Dan Shaw-Town. Making, Doing & Happening
Dal 09 Aprile 2021 al 22 Maggio 2021
Roma
Luogo: Galleria 1/9unosunove
Indirizzo: Via degli Specchi 20
Orari: Martedì – Sabato dalle 14.00 alle 19.00
Curatori: Simone Zacchini
Telefono per informazioni: +39 06 97613696
E-Mail info: gallery@unosunove.com
Sito ufficiale: http://www.unosunove.com
Come nulla per l'esistenza è semplicemente dato, in modo neutrale, prima della comprensione che essa almeno abbozza di ciò con cui ha a che fare, così l'essere dell'esistenza è tempo perché è linguaggio. L'esistenza è tempo perché si fa nel tempo dell'interpretazione, che è il tempo del discorso grazie a cui essa si apre al mondo che l'ha accolta dal principio e l'ha chiamata in colloquio con le altre esistenze.
Mario Ruggenini e Luigi Perissinotto, Tempo, evento e linguaggio
A distanza di dieci anni dalla sua prima mostra a Roma, Dan Shaw-Town (Huddersfield, UK, 1983) torna da 1/9unosunove per la sua terza personale, presentando in anteprima una serie di opere su tela che sanciscono l’inizio di una nuova fase di ricerca per l’artista inglese che dal 2008 vive e lavora a New York.
Stabilitosi dapprima a Brooklyn, Shaw-Town si è da poco trasferito a Long Island, seguendo l'esempio storico di artisti come Jackson Pollock e Lee Krasner. L'allontanamento dalla città ha influito sulla realizzazione di questi lavori inediti, in cui, dopo molte sperimentazioni su carta e alluminio, per la prima volta nella sua carriera, Shaw-Town lavora su tela. La scelta di questo materiale, molto più malleabile dei precedenti, gli permette di riavvicinarsi alla pittura, anche se l'artista non si è mai definito un pittore nel senso classico del termine. I principali riferimenti che si possono ritrovare nella sua ricerca sono, infatti, tutti legati a un'idea materico-scultorea (Antoni Tàpies, Alberto Burri, Eva Hesse, J.B. Blunk, Peter Voulkos), se non addirittura ambientale (Richard Serra, Jannis Kounellis), del fare artistico, a cui si aggiungono diversi richiami al post-concettuale (Christopher Wool, Bruce Conner).
Se la scelta della tela è una novità, alla base di questa nuova produzione troviamo sempre il disegno, elemento caratteristico di tutta la ricerca artistica di Shaw-Town fin dalle sue prime opere, in cui la manualità dell'esecuzione si trasformava in un fitto intreccio geometrico che marcava la superficie fino a renderla consunta da spessi strati di grafite. Ma, nei lavori esposti in mostra, l'atto del disegnare si fa poco invasivo, riducendosi a un insieme di tracce grafiche minime, che invadono la tela in maniera non schematica. Da questa prima marcatura molto intuitiva e fluida si sviluppa poi un susseguirsi di azioni “pittoriche” che – con l'uso di pastelli a olio, colori acrilici e grasso – trasforma l'insieme dei segni di base, senza alcuna apparente progettualità formale. In realtà, tutte queste tracce sono legate in uno stringente nesso causa-effetto: ogni azione prende ispirazione da quella precedente, attivando un scambio reciproco tra il “farsi” dell'atto artistico (making/doing) e il suo “accadere” (happening).
L’idea della realizzazione non è qualcosa che guida l’artista a priori, o ne traduce l’operato a posteriori, ma prende forma nel momento stesso del suo farsi segno. In questo modo l'atto della creazione artistica si assimila all'atto linguistico del suo stesso esistere.
L'artista si sintonizza con questa idea e prova a portar ordine nel farsi evento di questo insieme di segni, inserendolo in una riflessione linguistica più ampia. Quella di Shaw-Town è un'azione che ingloba l'accadimento, accettandolo come parte integrante del processo creativo con tutta la temporalità sfuggente del suo hic et nunc. La percezione fuggevole del tempo si fa segno, e l'insieme dei segni diventa un linguaggio che ci espone a quel fluire del presente che è la condizione stessa della temporalità, da cui nasce ogni possibile comprensione del mondo.
Dal punto di vista pratico questa riflessione si traduce in una “stratificazione” di disegno e pittura che delinea un'attitudine accumulativa, sia a livello visivo che concettuale: nulla è nascosto, i cambiamenti sono messi a nudo, un segno è coperto da un altro, ma mai cancellato. In questa maniera l'opera si trasforma in un'esemplificazione del processo generativo insito in ogni segno linguistico e, di conseguenza, in ogni scelta dell'artista che si fa portavoce di quel linguaggio, riproponendolo al mondo.
