Dante. Gli occhi e la mente. Le Arti al tempo dellesilio
Dal 08 Maggio 2021 al 04 Luglio 2021
Ravenna
Luogo: Chiesa di San Romualdo
Indirizzo: Via Alfredo Baccarini 46
Orari: 10-19 dal martedì alla domenica, lunedì chiuso (il servizio di biglietteria termina un’ora prima della chiusura)
Curatori: Massimo Medica
Enti promotori:
- Comune di Ravenna – Assessorato alla Cultura
- MAR Museo d’Arte della città di Ravenna
Sito ufficiale: http://www.mar.ra.it
Il Comune di Ravenna, l’Assessorato alla cultura e il MAR – Museo d’Arte della Città di Ravenna, in occasione del VII centenario della morte di Dante, dal 8 maggio al 4 luglio 2021 grazie al prezioso contributo della Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna, della Camera di Commercio di Ravenna e della Regione Emilia-Romagna presentano la mostra Dante. Gli occhi e la mente. Le Arti al tempo dell’esilio presso la Chiesa di San Romualdo.
Nell’affrontare la figura di Dante più volte ci si è interrogati sul particolare ruolo che l’esperienza visiva poté avere nella concezione delle sue opere; molti hanno notato la capacità del poeta di pensare direttamente per immagini, attingendo, soprattutto nella Commedia, a un repertorio che certamente doveva comprendere anche le esperienze figurative. E questo soprattutto se si considera che egli era nato e vissuto a Firenze, città che dalla metà del XIII secolo in avanti aveva vissuto una notevolissima fioritura artistica, culminata con l’esperienza di Cimabue (documentata in mostra dalla Madonna di Castelfiorentino e dalle due straordinarie miniature ritagliate con i santi Abbondio e Crisanto, applicate sugli sportelli esterni di un tabernacolo-reliquario della Pinacoteca Civica di Gubbio) e poi da quella sorprendente dell’allievo Giotto, di cui Dante dovette conoscere le opere, come attesta il celeberrimo passo del Purgatorio. L’origine fiorentina del poeta lo metteva in una posizione privilegiata potendo facilmente registrare i fatti più salienti dell’incalzante evolversi dell’arte locale che troverà proprio con Giotto, nella scoperta del vero e nella certezza dello spazio misurabile, una sua dimensione più universale e italiana così come lo stesso Dante andava facendo in quegli anni con la sua ricerca di una lingua, il “volgare illustre”, di portata peninsulare. Non meno determinante da questo punto di vista dovette essere anche la traumatica esperienza dell’esilio che, iniziato nel 1302, lo porterà a peregrinare per varie corti e città dell’Italia centro-settentrionale venendo così ad arricchire il suo “vasto patrimonio di immagini” di cui certamente dovette tenere conto nel momento in cui compose la Commedia, pervasa da continue suggestioni figurative e da riferimenti al mondo visibile. Un percorso assai travagliato che la mostra, curata da Massimo Medica (Direttore dei Musei Civici d’Arte Antica di Bologna), intende ripercorrere, seguendone le principali tappe fino a giungere all’ultimo approdo a Ravenna, dove, come è noto, il poeta si spense esattamente settecento anni fa. Roma, Arezzo, Verona, Padova, Bologna, Lucca, Pisa, Ravenna, costituiscono alcune delle tappe principali del suo esilio, che scandiscono il percorso della mostra nella quale figurano alcuni capolavori assoluti prodotti nell’età di Dante attraverso i quali è possibile ripercorrere le più importanti vicende che caratterizzarono tra il XIII e il XIV secolo l’arte italiana, connotata proprio in questi anni da profonde mutazioni e novità. E questo a partire dalla stessa Firenze, a cui viene dedicata la sezione iniziale, dove l’attività dei due protagonisti, Cimabue e Giotto, menzionati nelle ben note terzine del Purgatorio (canto XI) è attestata da alcune opere capitali ad iniziare dalla Madonna col Bambino di Castelfiorentino di Cimabue messa a confronto con la Madonna di San Giorgio alla Costa di Giotto e con il più tardo polittico di Badia del Museo degli Uffizi, che lo stesso Dante ebbe sicuramente occasione di ammirare prima della sua condanna al forzato confino. Di questo fu sicuramente il maggiore responsabile l’odiato Bonifacio VIII, la cui figura viene evocata attraverso la scultura realizzata da Arnolfo di Cambio (in mostra sarà presente il calco), di cui la mostra presenta anche altre opere. Varie suppellettili e preziosi dipinti (i due frammenti di affresco con i santi Pietro e Paolo provenienti dal distrutto ciclo pittorico del portico di San Pietro, Città del Vaticano, Fabbrica di San Pietro in Vaticano) ci introdurranno infatti alla vita della corte pontificia di Roma, città che Dante ebbe occasione di visitare sia nel 1300 e poi nel 1301, prima di ricevere la notizia della sua condanna e del definitivo esilio da Firenze.
