Il regno animale di Ugo Guidi
Dal 06 Giugno 2015 al 26 Luglio 2015
Pistoia
Luogo: Fondazione Jorio Vivarelli
Indirizzo: via Felceti 11
Orari: dal lunedì al venerdì 9-13; sabato 9-13 / 15-20
Costo del biglietto: ingresso gratuito
Telefono per informazioni: +39 0573 477423
E-Mail info: segreteria@fondazionevivarelli.it
Sito ufficiale: http://www.ugoguidi.it/
La Fondazione Jorio Vivarelli di Pistoia ospita la mostra di sculture e disegni del maestro Ugo Guidi dal titolo “Il regno animale di Ugo Guidi”.
La mostra delle opere di Ugo Guidi (1912-1977) comprende 17 sculture in marmo, pietra, terracotta, bronzo e ceramica e 5 tra tempere e disegni che segnano il percorso di evoluzione artistica e stilistica del Maestro di oltre un trentennio, dagli anni ’40 ai ‘70.
L’esposizione sarà inaugurata sabato 6 giugno 2015 alle ore 18 presso la Fondazione Jorio Vivarelli di Pistoia, via Felceti 11 Pistoia, e sarà visitabile fino al 26 luglio 2015 ad ingresso libero con orario dal lunedì al venerdì 9 – 13, sabato 9 -13 e 15 – 20.
“Nell’inesauribile repertorio di forme, materiali e soluzioni tecniche adottate dallo scultore versiliese Ugo Guidi trova posto un filone figurativo dedicato agli animali che attraversa tutto l’arco della sua produzione artistica, a testimonianza di un interesse mai sopito verso il mondo rurale.
Per chi è avvezzo a frequentare il panorama espressivo dell’arte contemporanea, con la sua varietà di linguaggi e la “spettacolarizzazione del quotidiano”, rimarrà particolarmente attratto da queste opere che nascono da un’indagine volta alla riscoperta dei valori della civiltà contadina resa nella sua più autentica genuinità.
La dignità del mondo rurale sta nella certezza che ogni frutto, ogni spiga, ogni piccolo guadagno sono ottenuti col sudore della fronte e con il rischio dell’alternante andamento delle stagioni; sta nella tradizione e nel ripetersi di gesti apparentemente uguali ma, in realtà, arricchiti dall’esperienza di passate generazioni, nella gerarchia di valori, nella continuità di una saggezza consegnata dagli anziani ai giovani; sta, infine, nel giusto equilibro dell’uomo con l’ambiente e con il mondo animale che allevia le sue fatiche nel lavoro dei campi.
Le opere di Ugo Guidi rendono omaggio al rapporto umano e ancestrale con il suo territorio e fanno riflettere sulla frenesia dei tempi moderni, di una civiltà, come quella in cui viviamo, governata dalle macchine e dalla tecnologia. Cesare Pavese già nel lontano 1941 sosteneva, con un filo di disperazione “Ormai devono essere morti anche i cavalli”, una profezia raccolta, trent’anni più tardi, da Pier Paolo Pasolini che traccerà, con lucidità e dolore, il repentino trapasso da una civiltà contadina ad una post-industriale.
Testimoni dei tempi moderni come Joseph Höffner, uno dei massimi esperti della moderna dottrina sociale cattolica, ha sottolineato la perdita del focolare nel suo significato coesivo di abitazione contadina nella quale uomini e animali vivevano in perfetta armonia tra loro e con l’ambiente. Di questo mondo, nel campo delle arti figurative, è testimone anche Ugo Guidi con la variegata rappresentazione dei suoi animali.
Capretta del 1946, Maialino del 1944, Gatto che dorme del 1948 sono bellissime opere con le quali egli recupera stilisticamente quel linguaggio che prende le mosse dalla lezione del grande scultore Libero Andreotti e del carrarese Arturo Dazzi autore, ad esempio, del Cavallino, 1927, (Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma). Si tratta di un repertorio che Ugo Guidi conosce bene per la sua formazione culturale, per l’esercizio continuo di docente in ambito accademico, ma anche per i rapporti con l’ambiente artistico della Versilia, particolarmente ricco di fermenti culturali nel primo Novecento, allorché la Versilia era frequentata da personaggi di fama internazionale quali D’Annunzio, Pascoli, Puccini, Campana, Pea, Ungaretti, Viani, Nomellini, De Witt, solo per citarne alcuni.