Quindi, l'accadimento estetico configurato dall'opera non s'interrompe con la sua conclusione manuale. L'opera non costituisce un medium autonomo, ma si fa strumento di un’attiva interrogazione interpretativa della dimensione temporale del suo accadere, che prosegue con il suo mettersi in mostra, coinvolgendo lo spettatore. Ogni singola opera dialoga con le altre in un continuo rimando di interpretazioni possibili: cinque tele, tutte della stessa dimensione (184 x 123 cm), sono montate su pannelli metallici e poi incorniciate con un sottile strato d’acciaio; un'altra tela più grande (244 x 213 cm) è, invece, allestita liberamente, senza alcun tipo di telaio, fornendo una decisiva tensione a tutto lo spazio espositivo.
A livello percettivo, l’insieme dei segni di Shaw-Town potrebbe rimandare ad oggetti, edifici o corpi, ma si tratta solo di proiezioni dello spettatore su delle forme che interpreta come familiari, anche se in realtà si tratta di pure astrazioni. L'artista attiva, perciò, uno scambio continuo tra forme e forme di vita, tra percezione prospettica e bidimensionalità, tra l’oggetto tangibile che l'opera è e la nozione di illusione pittorica che il pubblico vi proietta sopra. Così nell'osservatore si attiva un “vedere” in conformità a un'interpretazione che è espressione dell'esperienza dello spazio-tempo in cui l'opera esiste. In termini wittgensteiniani si tratta di un “vedere-come” (sehen als), un'esperienza del “cogliere aspetti” in cui «il balenare improvviso dell'aspetto ci appare metà come un'esperienza vissuta del vedere, metà come un pensiero» (Ludwig Wittgenstein, Ricerche filosofiche, parte seconda, paragrafo XI).
Shaw-Town finisce così per costituire una nuova dimensione sensibile del linguaggio artistico, in cui la riflessione sulla dimensione temporale dell'esperienza visiva/interpretativa ingloba la spazialità dell'opera, in un connubio percettivo nato sulla soglia immateriale del presente.
Simone Zacchini
Dan Shaw-Town (Huddersfield, UK, 1983) vive e lavora a New York. Si è laureato in Fine Art presso la London Metropolitan University e ha conseguito un MFA in Fine Art presso il Goldsmiths College, University of London. Oltre che da 1/9unosunove, ha realizzato mostre personali anche da MaisterraValbuena (Madrid) e Room East (New York). Il suo lavoro è stato presentato in importanti fiere come NY Art Book Fair, LISTE Basel, Nada New York e Este Arte (Uruguay). Tra le sue mostre collettive si ricordano: Word Dance, Denver Museum of Art, Denver (2017); Where Were You, Lisson Gallery Londra (2014); Jump Cut, Marianne Boesky Gallery, New York (2013); Le Ragioni della Pittura, Fondazione Malvina Menegaz, Castelbasso (2013); Song of Myself, 1/9unosunove, Roma (2013); Graphite, Indianapolis Museum of Art, Indianapolis (2012).
Opening: 9-10 aprile 2021 ore 11-19 (prenotazione consigliata)
L'accesso alla mostra è limitato a 15 persone alla volta
Mario Ruggenini e Luigi Perissinotto, Tempo, evento e linguaggio
A distanza di dieci anni dalla sua prima mostra a Roma, Dan Shaw-Town (Huddersfield, UK, 1983) torna da 1/9unosunove per la sua terza personale, presentando in anteprima una serie di opere su tela che sanciscono l’inizio di una nuova fase di ricerca per l’artista inglese che dal 2008 vive e lavora a New York.
Stabilitosi dapprima a Brooklyn, Shaw-Town si è da poco trasferito a Long Island, seguendo l'esempio storico di artisti come Jackson Pollock e Lee Krasner. L'allontanamento dalla città ha influito sulla realizzazione di questi lavori inediti, in cui, dopo molte sperimentazioni su carta e alluminio, per la prima volta nella sua carriera, Shaw-Town lavora su tela. La scelta di questo materiale, molto più malleabile dei precedenti, gli permette di riavvicinarsi alla pittura, anche se l'artista non si è mai definito un pittore nel senso classico del termine. I principali riferimenti che si possono ritrovare nella sua ricerca sono, infatti, tutti legati a un'idea materico-scultorea (Antoni Tàpies, Alberto Burri, Eva Hesse, J.B. Blunk, Peter Voulkos), se non addirittura ambientale (Richard Serra, Jannis Kounellis), del fare artistico, a cui si aggiungono diversi richiami al post-concettuale (Christopher Wool, Bruce Conner).
Se la scelta della tela è una novità, alla base di questa nuova produzione troviamo sempre il disegno, elemento caratteristico di tutta la ricerca artistica di Shaw-Town fin dalle sue prime opere, in cui la manualità dell'esecuzione si trasformava in un fitto intreccio geometrico che marcava la superficie fino a renderla consunta da spessi strati di grafite. Ma, nei lavori esposti in mostra, l'atto del disegnare si fa poco invasivo, riducendosi a un insieme di tracce grafiche minime, che invadono la tela in maniera non schematica. Da questa prima marcatura molto intuitiva e fluida si sviluppa poi un susseguirsi di azioni “pittoriche” che – con l'uso di pastelli a olio, colori acrilici e grasso – trasforma l'insieme dei segni di base, senza alcuna apparente progettualità formale. In realtà, tutte queste tracce sono legate in uno stringente nesso causa-effetto: ogni azione prende ispirazione da quella precedente, attivando un scambio reciproco tra il “farsi” dell'atto artistico (making/doing) e il suo “accadere” (happening).
