Andreoli. Photography

Claudio Andreoli, Alluminio laminato, spray fondo, spray acrilico, silicone, adesivi, inchiostro indelebile - 500x237mm., 2014

 

Dal 29 Maggio 2014 al 29 Maggio 2014

Roma

Luogo: 28 Piazza di Pietra - Palazzo Ferrini-Cini

Indirizzo: piazza di Pietra 28

Telefono per informazioni: +39 06 94539281

E-Mail info: galleria28pdp@gmail.com

Sito ufficiale: http://www.28piazzadipietra.com/


Il titolo della mostra è PHOTOGRAPHY, ma non ci sarà nessuna fotografia, solo un dipinto ad olio su tela di 20x20cm, al piano di sopra al centro della parete. Allora perché PHOTOGRAPHY? Andreoli riprodurrà su richiesta copie di un dipinto ad olio, anzi, il “suo primo dipinto ad olio” per 100 volte, sempre uguale, come si fa generalmente per una immagine fotografica. Una classica fotografia che oltre a poter essere riprodotta più volte, può essere trasformata con un Photoshop, da policroma in bianco e nero. Si possono variare le proporzioni dei colori primari per virare al giallo, al ciano o al magenta. Si può cambiare la luminosità o la definizione, passando da un bianco totale ad un nero assoluto, passando per un grigio. Se ne può studiare la geografia formale dei colori e delle forme, le fasi di realizzazione. Studi realizzati ad olio e visionabili nel piano inferiore. Ci domandiamo il perché di questo lavoro? Non c’è una risposta esatta, o meglio ci sono diverse risposte che navigano intorno alla manipolazione e alla percezione delle immagini che ci circondano. In particolare l’uso della fotografia nella comunicazione contemporanea e l’immagine (fotografica) che ci arriva delle grandi opere d’arte. La risposta più interessante è che lui stesso è rimasto affascinato da questo “portrait”, un ritratto ideale, come se non fosse suo. Un lavoro nato dal riuso di una tela usata e da tubetti di colori ad olio abbandonati nel fondo di un cassetto, da più di trenta anni. Resti di esperienze liceali. Andreoli del resto ha sempre evitato i colori ad olio per i lunghi tempi di lavorazione, incompatibili con la gestualità del suo lavoro. Il dipinto in esposizione è stato realizzato in pochi minuti, un portrait intitolato istintivamente “Il Saraceno”, per poi scoprire su Wikipedia che: Saraceno “….è un termine utilizzato a partire dal II secolo d.C. sino al Medioevo, senza uno stretto significato etnico, geografico o linguistico, né, addirittura, religioso...”. In altre parole un termine che non indica nessuno o tutti, una sorta di volto universale, in cui ognuno può riconoscersi o riconoscere chi vuole. Il portrait che vedete in esposizione diventa una sua ossessione, seppur fotografato più volte non riesce a riprodurre e a trasmettere quel messaggio che solo l’oggetto reale da ad ogni variazione di luce, i risultati fotografici per quanto tecnicamente perfetti rimangono muti. Da questo fatto nasce l’esigenza di riprodurre una copia dipinta, in barba ai dettami dell’irripetibilità dell’opera di Walter Bejamin. Per mesi riproduce copie avendo sempre sul tavolo l’originale come modello. Con la lente di ingrandimento studia ogni più piccola pennellata, ogni impercettibile sfumatura, ogni lieve rugosità, cerca di ricostruire la cronologia di ogni segno, di ogni strato. Con un Photoshop ne studia l’anatomia scomponendo l’immagine in vari colori. Le copie prodotte sono però sempre banali ed insignificanti. Invece, come nelle favole, nel momento peggiore della storia ecco che gli ultimi portrait riprodotti hanno un senso, un valore, una verità. Spesso egli stesso confonde l’originale con la copia, ma come può capitare ad una madre con i suoi gemelli. Solo per un attimo di distrazione. Andreoli ha intuito che non doveva copiare l’originale fisico che stava li sulla scrivania, ma lo spirito che aveva generato quel dipinto. Allontana l’ansia da prestazione e diventa fotografo, dove non è importante il soggetto ma l’attimo di eccitazione nel salvare una cosa che non si ripeterà. La foto è nello stesso tempo un atto di nascita e di morte. Nella fotografia tra gli scatti più significativi del nostro tempo troviamo l’immancabile sorriso di Marylin Monroe a colori, ma anche le tragiche immagini di guerra in bianco e nero. Non è quindi la bellezza del soggetto che deve essere fotografata, ma quel frammento silenzioso, invisibile, ineludibile della nostra coscienza, un mattone delle fondamenta di un edificio che non abbiamo mai visto, ma sappiamo che è li sotto. Neanche il colore per noi così importante, è un fattore fondamentale. La fotografia ci fa immaginare quello che c’è stato, lo fa vivere e rivivere, ci si impossessa di un ricordo altrui. Un frammento di un’esperienza collettiva. Andreoli mette a disposizione 100 di questi mattoni/foto a chi ha la necessità di costruire una coscienza e una conoscenza diversa, inusuale. Riportiamo una frase presa da un suo appunto: “Le cose vere non sempre sono davanti ai nostri occhi, anche se ciò che guardiamo è vero”. Non sappiamo a cosa si riferisca, ma immaginiamo all’arte fotografata che sicuramente non rilascia integralmente il messaggio originario. 100 è il numero massimo di copie da riprodurre su richiesta. 100 è un numero si trova spesso nel suo lavoro, è come il primo piccolissimo giro di boa verso un infinito. 100 è il valore ipotizzato oggi. 100 è curiosamente anche il prezzo in dollari di ognuna della prima serie di 32 lattine dipinte “CAMPBELL’S” che Andy Warhol espose alla Ferus Gallery di Los Angeles nel maggio del 1962. E oggi è maggio.
Andreoli Claudio. Nato a Roma nel 1962.­­

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