FARE UNO dalla Parola al Segno un dialogo possibile5
Dal 29 Marzo 2023 al 15 Luglio 2023
Roma
Luogo: Galleria Erica Ravenna
Indirizzo: Via della Reginella 3
Orari: 0.30 – 13.30; 15.30 – 19.30; sabato mattina aperto dalle 10.30 alle 13.30; sabato pomeriggio e domenica su appuntamento
Telefono per informazioni: +39 06 3219968
Sito ufficiale: http://ericaravenna.com
La Galleria Erica Ravenna dal 29 marzo al 15 luglio 2023 presenta una
collettiva dal titolo “FARE UNO dalla Parola al Segno un dialogo
possibile”, una selezione di opere di Carla Accardi, Tomaso Binga,
Mirella Bentivoglio, Simona Weller, Vincenzo Agnetti, Alighiero Boetti,
Jannis Kounellis e Gino Marotta, proseguendo così, a pochi mesi dalla
personale di Tomaso Binga “Scrivo di proprio pugno” (settembre –
dicembre 2022), il suo programma espositivo con una riflessione sugli
intrecci tra linguaggio e immagine e sulle poetiche che hanno accomunato
una linea di ricerca dell’arte contemporanea, nata dalle prime
avanguardie del Novecento e sviluppatasi fino ai giorni nostri.
La mostra, che vedrà in catalogo testi di Benedetta Carpi De Resmini e
Ludovico Pratesi, sarà inaugurata mercoledì 29 marzo 2023 alle ore
18.00.
Nella mostra “FARE UNO dalla Parola al Segno un dialogo possibile”, una
selezione di opere di artisti che hanno attraversato la seconda metà del
Novecento da Carla Accardi a Tomaso Binga, da Mirella Bentivoglio e
Simona Weller a Vincenzo Agnetti, da Alighiero Boetti a Jannis Kounellis
e Gino Marotta, evidenzia un tipo di sentire comune nell’ambito della
ricerca artistica che ha caratterizzato gli anni ’60 e ’70 e allo stesso
tempo – in un momento storico di grande attenzione e riscoperta
dell’arte al femminile – pone la questione di un confronto tra le “due
metà dell’avanguardia”.
ll richiamo all’assunto lacaniano della “(im)possibilità di fare UNO”,
accompagna quindi tale riflessione attraverso un dialogo a più voci nel
quale protagonista è la PAROLA come fondamento dell’immagine “in cui
l’essere si riconoscerà e attraverso la quale riconoscerà gli altri”.
NOTE BIOGRAFICHE DEGLI ARTISTI
Carla Accardi (Trapani 1924 - Roma 2014), inizia la sua carriera a Roma,
dove conosce gli artisti con i quali darà vita al Gruppo Forma,
movimento programmatico dell'arte astratta in Italia. Nel corso degli
anni Cinquanta sviluppa una personalissima elaborazione del tema del
segno, in sintonia con gli esiti dell'Informale europeo. Tra gli anni
Sessanta e Settanta il suo stile si orienterà verso un linguaggio
fondato sul rapporto tra segno e colore, sperimentando una grande
varietà di soluzioni espressive: dalla pittura su plastiche trasparenti
agli interessi nei legami tra opera e ambiente, fino ai laminati e
sicofoil dipinti su tele grezze. Tra il 1969 e il 1971 crea il suo
capolavoro Triplice Tenda, dove il rapporto tra l'opera d'arte e il suo
ambiente raggiunge un traguardo significativo, allestendo una struttura
abitabile che l'osservatore stesso poteva percorrere. Dagli anni '80
fino alla sua morte, la sua ricerca artistica si è orientata verso la
sperimentazione su tele ruvide, con intrecci di segni colorati. Ha
esposto in numerose occasioni alla Biennale di Venezia e in altre
rilevanti rassegne italiane e internazionali. Le sue opere sono inoltre
presenti in importanti collezioni museali, tra cui la Galleria Nazionale
d’Arte Moderna di Roma, il Castello di Rivoli, le Gallerie Civiche di
Modena e Bologna, il Palazzo Reale di Milano e il Museo Civico di
Torino.