Da questo momento ebbe inizio il peregrinare di Dante che lo porterà dapprima nella Forlì degli Ordelaffi e poi a Verona, dove si pose sotto la protezione degli Scaligeri prima nel 1303-1304 e poi nel 1313-1318 nel momento in cui la città stava vivendo un momento di grande sviluppo, anche artistico, promosso soprattutto da Cangrande della Scala, “uno dei più magnifici Signori che dallo Imperatore Federigo Secondo in qua si sapesse in Italia” (Boccaccio). Preziosi tessuti, oreficerie, tavole dipinte e sculture (queste ultime dovute al cosiddetto Maestro di Sant’Anastasia) documentano questa produttiva sosta del poeta nella città veneta. Probabilmente in questo stesso giro di anni dovette cadere anche il suo soggiorno a Padova dove giunse intorno al 1304. Quando cioè Giotto, stava ultimando la decorazione della cappella commissionatagli da Enrico Scrovegni, che certamente doveva allora costituire quanto di più innovativo la pittura potesse esprimere, tanto da indurre il poeta ad affermare che “ora ha Giotto il grido”. Se ne accorsero anche altri artisti del momento, a iniziare dai miniatori, tra i primi a recepire la portata delle sue novità, come documenta in mostra anche la decorazione del preziosissimo Offiziolo (1305-1309) appartenuto al poeta amico di Dante, Francesco da Barberino, che presenta al suo interno varie immagini di chiara ispirazione dantesca. Successivo è il passaggio da Bologna (1304-1306), importante per la sua antica Università che lo stesso Dante dovette forse frequentare in anni antecedenti, (1286 e il 1287). Non è escluso che in quella occasione il poeta avesse potuto ammirato le miniature che arricchivano i preziosi libri giuridici e i codici liturgici, di cui la città deteneva, con Parigi, il primato, tanto da rammentarsene nell’XI canto del Purgatorio, dove viene menzionato appunto il miniatore Oderisi da Gubbio superato dal fantomatico Franco Bolognese. Saranno quindi i preziosi manoscritti miniati della scuola bolognese del tardo Duecento e del primo Trecento a caratterizzare questa sezione, arricchita da alcuni indiscussi capolavori, prestati per l’occasione da varie biblioteche e musei ad iniziare dalla Biblioteca Apostolica Vaticana. Dopo i soggiorni nella Marca Trevigiana e poi nella Lunigiana dei Malaspina, Dante si trasferì nel Casentino, poi a Lucca, dove ebbe occasione di vedere le opere eseguite da Nicola Pisano per la cattedrale (presente in mostra il calco della lunetta con la Deposizione dalla Croce, Pisa Museo Nazionale di San Matteo) e ancora a Forlì nel 1310 dove probabilmente apprese la notizia della discesa in Italia del nuovo Imperatore Arrigo VII, verso il quale si concentrarono le sue speranze e il sogno di una restaurazione imperiale. A questo momento centrale della vita del poeta viene riservata un’apposita sezione che presenta varie documentazioni legate all’Imperatore, morto prematuramente il 24 agosto del 1313. Alla solenne cerimonia funebre che si tenne nel Duomo di Pisa presenziò probabilmente anche Dante, che ebbe così occasione di ammirare alcuni dei capolavori assoluti realizzati da Nicola e da Giovanni Pisano. Quest’ultimo sappiamo in questi anni al servizio dello stesso imperatore, che gli commissionò la realizzazione del monumento funebre della moglie Margherita di Brabante, morta il 14 dicembre del 1311 e sepolta a Genova nella Cattedrale (da cui proviene la scultura con la Giustizia della Galleria Nazionale della Liguria di Palazzo Spinola). Probabilmente il monumento era stato in parte approntato nella bottega pisana dello scultore tra la primavera e l’estate del 1313, nello stesso periodo in cui Dante era presente a Pisa dove si era trasferito, seguendo la corte, a partire dal mese di marzo del 1312. Le testimonianze di Nicola e Giovanni Pisano affiancano in mostra quelle di Arnolfo di Cambio (Galleria Nazionale dell’Umbria) a conferma della