Nelle opere giovanili di Ugo Guidi - Pecora del 1957 in terracotta, Pecora del 1959 in tufo della Versilia e Meriggio dello stesso anno - si ammira la modulazione della materia spinta fino al limite del virtuosismo per la lucentezza e il candore del vello. Sono opere di una poetica realistica, frutto di un approccio che deriva della tradizione. Il linguaggio della campagna è ricco di espressioni legate a cose concrete, al lavoro dell’uomo e agli animali.
Se osserviamo le opere della maturità percepiamo, invece, una progressiva trasformazione della visione con la quale quello stesso mondo rurale e il regno animale si presentano agli occhi dello scultore.
Così come nella poesia “Il bove” di Giovanni Pascoli l’animale diventa metafora di una realtà inconoscibile che solo il poeta può rappresentare come se la vedesse attraverso gli occhi dell’animale, così “I buoi” di Ugo Guidi (1974), accoppiati così tanto da apparire bifronti, producono una resa straniante della realtà come se l’immagine diventasse frutto di una psiche dominata dall’inquietudine e dal mistero.
«C’è come una pietas virgiliana innata, tipica dell’animo di Guidi - scrive Marzio Dall’Acqua - una sottile e persistente malinconia dell’esistere, un’inquieta nostalgia per un altrove che rende instabili, ma che allo stesso tempo coinvolge ed accomuna cose, uomini ed animali in una fragilità emotiva, pronta a rompersi, a frantumarsi. Ed è questa l’evoluzione dell’opera di Guidi. Ed è qui che ci sono tutte le premesse delle ricerche future».
A conferma di ciò basta guardare i suoi cavalli e cavalieri, uno dei temi più insistentemente ripetuti da Ugo Guidi, per accorgersi come l’evoluzione dello stile con il quale sono rappresentati sia tutta interna alla materia, frutto della riflessione e dell’inquietudine interiore dell’artista. Evoluzione e sperimentazione che si spinge fino ad arrivare alle figure-totem di Bestia del 1972, a quelle mitologiche come Le Pleiadi del 1973 e all’Amazzone a cavallo del 1974.
In queste sculture l’artista abbandona la lucidità delle prime opere quasi volesse significare che solo i poeti e gli artisti possono essere i medium dell’età contemporanea: i primi utilizzando il simbolismo dell’espressione lirica, i secondi sollecitando conoscenze intuitive attraverso forme ermetiche.
La fuga nell’arcaico, nel totemico e nel mitologico dimostra il disagio dell’artista nella società moderna e nella visione di tutto ciò, negli ultimi anni della sua vita, Guidi raggiunge la convinzione che il mondo dei “vinti”, di verghiana memoria, era in realtà un mondo di vincitori.”
Veronica Ferretti
La mostra delle opere di Ugo Guidi (1912-1977) comprende 17 sculture in marmo, pietra, terracotta, bronzo e ceramica e 5 tra tempere e disegni che segnano il percorso di evoluzione artistica e stilistica del Maestro di oltre un trentennio, dagli anni ’40 ai ‘70.
L’esposizione sarà inaugurata sabato 6 giugno 2015 alle ore 18 presso la Fondazione Jorio Vivarelli di Pistoia, via Felceti 11 Pistoia, e sarà visitabile fino al 26 luglio 2015 ad ingresso libero con orario dal lunedì al venerdì 9 – 13, sabato 9 -13 e 15 – 20.
“Nell’inesauribile repertorio di forme, materiali e soluzioni tecniche adottate dallo scultore versiliese Ugo Guidi trova posto un filone figurativo dedicato agli animali che attraversa tutto l’arco della sua produzione artistica, a testimonianza di un interesse mai sopito verso il mondo rurale.
Per chi è avvezzo a frequentare il panorama espressivo dell’arte contemporanea, con la sua varietà di linguaggi e la “spettacolarizzazione del quotidiano”, rimarrà particolarmente attratto da queste opere che nascono da un’indagine volta alla riscoperta dei valori della civiltà contadina resa nella sua più autentica genuinità.
La dignità del mondo rurale sta nella certezza che ogni frutto, ogni spiga, ogni piccolo guadagno sono ottenuti col sudore della fronte e con il rischio dell’alternante andamento delle stagioni; sta nella tradizione e nel ripetersi di gesti apparentemente uguali ma, in realtà, arricchiti dall’esperienza di passate generazioni, nella gerarchia di valori, nella continuità di una saggezza consegnata dagli anziani ai giovani; sta, infine, nel giusto equilibro dell’uomo con l’ambiente e con il mondo animale che allevia le sue fatiche nel lavoro dei campi.
