50 anni senza Giorgio Morandi

50 anni senza Giorgio Morandi, Hotel Art, Roma

 

Dal 11 Marzo 2014 al 12 Aprile 2014

Roma

Luogo: Hotel Art

Indirizzo: via Margutta 56

Telefono per informazioni: +39 06 328711

E-Mail info: arnaldo.romanibrizzi@gmail.com

Sito ufficiale: http://www.hotelart.it


Se fino ai 45 anni, Giorgio Morandi fu un pittore semisconosciuto o comunque poco apprezzato ebbe ed ha avuto poi, il tempo e i motivi per rifarsi se ormai, con Giorgio De Chirico, è universalmente riconosciuto come il maggiore del nostro novecento mentre la sua maestria nell’incisione è giudicata inarrivabile a livello mondiale. Quei miracoli nati nella solitudine della bolognese Via Fondazza, divorati da una luce tutta mentale nella più segreta introversità, sono stati sempre amati, in primis, dai pittori, dagli scrittori, dagli artisti in genere, prima che dalla critica, anche la più provveduta, e per questo che l’Hotel Art, da tempo incastonato in quella Via Margutta nella quale è vissuta e vive, è transitata e si continua ad affacciare la storia e l’attualità delle arti, non poteva non ordinare in una se pur piccola mostra, un omaggio che ricordasse Morandi nel cinquantesimo anniversario della sua morte avvenuta nel 1964. Lo ha fatto commissionandolo a 7 artisti, tra i molti e significativi che già l’Hotel Art annovera nei suoi spazi: Gioxe De Micheli, Paolo Giorgi, Daniela Pasti Augias, Ruggero Savinio e DuccioTrombadori così come al fotografo Raniero Botti e allo scultore Giuliano Vangi. Una piccola opera ciascuno di cm. 40x40, che evocasse l’aria psichica del grande isolato nonchè “attualissimo inattuale”. Per ribadire che l’opera morandiana, la sua elegia tonale connessa con la sua sobrietà allucinata, in questi decenni di turbolenza, dove tutto congiura a far apparire il suo lavoro carico di ideali tramontati, quella sua “metafisica dentro il vero” rimane invece un solco luminosissimo.

Artisti:
Gioxe De Micheli, milanese, ha fin da giovanissimo avuto un rapporto come preferenziale con la cultura, figlio del critico Mario De Micheli, che è stato uno dei più importanti e studiati interpreti della pittura del 900. Gioxe, invitato alla Quadriennale romana del 1986, nel 1994, dipinge un grande trittico per il Palazzo di Giustizia della sua città, egli è pittore denso di un suo personalissimo lirismo, di situazioni immaginarie con uomini e cose come immersi in atmosfere di sottile magia, nelle quali affiorano la sua vocazione di testimone se pur per velate allusioni, del malessere umano e civile che ormai quasi sovraintende la condizione dell’uomo e i suoi destini.

Paolo Giorgi, toscano di nascita e romano d’adozione, con il suo lavoro, denso di riferimenti letterari e musicali, suscita l’interesse della critica più provveduta fin dall’apparire di un suo ciclo di grandi dipinti dedicati a La montagna incantata di Thomas Mann. Pittore di assorti interni nei quali la figura o gli oggetti di alcune rare nature morte, sono i discreti protagonisti di una dimensione come di sospesa ed enigmatica attesa e nei quali, l’intimismo più umbratile e assorto si coniuga con i colori evocati da quell’anima indagatrice, tanto cara e presente nella stagione d’oro della pittura olandese. Invitato a tre edizioni della Quadriennale, Premio Suzzara, è invitato alle Corderie dell’Arsenale nella 54°Biennale di Venezia.

Daniela Pasti Augias, nei saggi che dedicano al suo lavoro Claudio Strinati o Vito Mancuso, è pittrice che “coltiva un sogno delicato e intimo”. Un ciclo fortunato di grandi quadri, approdato al romano Museo di Castel Sant’Angelo, dedicava alle torsioni e ai volteggi marmorei di quelle meraviglie che si fronteggiano proprio sul celebre ponte sottostante, una attenzione spasmodica e indagatrice. Cacciatrice Daniela Pasti, di immagini, nella sua ricostruzione degli spazi visivi, questi ci tornano audaci e personalissimi, come inseguisse, con l’occhio della sequenza, la vertigine del reale o dell’immoto da far rivivere tramite la sua pittura, che è anche sottile ma impietosa indagine sul Tempo.

Ruggero Savinio, romano, racconta in un suo scritto (è anche scrittore a pieno titolo) che apprese i primi rudimenti della sua passione, la pittura naturalmente, dallo zio Giorgio. Dove questi sta per De Chirico e quel ragazzo oggi, è uno degli artisti più interessanti del panorama internazionale, dotato di una singolarissima e inimitabile vocazione ai forti richiami che su di lui hanno avuto e continuano ad avere, gli esiti più alti della cultura romantica. Cruciali per la sua poetica, una serie di Conversazioni di religiosa quanto enigmatica suggestione, che è stata esposta nel contesto di una recente mostra antologica che gli ha dedicata la Galleria Nazionale d’Arte Moderna. E’ stato Premio Guggenheim del 1986 e dal 1996, è Accademico di San Luca. 

Duccio Trombadori, di Antonello, nipote di Francesco. Scrittore, poeta, saggista, critico d’Arte apprezzatissimo, docente di Estetica alla Sapienza romana è anche, ormai non più segretamente, un ottimo pittore. La sua presenza all’ultima Biennale veneziana è la chiara testimonianza che i suoi piccoli quadri, tutti inondati di una luce di lucido incanto, di un altrove desiderato e chimerico quanto reale nelle sue tinte d’ombra della campagna toscana, hanno un loro circuito critico oltre che affettivo. Trombadori, en plain air, ruba ai suoi personalissimi macchiaioli, a certi francesi, al nonno Francesco, una agognata quiete interiore che si posa per incanto sul piccolo formato del suo impegno, ingrandendosi questo, nel cuore dello spettatore.

Raniero Botti, architetto di rara arditezza del concept nella progettazione, interior-design, è fotografo a tempo pieno, indagatore com’è e reporter d’ogni aspetto del suo lavoro, degli elementi umili o mastodontici che lo compongono. Le sue ricognizioni, divenute mostre apprezzatissime, rimandano fotografie di un reale in perpetua mutazione, di una modernità insonne e fibrillante sulla quale i suoi occhi, se pur tramite un agito meccanico, indugiano con sapienza e somma sensibilità interiore, regalando emozioni che non si dileguano frettolose per quel vecchio adagio che vorrebbe la fotografia, rea di mostrare il reale solo per quel che è. La fotografia di Botti ne è vibrante testimonianza. 

Giuliano Vangi è unanimemente riconosciuto, come uno dei più grandi scultori viventi. Il suo lavoro, imprescindibile per forza tellurica e tensione morale altissimi, è ormai nei più importanti luoghi deputati ad ospitare capolavori. Il nuovo ingresso ai Musei Vaticani, suoi il Presbitero della Cattedrale di Padova, come altare e ombone del Duomo di Pisa o il complesso in pietra granitica dedicato a Maria di Magdala per la chiesa di Padre Pio a San Giovanni Rotondo. Una potente coerenza con la grande tradizione plastica, porta i suoi lavori ad essere collocati in Giappone dove, il Museo Vangi, di fronte al Monte Fuji, ospita una “città sotterranea” popolata dei suoi uomini e delle sue donne, testimonianze tra le più alte della condizione umana. 

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