preminenza attribuita dal poeta all’arte plastica, come attestano le numerose citazioni contenute nella Commedia. Una volta lasciata la corte di Cangrande della Scala, Dante giunge a Ravenna intorno al 1319, dove da poco si era insediato al potere Guido Novello da Polenta, in grado di garantire alla città un periodo di relativa pace e stabilità, speso soprattutto a coltivare e a promuovere la cultura di corte, e le imprese artistiche. Risale infatti a questo periodo la presenza in città dei pittori Giovanni e Giuliano da Rimini, chiamato quest’ultimo a decorare la cappella a cornu epistulae della chiesa di San Domenico, seguito anche da Pietro da Rimini, di cui la città conserva ancora oggi varie testimonianze. Pertanto a questi due artisti riminesi (di Giuliano verrà presentato il grande polittico di proprietà della Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini depositato al Museo della Città “Luigi Tonini”) viene riservato ampio spazio nella sezione finale della mostra, intervallata anche da testimonianze legate alla cultura figurativa veneziana, a documentare l’ultima impresa diplomatica svolta, per conto del da Polenta nella città lagunare dal poeta fiorentino che tuttavia gli risultò fatale causandogli la morte che lo colse tra il 13 e il 14 settembre del 1321. Venne sepolto in una piccola cappella addossata al muro del convento di San Francesco, che anticamente era detta della Madonna per via forse di una antica immagine scolpita con la Madonna in trono col Bambino, che sormontava in origine il modesto sarcofago, che si è voluto identificare con quella oggi conservata al Museo del Louvre, proveniente infatti da Ravenna. Si tratta di un indiscusso capolavoro realizzato in marmo, databile tra la fine del Duecento e gli inizi del Trecento, che ritorna per l’occasione nella città di origine, documentando la sua pertinenza alla tradizione bizantina, rivisitata tuttavia secondo una sensibilità già tutta occidentale e gotica.
Nell’affrontare la figura di Dante più volte ci si è interrogati sul particolare ruolo che l’esperienza visiva poté avere nella concezione delle sue opere; molti hanno notato la capacità del poeta di pensare direttamente per immagini, attingendo, soprattutto nella Commedia, a un repertorio che certamente doveva comprendere anche le esperienze figurative. E questo soprattutto se si considera che egli era nato e vissuto a Firenze, città che dalla metà del XIII secolo in avanti aveva vissuto una notevolissima fioritura artistica, culminata con l’esperienza di Cimabue (documentata in mostra dalla Madonna di Castelfiorentino e dalle due straordinarie miniature ritagliate con i santi Abbondio e Crisanto, applicate sugli sportelli esterni di un tabernacolo-reliquario della Pinacoteca Civica di Gubbio) e poi da quella sorprendente dell’allievo Giotto, di cui Dante dovette conoscere le opere, come attesta il celeberrimo passo del Purgatorio. L’origine fiorentina del poeta lo metteva in una posizione privilegiata potendo facilmente registrare i fatti più salienti dell’incalzante evolversi dell’arte locale che troverà proprio con Giotto, nella scoperta del vero e nella certezza dello spazio misurabile, una sua dimensione più universale e italiana così come lo stesso Dante andava facendo in quegli anni con la sua ricerca di una lingua, il “volgare illustre”, di portata peninsulare. Non meno determinante da questo punto di vista dovette essere anche la traumatica esperienza dell’esilio che, iniziato nel 1302, lo porterà a peregrinare per varie corti e città dell’Italia centro-settentrionale venendo così ad arricchire il suo “vasto patrimonio di immagini” di cui certamente dovette tenere conto nel momento in cui compose la Commedia, pervasa da continue suggestioni figurative e da riferimenti al mondo visibile. Un percorso assai travagliato che la mostra, curata da Massimo Medica (Direttore dei Musei