L’idea della realizzazione non è qualcosa che guida l’artista a priori, o ne traduce l’operato a posteriori, ma prende forma nel momento stesso del suo farsi segno. In questo modo l'atto della creazione artistica si assimila all'atto linguistico del suo stesso esistere.
L'artista si sintonizza con questa idea e prova a portar ordine nel farsi evento di questo insieme di segni, inserendolo in una riflessione linguistica più ampia. Quella di Shaw-Town è un'azione che ingloba l'accadimento, accettandolo come parte integrante del processo creativo con tutta la temporalità sfuggente del suo hic et nunc. La percezione fuggevole del tempo si fa segno, e l'insieme dei segni diventa un linguaggio che ci espone a quel fluire del presente che è la condizione stessa della temporalità, da cui nasce ogni possibile comprensione del mondo.
Dal punto di vista pratico questa riflessione si traduce in una “stratificazione” di disegno e pittura che delinea un'attitudine accumulativa, sia a livello visivo che concettuale: nulla è nascosto, i cambiamenti sono messi a nudo, un segno è coperto da un altro, ma mai cancellato. In questa maniera l'opera si trasforma in un'esemplificazione del processo generativo insito in ogni segno linguistico e, di conseguenza, in ogni scelta dell'artista che si fa portavoce di quel linguaggio, riproponendolo al mondo.
Quindi, l'accadimento estetico configurato dall'opera non s'interrompe con la sua conclusione manuale. L'opera non costituisce un medium autonomo, ma si fa strumento di un’attiva interrogazione interpretativa della dimensione temporale del suo accadere, che prosegue con il suo mettersi in mostra, coinvolgendo lo spettatore. Ogni singola opera dialoga con le altre in un continuo rimando di interpretazioni possibili: cinque tele, tutte della stessa dimensione (184 x 123 cm), sono montate su pannelli metallici e poi incorniciate con un sottile strato d’acciaio; un'altra tela più grande (244 x 213 cm) è, invece, allestita liberamente, senza alcun tipo di telaio, fornendo una decisiva tensione a tutto lo spazio espositivo.
A livello percettivo, l’insieme dei segni di Shaw-Town potrebbe rimandare ad oggetti, edifici o corpi, ma si tratta solo di proiezioni dello spettatore su delle forme che interpreta come familiari, anche se in realtà si tratta di pure astrazioni. L'artista attiva, perciò, uno scambio continuo tra forme e forme di vita, tra percezione prospettica e bidimensionalità, tra l’oggetto tangibile che l'opera è e la nozione di illusione pittorica che il pubblico vi proietta sopra. Così nell'osservatore si attiva un “vedere” in conformità a un'interpretazione che è espressione dell'esperienza dello spazio-tempo in cui l'opera esiste. In termini wittgensteiniani si tratta di un “vedere-come” (sehen als), un'esperienza del “cogliere aspetti” in cui «il balenare improvviso dell'aspetto ci appare metà come un'esperienza vissuta del vedere, metà come un pensiero» (Ludwig Wittgenstein, Ricerche filosofiche, parte seconda, paragrafo XI).
Shaw-Town finisce così per costituire una nuova dimensione sensibile del linguaggio artistico, in cui la riflessione sulla dimensione temporale dell'esperienza visiva/interpretativa ingloba la spazialità dell'opera, in un connubio percettivo nato sulla soglia immateriale del presente.
Simone Zacchini
Dan Shaw-Town (Huddersfield, UK, 1983) vive e lavora a New York. Si è laureato in Fine Art presso la London Metropolitan University e ha conseguito un MFA in Fine Art presso il Goldsmiths College, University of London. Oltre che da 1/9unosunove, ha realizzato mostre personali anche da MaisterraValbuena (Madrid) e Room East (New York). Il suo lavoro è stato presentato in importanti fiere come NY Art Book Fair, LISTE Basel, Nada New York e Este Arte (Uruguay). Tra le sue mostre collettive si ricordano: Word Dance, Denver Museum of Art, Denver (2017); Where Were You, Lisson Gallery Londra (2014); Jump Cut, Marianne Boesky Gallery, New York (2013); Le Ragioni della Pittura, Fondazione Malvina Menegaz, Castelbasso (2013); Song of Myself, 1/9unosunove, Roma (2013); Graphite, Indianapolis Museum of Art, Indianapolis (2012).
Opening: 9-10 aprile 2021 ore 11-19 (prenotazione consigliata)
L'accesso alla mostra è limitato a 15 persone alla volta
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