo rinnovamento mistico, non a caso prefigurato dall’opera di Caravaggio e dalla pittura lombarda, prendendo articolata consapevolezza delle tradizioni artistiche italiane, meglio inserite nella compagine del loro tempo.

La tela dipinta in “grisaille”, chiaroscuro quasi privo di colore introdotto per la prima volta a Roma nella prima metà del Cinquecento, esalta come nessun’altra la caratteristica estetica del linguaggio artistico di Rembrandt: un uso scenografico della luce e una esaltazione illusionistica del dettaglio tali da rivelare, attraverso la pittura, la tessitura teologica della storia. La strategia luministica di Rembrandt, è noto, non fu una invenzione isolata ma partecipò della moda del caravaggismo e di pulsioni mistiche e irrazionali prodotte dalle crisi coeve della società europea. Il continente, infatti, stretto tra guerre di religione e crisi senza precedenti di un’economia estremamente finanziarizzata, già dalla fine del cinquecento aveva ricusato il razionalismo dell’estetica rinascimentale, dirigendosi verso una resa non realistica dello spazio e una rappresentazione della realtà focalizzata sulle allegorie dei suoi valori morali e religiosi. Nell’area protestante, questa svolta implicò il rifiuto della teologia cattolica, dei suoi intellettualismi e il recupero di una lettura diretta delle sacre scritture caratterizzate da un confronto spesso mistico con il divino, più in linea con la spiritualità popolare e borghese dei paesi del Nord.

Il 2019 verrà ricordato in Italia come l’anno del cinqucentenario della morte di Leonardo da Vinci e di numerosissime polemiche, culminate in una mostra del Louvre da varie parti osteggiata e, per ragioni tra loro diversissime, discussa. Questo stesso anno è stato nel mondo quello del trecentcinquantenario della morte di Rembrandt, cui sono state dedicate numerose iniziative, non solo espositive, e a livello internazionale. La Pilotta, in una visione universale dell’arte e dopo aver ospitato nella prima parte dell’anno una mostra sulla Scapiliata e l’introduzione del movimento in pittura in Leonardo Da Vinci, offre al pubblico la possibilità di ammirare in quest’opera un piccolo capolavoro del maestro olandese secondo una visione il più complessa e articolata possibile della storia dell’arte europea. Una visione che sottolinei viepiù gli scambi, le relazioni e le contaminazioni di una comunità intellettuale e culturale per forza di cose cosmopolita.

L’opera
Rembrandt Harmenszoon van Rijn (1606-1669)
Adorazione dei Magi, 1632
Olio su carta incollato su tela
45x39 cm
Entrato nelle collezioni dell’Ermitage nel 1932, ceduto da Associazione All-Union Antikvariat, provenienza originale dalla collezione del Principe I.I. Paskevich

L’iconografia dell’Adorazione dei magi si rifà ad un passaggio del Vangelo secondo Matteo in cui è scritto che «udito il re, essi [ i magi ], partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino./ Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima./ Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra». La composizione a più figure comprende dunque differenti personaggi in abiti orientali, abbigliati con ricchi accessori esotici: turbanti, un grosso ombrello, armature, verso i quali l’autore provava grande interesse, in quanto simboli provenienti da Est e quindi espressione iconografiche della Terra Santa. L’opera, dipinta attorno al 1632, appartiene a una fase di emancipazione creativa in cui Rembrandt cercò una sua strada pienamente originale, uscito da appena due anni dalla bottega del maestro Pieter Lastman in una congiuntura dominata da Peter Paul Rubens e dai suoi seguaci. Nella Adorazione dei Magi dell’Ermitage si distinguono i temi e gli stilemi fondamentali che costituiranno la sua identità estetica – un gioco focale che stabilisce i principi della composizione, il riferimento a iconografie antiche e orientali in risposta al classicismo della pittura barocca e cattolica – ma si leggono ancora i legami non totalmente recisi con l’arte italiana, come lo si può vedere dalla rappresentazione del volto della vergine e del bambino. La luce si concentra sulla figura del saggio con la barba bianca inginocchiato, che china il suo capo davanti al Cristo tenuto in braccio da Maria. Le morbide gradazioni di colore che avvolgono dalla penombra i singoli dettagli danno alla rappresentazione una sfumatura drammatica, dove l’interesse di Rembrandt sta tutto nel tributo che gli antichi saperi magici e astronomici dell’Oriente riservano a un Principe divino più potente di tutti, quindi destinato a superare e a sussumere a sé la parzialità dei poteri pagani che lo hanno preceduto. Questo racconto, probabilmente mitico e di origine non ebraica, suggerisce la sublimazione delle tradizioni teologiche pagane nella nuova religione, come indica una composizione non centrata sulla figura del figlio di Dio ma sulla veste del re, già di successo in area italiana (come per esempio nell’Adorazione dei Magi di Veronese, del 1573). Il grisaille dell’Ermitage venne dipinto in parallelo a una serie di incisioni preparatorie riferite ad episodi della vita e della passione di Cristo, mai portate a termine, e divenne modello di altre composizioni analoghe con il medesimo soggetto. Le fasi della sua genesi testimoniano il processo creativo, caratteristico della pratica di Rembrandt, in cui un tono prevalentemente marrone si combina con il grigio o l’azzurro: in primo piano domina un morbido color seppia, mentre in secondo piano e in profondità prevale un freddo color grigio precisamente calcolato per essere confrontato con la morbidezza del resto del soggetto. Autore di circa 600 quadri, 2000 disegni e 400 incisioni, l’attività di Rembrandt è stata di sicuro prolificissima, per quanto scarsamente rappresentata nelle collezioni pubbliche italiane. Come lo testimoniano i numeri, l’attività del maestro fu particolarmente produttiva nelle arti grafiche per le quali dimostrò un interesse legato alle sue finalità estetiche. Caratterizzano infatti il suo lavoro in questo ambito alcune innovazioni tecniche prive di precedenti che ritroviamo trasposte in pittura come in quest’opera dell’Ermitage a cavallo tra i generi: l’alternanza di tratti di diverso spessore, una griglia di intensità diversa a seconda dei soggetti e dei punti drammatici della composizione, forti effetti di chiaroscuro resi possibili dall’intensità e dal ritmo della linea. All’epoca della sua acquisizione, nel 1932, i soprintendenti dell’Ermitage considerarono l’opera copia di un dipinto pressoché identico, ma di dimensioni maggiori, che si trova al Museo d’Arte di Göteborg (71 x 65,8 cm.). Le elevate qualità pittoriche della grisaille dell’Ermitage, che avevano attirato l’attenzione degli studiosi, sono state in seguito confermate dell’analisi della tela ai raggi X, le quali hanno evidenziato correzioni da parte dell’autore, pentimenti che costituiscono dunque una prova della sua autenticità.

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