Civici d’Arte Antica di Bologna), intende ripercorrere, seguendone le principali tappe fino a giungere all’ultimo approdo a Ravenna, dove, come è noto, il poeta si spense esattamente settecento anni fa. Roma, Arezzo, Verona, Padova, Bologna, Lucca, Pisa, Ravenna, costituiscono alcune delle tappe principali del suo esilio, che scandiscono il percorso della mostra nella quale figurano alcuni capolavori assoluti prodotti nell’età di Dante attraverso i quali è possibile ripercorrere le più importanti vicende che caratterizzarono tra il XIII e il XIV secolo l’arte italiana, connotata proprio in questi anni da profonde mutazioni e novità. E questo a partire dalla stessa Firenze, a cui viene dedicata la sezione iniziale, dove l’attività dei due protagonisti, Cimabue e Giotto, menzionati nelle ben note terzine del Purgatorio (canto XI) è attestata da alcune opere capitali ad iniziare dalla Madonna col Bambino di Castelfiorentino di Cimabue messa a confronto con la Madonna di San Giorgio alla Costa di Giotto e con il più tardo polittico di Badia del Museo degli Uffizi, che lo stesso Dante ebbe sicuramente occasione di ammirare prima della sua condanna al forzato confino. Di questo fu sicuramente il maggiore responsabile l’odiato Bonifacio VIII, la cui figura viene evocata attraverso la scultura realizzata da Arnolfo di Cambio (in mostra sarà presente il calco), di cui la mostra presenta anche altre opere. Varie suppellettili e preziosi dipinti (i due frammenti di affresco con i santi Pietro e Paolo provenienti dal distrutto ciclo pittorico del portico di San Pietro, Città del Vaticano, Fabbrica di San Pietro in Vaticano) ci introdurranno infatti alla vita della corte pontificia di Roma, città che Dante ebbe occasione di visitare sia nel 1300 e poi nel 1301, prima di ricevere la notizia della sua condanna e del definitivo esilio da Firenze.
Da questo momento ebbe inizio il peregrinare di Dante che lo porterà dapprima nella Forlì degli Ordelaffi e poi a Verona, dove si pose sotto la protezione degli Scaligeri prima nel 1303-1304 e poi nel 1313-1318 nel momento in cui la città stava vivendo un momento di grande sviluppo, anche artistico, promosso soprattutto da Cangrande della Scala, “uno dei più magnifici Signori che dallo Imperatore Federigo Secondo in qua si sapesse in Italia” (Boccaccio). Preziosi tessuti, oreficerie, tavole dipinte e sculture (queste ultime dovute al cosiddetto Maestro di Sant’Anastasia) documentano questa produttiva sosta del poeta nella città veneta. Probabilmente in questo stesso giro di anni dovette cadere anche il suo soggiorno a Padova dove giunse intorno al 1304. Quando cioè Giotto, stava ultimando la decorazione della cappella commissionatagli da Enrico Scrovegni, che certamente doveva allora costituire quanto di più innovativo la pittura potesse esprimere, tanto da indurre il poeta ad affermare che “ora ha Giotto il grido”. Se ne accorsero anche altri artisti del momento, a iniziare dai miniatori, tra i primi a recepire la portata delle sue novità, come documenta in mostra anche la decorazione del preziosissimo Offiziolo (1305-1309) appartenuto al poeta amico di Dante, Francesco da Barberino, che presenta al suo interno varie immagini di chiara ispirazione dantesca. Successivo è il passaggio da Bologna (1304-1306), importante per la sua antica Università che lo stesso Dante dovette forse frequentare in anni antecedenti, (1286 e il 1287). Non è escluso che in quella occasione il poeta avesse potuto ammirato le miniature che arricchivano i preziosi libri giuridici e i codici liturgici, di cui la città deteneva, con Parigi, il primato, tanto da rammentarsene nell’XI canto del Purgatorio, dove viene menzionato appunto il miniatore Oderisi da Gubbio superato dal fantomatico Franco Bolognese. Saranno quindi i preziosi manoscritti miniati della scuola bolognese del tardo Duecento e del primo Trecento