Vincenzo Agnetti (Milano 1926 – 1981), artista, scrittore, poeta,
protagonista dell’Arte Concettuale italiana. Diplomato all’Accademia di
Brera, esordisce verso la fine anni ’50 affiancando alla pittura in
ambito informale l’attività di critico, saggista e teorico. Nel 1957
collabora ad “Azimuth” e alla rivista omonima. Dal 1960 radicalizza
l’ambito concettuale della sua operazione, allontanandosi dalla pittura
e identificando l’arte con l’assenza e con una pratica analitica
radicale, volta alla pura disamina di concetti. Nel 1967 avrà la sua
prima personale al Palazzo dei Diamanti di Ferrara, dove espone
Principia, opera imperniata sulla relatività dei significati nel
linguaggio. L’anno successivo presenterà la celebre Macchina Drogata,
una calcolatrice Divisumma 14 Olivetti i cui numeri erano sostituiti da
lettere dell’alfabeto, di modo che le parole divenissero frutto di
operazioni matematiche. Il suo lavoro di analisi dell’oggetto in
rapporto alla sua immagine fisica e mentale, così come il suo operato
sui linguaggi della comunicazione, saranno, anche in anni successivi, di
fondamentale importanza. Ha partecipato a importanti rassegne, tra cui
“Vitalità del negativo” (1970) numerose edizioni della Biennale di
Venezia, Documenta 5, (1972), la Quadriennale di Roma (1972), la
Biennale di S. Paolo (1973) e la mostra retrospettiva al Mart di
Rovereto (2008).
Mirella Bentivoglio (Klagenfurt 1922 - Roma 2017), artista, poetessa e
performer italiana, il suo operato si è contraddistinto nell'ambito
delle poetiche verbo-visuali e nell’interesse per l’uso congiunto del
linguaggio verbale e dell’immagine. Bentivoglio approderà negli anni
Sessanta a una particolare forma di poesia-oggetto, seguita da diverse
declinazioni relative alla poesia-azione e a un originale lavoro sui
libri-oggetto. Da menzionare inoltre il decisivo ruolo come curatrice e
animatrice culturale nell’ambito della ricerca artistica contemporanea,
che ha portato a mostre memorabili quali “Materializzazione del
linguaggio”, rassegna tutta al femminile da lei curata nell’ambito della
38° Biennale di Venezia (1978) di cui un richiamo è stato riproposto
all’interno del progetto curato da Cecilia Alemani per l’ultima edizione
della Biennale. È stata inoltre insignita di numerosi premi per la sua
attività poetica, artistica, di critica e organizzatrice. Ha partecipato
a mostre di rilevanza italiana e internazionale nell’ambito delle
ricerche sulla poesia verbo-visuale e recentemente la mostra
“Ri-materializzazione del linguaggio” (2022), presso la Fondazione
Antonio Dalle Nogare di Bolzano, ha sottolineato il ruolo essenziale
dell’artista negli sviluppi che intrecciano arte e semiosi.
Tomaso Binga (Salerno 1931), nome d’arte di Bianca Pucciarelli Menna,
artista, poetessa e performer, vive e lavora a Roma. Nel 1971 Binga
inizia una sperimentazione artistica e poetica incentrata sulla
scrittura verbo-visuale. Nella prima fase della sua carriera lavora con
la scrittura “desemantizzata”, un segno grafico apparentemente
disfunzionale e non comunicativo, presentando la prima mostra nel 1974
presso la Galleria L’Obelisco di Roma. Nel 1974 inizia le sue azioni
performative: la prima è Parole da distruggere, parole da conservare.
