Herta Ottolenghi Wedekind. Il sogno dell’opera d’arte totale
Dal 17 Dicembre 2021 al 13 Febbraio 2022
Rovereto | Trento
Luogo: Mart Rovereto
Indirizzo: Corso Bettini 43
Orari: Mart-Dom 10-18. Venerdì 10-21. Lunedì chiuso
Curatori: Giulia Gomiero, Elena Lago, Sabrina Spinazzè
Costo del biglietto: intero 11 €, ridotto 7 € (biglietto unico per tutte le mostre in corso)
Telefono per informazioni: 800 397760
Sito ufficiale: http://www.mart.tn.it
Figlia dell’imprenditore e banchiere Paul Wedekind e moglie del conte genovese Arturo Ottolenghi, Herta Ottolenghi Wedekind (Berlino 1885 - Acqui 1953) è stata una mecenate illuminata nonché una delle principali protagoniste della straordinaria stagione delle arti decorative degli anni Venti-Trenta.
Allieva dell’artista tedesco Hans Stoltenberg – Lerche, con il quale studia a Roma tra il 1910 e il 1912, esordisce nel campo della scultura. Intorno al 1920 mette a punto un innovativo procedimento, brevettato nel 1922, per la creazione di disegni per opere d’arte applicata. Basato sulla duplicazione simmetrica di motivi astratti ottenuti mediante casuali tracciati di inchiostro questa modalità presenta punti di contatto con le contemporanee “macchie di Rorschach” utilizzate nella psicodiagnostica.
Tali forme vengono impiegate nella decorazione di arazzi, tappeti, cuscini, paraventi, stoffe per l’arredo, sia tessuti sia ricamati a mano, con i quali l’artista trionferà nelle principali esposizioni di arti decorative.
All’esordio del 1922 presso la Deutsche Gewerbeschau München, seguono le edizioni della Mostra internazionale delle arti decorative di Monza del 1923, del 1925 e del 1927, la I Esposizione nazionale delle industrie artistiche al Kursaal di Viareggio nel 1924, l’Exposition internationale des arts décoratifs et industriels modernes di Parigi del 1925, la Triennale di Monza del 1930 e la I Mostra femminile d’arte e lavoro al Castello Sforzesco di Milano sempre del 1930. Rassegne cui si aggiungono le diverse personali come quella del 1926 alla Kunstgewerbehaus di Friedmann & Weber a Berlino.
Il notevole successo è confermato dalle recensioni entusiastiche (“artista geniale” la definisce il critico Piero Scarpa), dai prestigiosi premi ottenuti, nonché dai numerosi acquisti, tra i quali vanno menzionati gli arazzi comprati dal comune di Milano dopo la mostra monzese del 1923.
Nel corso degli anni diverse sue opere entrano nelle collezioni più importanti del mondo, tra cui quella del British Museum di Londra e del Metropolitan Museum di New York.
Da sottolineare inoltre anche il ruolo giocato nel circuito della moda: a Monza, nel 1925, ottiene la medaglia d’oro per la XXI classe, dedicata alla moda e agli accessori per l’abbigliamento.
Il mecenatismo
L’impegno di Ottolenghi e del marito Arturo si concretizza intorno alla costruzione della villa di Monterosso, ad Acqui Terme.
Un progetto grandioso, protrattosi per quasi mezzo secolo, a cui prendono parte alcuni dei principali protagonisti dell’architettura italiana, da Federico D’Amato a Marcello Piacentini fino a Ernesto Lapadula e Giuseppe Vaccaro, che porta a termine l’impresa.
In quella che diviene una vera e propria “acropoli della contemporaneità” trovano posto gli studi degli artisti sostenuti dalla coppia e le numerose opere d’arte scelte e commissionate in funzione della loro collocazione nella grande casa.
Di particolare importanza è, all’interno del parco della villa, il mausoleo progettato da Piacentini e interamente decorato da affreschi e mosaici di Ferruccio Ferrazzi.
Con Arturo Martini e Ferrazzi, artista con cui collabora per più di venti anni, Ottolenghi instaurerà rapporti continuativi di committenza e cospicui scambi culturali, testimoniati dalla corrispondenza in parte inedita.
Inoltre, grazie alla disponibilità di Piacentini, nel 1934 i coniugi Ottolenghi fanno restaurare l’antico ricovero Jona Ottolenghi di Acqui, cui doneranno alcuni capolavori della storia dell’arte italiana del Novecento: non solo Il figliol prodigo di Arturo Martini, ma anche la Visione prismatica di Ferruccio Ferrazzi.
Nel ricovero troveranno posto la gran parte delle sculture della stessa Ottolenghi eseguite negli anni Trenta, come la Madonna col Bambino. Nell’ultimo ventennio della sua vita l’artista si dedicherà soprattutto all’amata scultura, alla poesia e al compimento dell’impresa di Monterosso, dove muore nel 1953.