Le opere di Ugo Guidi rendono omaggio al rapporto umano e ancestrale con il suo territorio e fanno riflettere sulla frenesia dei tempi moderni, di una civiltà, come quella in cui viviamo, governata dalle macchine e dalla tecnologia. Cesare Pavese già nel lontano 1941 sosteneva, con un filo di disperazione “Ormai devono essere morti anche i cavalli”, una profezia raccolta, trent’anni più tardi, da Pier Paolo Pasolini che traccerà, con lucidità e dolore, il repentino trapasso da una civiltà contadina ad una post-industriale.
Testimoni dei tempi moderni come Joseph Höffner, uno dei massimi esperti della moderna dottrina sociale cattolica, ha sottolineato la perdita del focolare nel suo significato coesivo di abitazione contadina nella quale uomini e animali vivevano in perfetta armonia tra loro e con l’ambiente. Di questo mondo, nel campo delle arti figurative, è testimone anche Ugo Guidi con la variegata rappresentazione dei suoi animali.
Capretta del 1946, Maialino del 1944, Gatto che dorme del 1948 sono bellissime opere con le quali egli recupera stilisticamente quel linguaggio che prende le mosse dalla lezione del grande scultore Libero Andreotti e del carrarese Arturo Dazzi autore, ad esempio, del Cavallino, 1927, (Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma). Si tratta di un repertorio che Ugo Guidi conosce bene per la sua formazione culturale, per l’esercizio continuo di docente in ambito accademico, ma anche per i rapporti con l’ambiente artistico della Versilia, particolarmente ricco di fermenti culturali nel primo Novecento, allorché la Versilia era frequentata da personaggi di fama internazionale quali D’Annunzio, Pascoli, Puccini, Campana, Pea, Ungaretti, Viani, Nomellini, De Witt, solo per citarne alcuni.
Nelle opere giovanili di Ugo Guidi - Pecora del 1957 in terracotta, Pecora del 1959 in tufo della Versilia e Meriggio dello stesso anno - si ammira la modulazione della materia spinta fino al limite del virtuosismo per la lucentezza e il candore del vello. Sono opere di una poetica realistica, frutto di un approccio che deriva della tradizione. Il linguaggio della campagna è ricco di espressioni legate a cose concrete, al lavoro dell’uomo e agli animali.
Se osserviamo le opere della maturità percepiamo, invece, una progressiva trasformazione della visione con la quale quello stesso mondo rurale e il regno animale si presentano agli occhi dello scultore.
Così come nella poesia “Il bove” di Giovanni Pascoli l’animale diventa metafora di una realtà inconoscibile che solo il poeta può rappresentare come se la vedesse attraverso gli occhi dell’animale, così “I buoi” di Ugo Guidi (1974), accoppiati così tanto da apparire bifronti, producono una resa straniante della realtà come se l’immagine diventasse frutto di una psiche dominata dall’inquietudine e dal mistero.
«C’è come una pietas virgiliana innata, tipica dell’animo di Guidi - scrive Marzio Dall’Acqua - una sottile e persistente malinconia dell’esistere, un’inquieta nostalgia per un altrove che rende instabili, ma che allo stesso tempo coinvolge ed accomuna cose, uomini ed animali in una fragilità emotiva, pronta a rompersi, a frantumarsi. Ed è questa l’evoluzione dell’opera di Guidi. Ed è qui che ci sono tutte le premesse delle ricerche future».
A conferma di ciò basta guardare i suoi cavalli e cavalieri, uno dei temi più insistentemente ripetuti da Ugo Guidi, per accorgersi come l’evoluzione dello stile con il quale sono rappresentati sia tutta interna alla materia, frutto della riflessione e dell’inquietudine interiore dell’artista. Evoluzione e sperimentazione che si spinge fino ad arrivare alle figure-totem di Bestia del 1972, a quelle mitologiche come Le Pleiadi del 1973 e all’Amazzone a cavallo del 1974.
In queste sculture l’artista abbandona la lucidità delle prime opere quasi volesse significare che solo i poeti e gli artisti possono essere i medium dell’età contemporanea: i primi utilizzando il simbolismo dell’espressione lirica, i secondi sollecitando conoscenze intuitive attraverso forme ermetiche.
La fuga nell’arcaico, nel totemico e nel mitologico dimostra il disagio dell’artista nella società moderna e nella visione di tutto ciò, negli ultimi anni della sua vita, Guidi raggiunge la convinzione che il mondo dei “vinti”, di verghiana memoria, era in realtà un mondo di vincitori.”
Veronica Ferretti
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