Gli anni successivi saranno ricchi di attività culturali e mostre
significative: nel 1976 completerà una serie di opere che rimarranno un
caposaldo della sua ricerca artistica, come la sua "Scrittura Vivente":
lettere dell'alfabeto formate con il proprio corpo femminile e in
particolare le sue famose carte da parati. In quell’anno è invitata a
partecipare alla mostra organizzata da Mirella Bentivoglio dal titolo
“Tra linguaggio e immagine” seguita da “Materializzazione del
linguaggio” (1978). Prosegue la sua attività partecipando a numerose
mostre e iniziative culturali, tra cui la XVI Biennale di San Paolo,
Brasile (1981) XI Quadriennale di Roma (1986), Fondazione Prada (2017),
Frigoriferi milanesi (2019), Museion, Bolzano (2019), Centre d’Art
Contemporain, Ginevra (2020). Da ultimo l’edizione della Biennale di
Venezia del 2022. Le sue opere sono inoltre presenti in collezioni
museali italiane ed estere.
Alighiero Boetti (Torino 1940 – Roma 1994) esordisce nel 1967 a Torino
nell’ambito dell’Arte Povera. Inizia la realizzazione di dipinti e
disegni astratti sin dagli anni ‘60. Successivamente sperimenta
materiali come la masonite, il plexiglas ed elementi luminosi. La prima
mostra personale risale al 1967 presso la Galleria Christian Stein, a
Torino. All’inizio degli anni ’70 avvia in Afghanistan, un progetto che
realizzano ricamatrici locali: orditi di lettere e parole o mappe in cui
è raffigurato il planisfero del mondo, con le singole nazioni tessute
con i colori delle rispettive bandiere. Sempre in quel periodo,
precisamente nel 1972, le sue opere prendono una svolta concettuale:
l’artista cambia nome in “Alighiero e Boetti”, mettendo in crisi la sua
identità con il concetto di doppio. Nel 1985 ritorna in Giappone, dove
ha esposto nel 1980, e proprio qui produce alcune opere reimpiegando le
calligrafie giapponesi. Sarà più volte presente in rassegne come
Documenta di Kassel e la Biennale di Venezia, così come in mostre
collettive quali “When attitudes become form” (1969), “Contemporanea”
(1973), “Identité italienne” (1981) e “The italian metamorphosis
1943-1968” (1994). Le sue opere sono conservate in importanti musei
italiani ed esteri e sue mostre personali sono state di recente
allestite in sedi quali il MoMa di New York, la Tate di Londra, il MAXXI
di Roma e il Reina Sofia di Madrid.
Jannis Kounellis (Atene, 1939 – Roma, 2017), pittore e scultore greco
naturalizzato italiano, si trasferisce a Roma nel 1956, dove s’iscrive
all’Accademia di Belle Arti. Nel 1960 Kounellis esordisce con una
mostra personale presso la Galleria La Tartaruga di Roma intitolata
“L’alfabeto di Kounellis”, dove espone per la prima volta la serie dei
Segnali. Dal 1963 Kounellis abbandona definitivamente la
rappresentazione artistica tradizionale e inizia ad impiegare materiali
quali sacchi di juta, lana, oro, terra, fuoco - e in alcuni casi piante
e animali vivi. Rimpiazza la tela con reti di letto, porte, finestre o
semplicemente con lo spazio della galleria stessa. La pittura, la
scultura, le installazioni e le performance di Kounellis invitano così a
una nuova fruizione dell’opera, in grado di coinvolgere totalmente lo
spettatore. Nel 1969 dispone dodici cavalli vivi nella sala della
Galleria L’Attico, a testimonianza del rapporto tra lo spazio dell’arte
e quello naturale. L’artista è stato associato fin dagli esordi all’Arte
Povera e non a caso nel 1967 partecipa alla mostra seminale “Arte
Povera” presso la Galleria La Bertesca di Genova, curata da Germano
Celant. Nel 1972 è invitato per la prima volta alla Biennale di
Venezia, cui seguono altre partecipazioni nel: 1974, 1976, 1978, 1980,
1982, 1984, 1988, 1993, 2011 e nel 2015. E’ presente in alcune tra le
mostre storiche fondative del secondo dopoguerra, e di recente nelle
personali alla Fondazione Prada (2019) e al Walker Art Center di
Minneapolis (2022).
