Il Bianco e il Nero. Dipinti e sculture “armonici” di Emilia Isabella

Il Bianco e il Nero. Dipinti e sculture “armonici” di Emilia Isabella, Raccolta Manzù, Ardea (RM)
Dal 10 Ottobre 2014 al 02 Novembre 2014
Ardea | Roma
Luogo: Raccolta Manzù / GNAM
Indirizzo: via Laurentina km 32
Orari: da martedì a sabato e la prima domenica del mese ore 10,30-18,30; chiuso lunedì mattina
Curatori: Fabio D'Achille
Enti promotori:
- MAD Museo d'Arte Diffusa
Costo del biglietto: ingresso gratuito
Telefono per informazioni: +39 393 3242424
E-Mail info: eventi@madarte.it
Sito ufficiale: http://www.madarte.it
La visita alla casa-studio di Emilia Isabella, nel verde di un’oasi situata nel cuore della pianura pontina, tra il mare e le propaggini delle alture di Sermoneta, è un’esperienza coinvolgente. La sua produzione scultorea sparsa dentro e fuori il casale agricolo di “Fondazione” si amalgama con il verde cupo e lucente di una vegetazione tra mediterranea e pedemontana, mentre sprazzi di sole occhieggiano da ampie e inattese vetrate, in virtù delle quali i verdi e gli ori degli esterni addolciscono l’umbratile algore del marmo e della pietra nel dentro dello studio d’artista.Travertino poroso, pietra, e soprattutto marmo: marmo bianco candido, marmo grigio, marmo nero, compongono la tavolozza scultorea di Emilia Isabella, che però, più che scolpirli, o declinarne i trapassi cromatici, li “suona”.L’artista infatti, provenendo dal mondo della musica, tende a interpretare forme astratto-geometriche al modo del pentagramma, ora stirando all’inverosimile una forma già lunga, ora gradinando impercettibilmente la materia scultorea, che qui traduce i codici del contrappunto e della fuga nel linguaggio esoterico ed iniziatico della musica “vera”.E tuttavia, nel rigore e nel ritmo perseguito, l’astratto del marmo non risulta neoclassicamente freddo, anzi, al contrario, gode di connotazioni lievemente naturalistiche che ci attraggono a onta dell’impenetrabilità, per i non adepti, dei canoni d’interpretazione musicale, in un “crescendo” emozionale che sfocia a sorpresa nel pathos di quelle “patate” in marmo bianco, a metà tra simbolismo ed espressionismo, che compongono il mazzo di teste rotolanti nel sacco, “burresco” nella francescana e sfrangiata povertà del tessuto, della composizione dedicata alla “Shoah”. Opera tragica, e, soprattutto, che non ti aspetteresti mai nel Parnaso di uno studio come questo, governato dalle leggi di Armonia.Come nelle favole, all’interno dello studio d’artista…”sorgeva un palazzo di cristallo”, alias, un capace cubo di vetro, a contenere, disposte in bell’ordine, una serie di tele, ovvero i quadri prodotti dall’artista nel 2001.Un aspetto molto interessante di Emilia Isabella è proprio questo grande ordine mentale, del tutto simile a quello che regna nel suo studio, e che le fa concepire, e organizzare, delle “serie” ben limitate e distinte tra loro. Serie scultoree, serie pittoriche . Quadri neri, che mostra per primi, intenzionalmente o forse no, e quadri bianchi, essenziali, che traducono letteralmente il logo del suo naturalismo astratto scultoreo, dolcemente curvilineo, in condensazioni bidimensionali ad infinitum.Curve nere e curve bianche, snodi primari, neri e bianchi, neri e bianchi opachi e stesi à platsulla tela, contrapposti a neri e bianchi granulosi e materici, come grezzi. La tecnica è quella della pittura ad olio e acrilico, e tale è il rigore- affascinante – della ricerca di quegli anni, che in un certo numero di casi vi sono delle coppie di tele, una bianca e una nera, dalla composizione identica, bellissime a considerarsi nella dialettica delle rispettive simmetrie. L’incanto faticosissimo, rigoroso e impalpabile della costruzione musicale, qui traslato dal mondo della scultura alla rappresentazione su tela, si nutre ancora della legge del contrappunto cromatico, che, trattandosi del contrasto bianco-nero, cromatico in realtà non è, essendo entrambi non-colori.Credo sia fondamentale, per comprendere il giusto senso di queste opere di Emilia Isabella, insistere sia sull’aspetto della reversibilità speculare delle composizioni da tutto bianco a tutto nero, sia sull’evidente e strettissima connessione che le stesse presentano con alcune sculture tondeggianti e curvilinee – o tutte bianche, o tutte nere – che, decontestualizzate dalla folla di loro simili che inonda il pavimento dello studio per finire innalzate su un piedistallo che le trasformi in fulcro di una sala pittorica monotematica, sembrano estrapolare immantinente dalle tele circostanti una forma volumetrica in 3D, tal’è la continuità tra pittura e scultura nel ciclo del 2001.Insistere su queste caratteristiche precipue e fondamentali, inoltre, dovrebbe porre l’opera di Emilia Isabella alquanto al riparo da facili e inevitabili critiche derivanti dall’apparente analogia con le serigrafie e i dipinti di Burri degli anni ottanta, da Sestante in poi, quando i neri erano neri, i bianchi bianchi, e i quadri del grande artista erano percorsi da infinite campiture ora grezze ora opache, divise dal fremito astrale di una sola, lunghissima, sottilissima linea. Ma Burri è sempre e comunque pittore, financo nel “pennello di fuoco” descritto da Cesare Brandi, mentre Emilia Isabella no. Lei resta “scultrice armonica”, fedele ad un proprio ordine mentale che è quello del bianco-nero, la fuga, il contrappunto, la rarefazione corposa e gentile del marmo, del non-colore, la gradinatura impercettibile, la curva, e, più in generale, la consapevolezza di una ricerca artistica lineare, chiara nei limiti come negli obiettivi.Da piccola, Emilia Isabella pur studiando musica frequentava assiduamente le gallerie romane, e caso volle che sviluppasse una frequentazione particolare con Corrado Cagli, al punto che molti li credevano padre e figlia. La critica ricorrente mossa da Emilia Isabella all’artista adulto e affermato era proprio la mancanza di coerenza, il volersi rivolgere contemporaneamente in più direzioni. Il suo percorso è, al contrario, univoco.
Marcella Cossu
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