a caratterizzare questa sezione, arricchita da alcuni indiscussi capolavori, prestati per l’occasione da varie biblioteche e musei ad iniziare dalla Biblioteca Apostolica Vaticana. Dopo i soggiorni nella Marca Trevigiana e poi nella Lunigiana dei Malaspina, Dante si trasferì nel Casentino, poi a Lucca, dove ebbe occasione di vedere le opere eseguite da Nicola Pisano per la cattedrale (presente in mostra il calco della lunetta con la Deposizione dalla Croce, Pisa Museo Nazionale di San Matteo) e ancora a Forlì nel 1310 dove probabilmente apprese la notizia della discesa in Italia del nuovo Imperatore Arrigo VII, verso il quale si concentrarono le sue speranze e il sogno di una restaurazione imperiale. A questo momento centrale della vita del poeta viene riservata un’apposita sezione che presenta varie documentazioni legate all’Imperatore, morto prematuramente il 24 agosto del 1313. Alla solenne cerimonia funebre che si tenne nel Duomo di Pisa presenziò probabilmente anche Dante, che ebbe così occasione di ammirare alcuni dei capolavori assoluti realizzati da Nicola e da Giovanni Pisano. Quest’ultimo sappiamo in questi anni al servizio dello stesso imperatore, che gli commissionò la realizzazione del monumento funebre della moglie Margherita di Brabante, morta il 14 dicembre del 1311 e sepolta a Genova nella Cattedrale (da cui proviene la scultura con la Giustizia della Galleria Nazionale della Liguria di Palazzo Spinola). Probabilmente il monumento era stato in parte approntato nella bottega pisana dello scultore tra la primavera e l’estate del 1313, nello stesso periodo in cui Dante era presente a Pisa dove si era trasferito, seguendo la corte, a partire dal mese di marzo del 1312. Le testimonianze di Nicola e Giovanni Pisano affiancano in mostra quelle di Arnolfo di Cambio (Galleria Nazionale dell’Umbria) a conferma della preminenza attribuita dal poeta all’arte plastica, come attestano le numerose citazioni contenute nella Commedia. Una volta lasciata la corte di Cangrande della Scala, Dante giunge a Ravenna intorno al 1319, dove da poco si era insediato al potere Guido Novello da Polenta, in grado di garantire alla città un periodo di relativa pace e stabilità, speso soprattutto a coltivare e a promuovere la cultura di corte, e le imprese artistiche. Risale infatti a questo periodo la presenza in città dei pittori Giovanni e Giuliano da Rimini, chiamato quest’ultimo a decorare la cappella a cornu epistulae della chiesa di San Domenico, seguito anche da Pietro da Rimini, di cui la città conserva ancora oggi varie testimonianze. Pertanto a questi due artisti riminesi (di Giuliano verrà presentato il grande polittico di proprietà della Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini depositato al Museo della Città “Luigi Tonini”) viene riservato ampio spazio nella sezione finale della mostra, intervallata anche da testimonianze legate alla cultura figurativa veneziana, a documentare l’ultima impresa diplomatica svolta, per conto del da Polenta nella città lagunare dal poeta fiorentino che tuttavia gli risultò fatale causandogli la morte che lo colse tra il 13 e il 14 settembre del 1321. Venne sepolto in una piccola cappella addossata al muro del convento di San Francesco, che anticamente era detta della Madonna per via forse di una antica immagine scolpita con la Madonna in trono col Bambino, che sormontava in origine il modesto sarcofago, che si è voluto identificare con quella oggi conservata al Museo del Louvre, proveniente infatti da Ravenna. Si tratta di un indiscusso capolavoro realizzato in marmo, databile tra la fine del Duecento e gli inizi del Trecento, che ritorna per l’occasione nella città di origine, documentando la sua pertinenza alla tradizione bizantina, rivisitata tuttavia secondo una sensibilità già tutta occidentale e gotica.
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