Gino Marotta (Campobasso, 1935 – Roma, 2012), pittore e scultore
italiano, dopo un primo periodo di originale superamento dell’Informale,
all’inizio degli anni ’60 avvia una ricerca sulla sintesi dinamica tra
figurazione, linguaggio e codici; successivamente mostra un’attenzione
sempre più marcata per i nuovi materiali chimici/industriali e, nello
specifico, per il metacrilato. L’artista usa in maniera poetica questo
materiale ipertecnologico, ricavandone universi lirici popolati di
alberi e animali, di fulmini e cieli stellati, come nella celebre
installazione Bosco naturale-artificiale presentata a Foligno nel 1967.
Negli anni ’80 Gino Marotta ritorna all’utilizzo di materiali e tecniche
più “tradizionali”, tra cui la pittura. L’artista ha partecipato e
progettato attivamente alcune delle mostre più celebri nel panorama
della neo-avanguardia italiana, tra cui “Lo Spazio dell'Immagine”
(1967), “Amore Mio” (1970) e “Vitalità del Negativo” (1970). Inoltre,
nel 1968 è presente in mostre quali il “Teatro delle Mostre” presso la
Galleria La Tartaruga, “Arte Povera+Azioni povere”, a cura di Germano
Celant e in altre rilevanti sedi quali La Biennale di Venezia, il MoMA,
il Museum of Contemporary Art di Chicago e, da ultimo, la personale
presso La Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma (2012).
Simona Weller (Roma 1940), è nata a Roma nel 1940 e vive e lavora tra
Roma e il borgo medievale di Calcata (VT). Diplomata all’Accademia di
Roma, dopo lunghi soggiorni di studio in Oriente (da Bangkok al Cairo),
nel 1973 s’impone all’attenzione della critica alla X Quadriennale di
Roma con grandi tele astratte, dove la pittura si mescola a lettere e
scrittura. Dipingere con le parole è l'elemento ricorrente del lavoro di
Weller. Le parole sono scelte per la loro concisione e per la loro
particolare struttura. Da sempre affianca alla sua attività di pittrice
(e poi anche ceramista) un percorso di ricerca e ricostruzione storica
sulla presenza delle donne nell’arte. Ha partecipato a numerose mostre
in Italia e all’estero, tra cui la Biennale di Venezia del 1978, la
Biennale di San Paolo del Brasile e da ultimo, nel 2022, la mostra
“Ri-materializzazione del linguaggio” presso la Fondazione Antonio Dalle
Nogare di Bolzano.
In occasione della presentazione del catalogo, nel mese di maggio, si
svolgerà un Talking in Galleria.
collettiva dal titolo “FARE UNO dalla Parola al Segno un dialogo
possibile”, una selezione di opere di Carla Accardi, Tomaso Binga,
Mirella Bentivoglio, Simona Weller, Vincenzo Agnetti, Alighiero Boetti,
Jannis Kounellis e Gino Marotta, proseguendo così, a pochi mesi dalla
personale di Tomaso Binga “Scrivo di proprio pugno” (settembre –
dicembre 2022), il suo programma espositivo con una riflessione sugli
intrecci tra linguaggio e immagine e sulle poetiche che hanno accomunato
una linea di ricerca dell’arte contemporanea, nata dalle prime
avanguardie del Novecento e sviluppatasi fino ai giorni nostri.
La mostra, che vedrà in catalogo testi di Benedetta Carpi De Resmini e
Ludovico Pratesi, sarà inaugurata mercoledì 29 marzo 2023 alle ore
18.00.
Nella mostra “FARE UNO dalla Parola al Segno un dialogo possibile”, una
selezione di opere di artisti che hanno attraversato la seconda metà del
Novecento da Carla Accardi a Tomaso Binga, da Mirella Bentivoglio e
Simona Weller a Vincenzo Agnetti, da Alighiero Boetti a Jannis Kounellis
e Gino Marotta, evidenzia un tipo di sentire comune nell’ambito della
ricerca artistica che ha caratterizzato gli anni ’60 e ’70 e allo stesso
tempo – in un momento storico di grande attenzione e riscoperta
dell’arte al femminile – pone la questione di un confronto tra le “due
metà dell’avanguardia”.
ll richiamo all’assunto lacaniano della “(im)possibilità di fare UNO”,
accompagna quindi tale riflessione attraverso un dialogo a più voci nel
quale protagonista è la PAROLA come fondamento dell’immagine “in cui
l’essere si riconoscerà e attraverso la quale riconoscerà gli altri”.
