Tecniche d’evasione. Strategie sovversive e derisione del potere nell'avanguardia ungherese degli anni '60 e '70

Sándor Pinczehelyi, Sickle and Hammer 3, 1973 | Ludwig Museum – Museum of Contemporary Art, Budapest

 

Dal 22 Dicembre 2020 al 26 Gennaio 2021

Roma

Luogo: Canali social sito Palazzo delle Esposizioni

Indirizzo: online

Sito ufficiale: http://www.palazzoesposizioni.it



#IPianiDelPalazzo, palinsesto digitale del Palazzo delle Esposizioni che si arricchisce ogni settimana di nuovi contenuti online accessibili a tutti, presenta il catalogo di Tecniche d’evasione. Strategie sovversive e derisione del potere nell'avanguardia ungherese degli anni '60 e '70, la mostra ospitata nei suoi spazi dal 4 ottobre 2019 al 6 gennaio 2020.

Il volume, scaricabile dal sito www.palazzoesposizioni.it, offre la possibilità di approfondire la conoscenza, attraverso immagini fotografiche e documenti rari e straordinari, delle leggendarie azioni di un gruppo d’artisti che hanno scritto un capitolo fondamentale della storia dell’arte contemporanea, con i loro tentativi coraggiosi, ironici, surreali e a volte disperati, di esprimersi e di disubbidire.

Curato da Giuseppe Garrera e Sebastiano Triulzi, già curatori della mostra insieme a József Készman e Viktória Popovics, il catalogo ripercorre e illustra l’esposizione dedicata agli artisti dell’avanguardia ungherese che si trovarono ad operare in condizioni di pericolo, strenuo controllo e censura sotto un regime totalitario comunista, fino a rischiare la loro stessa incolumità.

La pubblicazione è un’indagine sullo stato dell’arte sotto ogni Potere: ciascun capitolo fornisce un manuale di tecniche di evasione e dà la possibilità di vedere immagini, operazioni, tracce di performance accadute in clandestinità e sotto gli occhi delle autorità, con la sola urgenza vitale di compierle. In questo modo incontriamo e conosciamo, in alcuni casi per la prima volta in Italia, importantissimi artisti – quali Endre Tót, Judit Kele, Sándor Pinczehelyi, Bálint Szombathy, András Baranyay, Tibor Csiky, Katalin Ladik, László Lakner, Dóra Maurer, Gyula Gulyás, Ferenc Ficzek, Tamás St. Auby (Szentjóby), Gábor Bódy, Marcel Odembach, Gyula Pauer, Zsigmond Károlyi, Tibor Hajas, László Beke, István B. Gellér, György Kemény, Kálmán Szijártó, Gábor Attalai, Károly Halász, László Haris, Orsolya Drozdik -, la cui opera è stata salvata grazie alla dedizione e alla cura di musei e collezionisti. Un particolare ringraziamento va al lavoro del Ludwig Museum – Museum of Contemporary Art di Budapest che, attraverso la raccolta, il rintracciamento e la messa in salvo di documenti, foto e materiali clandestini ed effimeri, ha permesso la ricostruzione di questa storia esemplare, nonché all’Accademia d’Ungheria in Roma.

Le sezioni

Il catalogo procede attraverso sei momenti che esemplificano queste tecniche di evasione: si inizia con il ritratto che l’artista fa di sé come idiota, scimunito, folle (il potere è infatti disarmato di fronte al fanciullesco e al clownesco); o come malinconico, con la rappresentazione della propria sofferenza, della consapevolezza di doversi muovere al di fuori di tutte le istituzioni ufficiali (il potere considera la malinconia una malattia politica). In questa sezione ampio spazio è riservato alle rappresentazioni al femminile: artiste che in una società patriarcale e maschilista, già solo nel presentarsi al pubblico, scandalizzano, e sono accusate di indecenza.

La seconda sezione affronta i gradi di libertà, cioè quelle forme clandestine, fugaci, effimere di comunicare e testimoniare il proprio dissenso. La modalità più frequente è quella delle scritte sui muri o sulla neve, azioni solo testimoniate da una macchina fotografica e dalla conservazione gelosa del rullino.

Il terzo capitolo riguarda la mail art, una modalità in cui gli artisti riescono a comunicare con gli amici europei, in territori liberi, e ad attraversare confini e censure, semplicemente spedendo buste e cartoline, che risultano innocenti agli occhi dei censori.

Il quarto capitolo analizza le nevrosi del potere, attraverso scatti fotografici, resoconti visivi in cui si allude sempre, in quanto spia dolorosa, alla percezione della realtà come susseguirsi di divieti: binari morti, cippi, steccati, cartelli di minaccia e allarme: l’arredo segnaletico urbano diviene allegoria e allusione continua.

Nella quinta sezione, invito alla guerriglia, appaiono cumuli di sampietrini: quello che sembrerebbe un resoconto dei lavori di manutenzione, in realtà è una indicazione feroce di munizioni e di rivolta. L’ultima sezione è dedicata al disagio dell’arte: è il disagio per questi artisti di fare arte, letteralmente; alcune delle loro mostre avvengono nel giardino di casa, in riunioni tra amici, in vicoli e strade al riparo da controlli e sguardi indiscreti.

Dunque, il catalogo Tecniche d’evasione è un pretesto per ragionare sulla pervasività del potere, la sua invisibilità, il suo pericoloso paternalismo, e funge da lezione politica e civile del fare arte, indicando alle nuove generazioni modelli ancora vitali di comportamento libertario e civile e di non allineamento ad alcun potere, in primis a quello dell'Arte stessa.

Sei brevi video 
lanciati sui canali social e sul sito del Palazzo delle Esposizioni, uno a settimana a partire dal 22 dicembre, che richiamano ciascuno una singola opera presente in catalogo, particolarmente emblematica e densa di significati, indagheranno ulteriormente le tematiche dell’esposizione. Saranno gli stessi curatori Giuseppe Garrera e Sebastiano Triulzi a descrivere e narrare la complessa storia che si cela dietro ciascuna immagine per restituire l’atmosfera di quei tempi.

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