NOTE BIOGRAFICHE DEGLI ARTISTI
Carla Accardi (Trapani 1924 - Roma 2014), inizia la sua carriera a Roma,
dove conosce gli artisti con i quali darà vita al Gruppo Forma,
movimento programmatico dell'arte astratta in Italia. Nel corso degli
anni Cinquanta sviluppa una personalissima elaborazione del tema del
segno, in sintonia con gli esiti dell'Informale europeo. Tra gli anni
Sessanta e Settanta il suo stile si orienterà verso un linguaggio
fondato sul rapporto tra segno e colore, sperimentando una grande
varietà di soluzioni espressive: dalla pittura su plastiche trasparenti
agli interessi nei legami tra opera e ambiente, fino ai laminati e
sicofoil dipinti su tele grezze. Tra il 1969 e il 1971 crea il suo
capolavoro Triplice Tenda, dove il rapporto tra l'opera d'arte e il suo
ambiente raggiunge un traguardo significativo, allestendo una struttura
abitabile che l'osservatore stesso poteva percorrere. Dagli anni '80
fino alla sua morte, la sua ricerca artistica si è orientata verso la
sperimentazione su tele ruvide, con intrecci di segni colorati. Ha
esposto in numerose occasioni alla Biennale di Venezia e in altre
rilevanti rassegne italiane e internazionali. Le sue opere sono inoltre
presenti in importanti collezioni museali, tra cui la Galleria Nazionale
d’Arte Moderna di Roma, il Castello di Rivoli, le Gallerie Civiche di
Modena e Bologna, il Palazzo Reale di Milano e il Museo Civico di
Torino.
Vincenzo Agnetti (Milano 1926 – 1981), artista, scrittore, poeta,
protagonista dell’Arte Concettuale italiana. Diplomato all’Accademia di
Brera, esordisce verso la fine anni ’50 affiancando alla pittura in
ambito informale l’attività di critico, saggista e teorico. Nel 1957
collabora ad “Azimuth” e alla rivista omonima. Dal 1960 radicalizza
l’ambito concettuale della sua operazione, allontanandosi dalla pittura
e identificando l’arte con l’assenza e con una pratica analitica
radicale, volta alla pura disamina di concetti. Nel 1967 avrà la sua
prima personale al Palazzo dei Diamanti di Ferrara, dove espone
Principia, opera imperniata sulla relatività dei significati nel
linguaggio. L’anno successivo presenterà la celebre Macchina Drogata,
una calcolatrice Divisumma 14 Olivetti i cui numeri erano sostituiti da
lettere dell’alfabeto, di modo che le parole divenissero frutto di
operazioni matematiche. Il suo lavoro di analisi dell’oggetto in
rapporto alla sua immagine fisica e mentale, così come il suo operato
sui linguaggi della comunicazione, saranno, anche in anni successivi, di
fondamentale importanza. Ha partecipato a importanti rassegne, tra cui
“Vitalità del negativo” (1970) numerose edizioni della Biennale di
Venezia, Documenta 5, (1972), la Quadriennale di Roma (1972), la
Biennale di S. Paolo (1973) e la mostra retrospettiva al Mart di
Rovereto (2008).
Mirella Bentivoglio (Klagenfurt 1922 - Roma 2017), artista, poetessa e
performer italiana, il suo operato si è contraddistinto nell'ambito
delle poetiche verbo-visuali e nell’interesse per l’uso congiunto del
linguaggio verbale e dell’immagine. Bentivoglio approderà negli anni
Sessanta a una particolare forma di poesia-oggetto, seguita da diverse
declinazioni relative alla poesia-azione e a un originale lavoro sui
libri-oggetto. Da menzionare inoltre il decisivo ruolo come curatrice e
animatrice culturale nell’ambito della ricerca artistica contemporanea,
che ha portato a mostre memorabili quali “Materializzazione del
linguaggio”, rassegna tutta al femminile da lei curata nell’ambito della
38° Biennale di Venezia (1978) di cui un richiamo è stato riproposto
all’interno del progetto curato da Cecilia Alemani per l’ultima edizione
della Biennale. È stata inoltre insignita di numerosi premi per la sua
attività poetica, artistica, di critica e organizzatrice. Ha partecipato
a mostre di rilevanza italiana e internazionale nell’ambito delle
ricerche sulla poesia verbo-visuale e recentemente la mostra
“Ri-materializzazione del linguaggio” (2022), presso la Fondazione
Antonio Dalle Nogare di Bolzano, ha sottolineato il ruolo essenziale
dell’artista negli sviluppi che intrecciano arte e semiosi.
Tomaso Binga (Salerno 1931), nome d’arte di Bianca Pucciarelli Menna,
artista, poetessa e performer, vive e lavora a Roma. Nel 1971 Binga
inizia una sperimentazione artistica e poetica incentrata sulla
scrittura verbo-visuale. Nella prima fase della sua carriera lavora con
la scrittura “desemantizzata”, un segno grafico apparentemente
disfunzionale e non comunicativo, presentando la prima mostra nel 1974
presso la Galleria L’Obelisco di Roma. Nel 1974 inizia le sue azioni
performative: la prima è Parole da distruggere, parole da conservare.
Gli anni successivi saranno ricchi di attività culturali e mostre
significative: nel 1976 completerà una serie di opere che rimarranno un
caposaldo della sua ricerca artistica, come la sua "Scrittura Vivente":
lettere dell'alfabeto formate con il proprio corpo femminile e in
particolare le sue famose carte da parati. In quell’anno è invitata a
partecipare alla mostra organizzata da Mirella Bentivoglio dal titolo
“Tra linguaggio e immagine” seguita da “Materializzazione del
linguaggio” (1978). Prosegue la sua attività partecipando a numerose
mostre e iniziative culturali, tra cui la XVI Biennale di San Paolo,
Brasile (1981) XI Quadriennale di Roma (1986), Fondazione Prada (2017),
Frigoriferi milanesi (2019), Museion, Bolzano (2019), Centre d’Art
Contemporain, Ginevra (2020). Da ultimo l’edizione della Biennale di
Venezia del 2022. Le sue opere sono inoltre presenti in collezioni
museali italiane ed estere.
Alighiero Boetti (Torino 1940 – Roma 1994) esordisce nel 1967 a Torino
nell’ambito dell’Arte Povera. Inizia la realizzazione di dipinti e
disegni astratti sin dagli anni ‘60. Successivamente sperimenta
materiali come la masonite, il plexiglas ed elementi luminosi. La prima
mostra personale risale al 1967 presso la Galleria Christian Stein, a
Torino. All’inizio degli anni ’70 avvia in Afghanistan, un progetto che
realizzano ricamatrici locali: orditi di lettere e parole o mappe in cui
è raffigurato il planisfero del mondo, con le singole nazioni tessute
con i colori delle rispettive bandiere. Sempre in quel periodo,
precisamente nel 1972, le sue opere prendono una svolta concettuale:
l’artista cambia nome in “Alighiero e Boetti”, mettendo in crisi la sua
identità con il concetto di doppio. Nel 1985 ritorna in Giappone, dove
ha esposto nel 1980, e proprio qui produce alcune opere reimpiegando le
calligrafie giapponesi. Sarà più volte presente in rassegne come
Documenta di Kassel e la Biennale di Venezia, così come in mostre
collettive quali “When attitudes become form” (1969), “Contemporanea”
(1973), “Identité italienne” (1981) e “The italian metamorphosis
1943-1968” (1994). Le sue opere sono conservate in importanti musei
italiani ed esteri e sue mostre personali sono state di recente
allestite in sedi quali il MoMa di New York, la Tate di Londra, il MAXXI
di Roma e il Reina Sofia di Madrid.
Jannis Kounellis (Atene, 1939 – Roma, 2017), pittore e scultore greco
naturalizzato italiano, si trasferisce a Roma nel 1956, dove s’iscrive
all’Accademia di Belle Arti. Nel 1960 Kounellis esordisce con una
mostra personale presso la Galleria La Tartaruga di Roma intitolata
“L’alfabeto di Kounellis”, dove espone per la prima volta la serie dei
Segnali. Dal 1963 Kounellis abbandona definitivamente la
rappresentazione artistica tradizionale e inizia ad impiegare materiali
quali sacchi di juta, lana, oro, terra, fuoco - e in alcuni casi piante
e animali vivi. Rimpiazza la tela con reti di letto, porte, finestre o
semplicemente con lo spazio della galleria stessa. La pittura, la
scultura, le installazioni e le performance di Kounellis invitano così a
una nuova fruizione dell’opera, in grado di coinvolgere totalmente lo
spettatore. Nel 1969 dispone dodici cavalli vivi nella sala della
Galleria L’Attico, a testimonianza del rapporto tra lo spazio dell’arte
e quello naturale. L’artista è stato associato fin dagli esordi all’Arte
Povera e non a caso nel 1967 partecipa alla mostra seminale “Arte
Povera” presso la Galleria La Bertesca di Genova, curata da Germano
Celant. Nel 1972 è invitato per la prima volta alla Biennale di
Venezia, cui seguono altre partecipazioni nel: 1974, 1976, 1978, 1980,
1982, 1984, 1988, 1993, 2011 e nel 2015. E’ presente in alcune tra le
mostre storiche fondative del secondo dopoguerra, e di recente nelle
personali alla Fondazione Prada (2019) e al Walker Art Center di
Minneapolis (2022).
Gino Marotta (Campobasso, 1935 – Roma, 2012), pittore e scultore
italiano, dopo un primo periodo di originale superamento dell’Informale,
all’inizio degli anni ’60 avvia una ricerca sulla sintesi dinamica tra
figurazione, linguaggio e codici; successivamente mostra un’attenzione
sempre più marcata per i nuovi materiali chimici/industriali e, nello
specifico, per il metacrilato. L’artista usa in maniera poetica questo
materiale ipertecnologico, ricavandone universi lirici popolati di
alberi e animali, di fulmini e cieli stellati, come nella celebre
installazione Bosco naturale-artificiale presentata a Foligno nel 1967.
Negli anni ’80 Gino Marotta ritorna all’utilizzo di materiali e tecniche
più “tradizionali”, tra cui la pittura. L’artista ha partecipato e
progettato attivamente alcune delle mostre più celebri nel panorama
della neo-avanguardia italiana, tra cui “Lo Spazio dell'Immagine”
(1967), “Amore Mio” (1970) e “Vitalità del Negativo” (1970). Inoltre,
nel 1968 è presente in mostre quali il “Teatro delle Mostre” presso la
Galleria La Tartaruga, “Arte Povera+Azioni povere”, a cura di Germano
Celant e in altre rilevanti sedi quali La Biennale di Venezia, il MoMA,
il Museum of Contemporary Art di Chicago e, da ultimo, la personale
presso La Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma (2012).
Simona Weller (Roma 1940), è nata a Roma nel 1940 e vive e lavora tra
Roma e il borgo medievale di Calcata (VT). Diplomata all’Accademia di
Roma, dopo lunghi soggiorni di studio in Oriente (da Bangkok al Cairo),
nel 1973 s’impone all’attenzione della critica alla X Quadriennale di
Roma con grandi tele astratte, dove la pittura si mescola a lettere e
scrittura. Dipingere con le parole è l'elemento ricorrente del lavoro di
Weller. Le parole sono scelte per la loro concisione e per la loro
particolare struttura. Da sempre affianca alla sua attività di pittrice
(e poi anche ceramista) un percorso di ricerca e ricostruzione storica
sulla presenza delle donne nell’arte. Ha partecipato a numerose mostre
in Italia e all’estero, tra cui la Biennale di Venezia del 1978, la
Biennale di San Paolo del Brasile e da ultimo, nel 2022, la mostra
“Ri-materializzazione del linguaggio” presso la Fondazione Antonio Dalle
Nogare di Bolzano.
In occasione della presentazione del catalogo, nel mese di maggio, si
svolgerà un Talking in Galleria.
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