Affermando la totale libertà e casualità del gesto artistico, gli arazzi di Herta Ottolenghi Wedekind esposti al Mart rivelano sorprendenti connessioni con le contemporanee poetiche surrealiste e dadaiste, espressione di una illimitata manifestazione dello spirito in vivaci forme e colori fluttuanti.
Le opere provengono dalle collezioni private di Stefano Baia Curioni, Fondazione Luigi Rovati, Giulia Gomiero, Giacomo Lorello e Massimo Minini, con la courtesy della Galleria Gomiero e della Galleria Berardi.
Allieva dell’artista tedesco Hans Stoltenberg – Lerche, con il quale studia a Roma tra il 1910 e il 1912, esordisce nel campo della scultura. Intorno al 1920 mette a punto un innovativo procedimento, brevettato nel 1922, per la creazione di disegni per opere d’arte applicata. Basato sulla duplicazione simmetrica di motivi astratti ottenuti mediante casuali tracciati di inchiostro questa modalità presenta punti di contatto con le contemporanee “macchie di Rorschach” utilizzate nella psicodiagnostica.
Tali forme vengono impiegate nella decorazione di arazzi, tappeti, cuscini, paraventi, stoffe per l’arredo, sia tessuti sia ricamati a mano, con i quali l’artista trionferà nelle principali esposizioni di arti decorative.
All’esordio del 1922 presso la Deutsche Gewerbeschau München, seguono le edizioni della Mostra internazionale delle arti decorative di Monza del 1923, del 1925 e del 1927, la I Esposizione nazionale delle industrie artistiche al Kursaal di Viareggio nel 1924, l’Exposition internationale des arts décoratifs et industriels modernes di Parigi del 1925, la Triennale di Monza del 1930 e la I Mostra femminile d’arte e lavoro al Castello Sforzesco di Milano sempre del 1930. Rassegne cui si aggiungono le diverse personali come quella del 1926 alla Kunstgewerbehaus di Friedmann & Weber a Berlino.
Il notevole successo è confermato dalle recensioni entusiastiche (“artista geniale” la definisce il critico Piero Scarpa), dai prestigiosi premi ottenuti, nonché dai numerosi acquisti, tra i quali vanno menzionati gli arazzi comprati dal comune di Milano dopo la mostra monzese del 1923.
Nel corso degli anni diverse sue opere entrano nelle collezioni più importanti del mondo, tra cui quella del British Museum di Londra e del Metropolitan Museum di New York.
Da sottolineare inoltre anche il ruolo giocato nel circuito della moda: a Monza, nel 1925, ottiene la medaglia d’oro per la XXI classe, dedicata alla moda e agli accessori per l’abbigliamento.
Il mecenatismo
L’impegno di Ottolenghi e del marito Arturo si concretizza intorno alla costruzione della villa di Monterosso, ad Acqui Terme.
Un progetto grandioso, protrattosi per quasi mezzo secolo, a cui prendono parte alcuni dei principali protagonisti dell’architettura italiana, da Federico D’Amato a Marcello Piacentini fino a Ernesto Lapadula e Giuseppe Vaccaro, che porta a termine l’impresa.
In quella che diviene una vera e propria “acropoli della contemporaneità” trovano posto gli studi degli artisti sostenuti dalla coppia e le numerose opere d’arte scelte e commissionate in funzione della loro collocazione nella grande casa.
Di particolare importanza è, all’interno del parco della villa, il mausoleo progettato da Piacentini e interamente decorato da affreschi e mosaici di Ferruccio Ferrazzi.
Con Arturo Martini e Ferrazzi, artista con cui collabora per più di venti anni, Ottolenghi instaurerà rapporti continuativi di committenza e cospicui scambi culturali, testimoniati dalla corrispondenza in parte inedita.
Inoltre, grazie alla disponibilità di Piacentini, nel 1934 i coniugi Ottolenghi fanno restaurare l’antico ricovero Jona Ottolenghi di Acqui, cui doneranno alcuni capolavori della storia dell’arte italiana del Novecento: non solo Il figliol prodigo di Arturo Martini, ma anche la Visione prismatica di Ferruccio Ferrazzi.
Nel ricovero troveranno posto la gran parte delle sculture della stessa Ottolenghi eseguite negli anni Trenta, come la Madonna col Bambino. Nell’ultimo ventennio della sua vita l’artista si dedicherà soprattutto all’amata scultura, alla poesia e al compimento dell’impresa di Monterosso, dove muore nel 1953.
Affermando la totale libertà e casualità del gesto artistico, gli arazzi di Herta Ottolenghi Wedekind esposti al Mart rivelano sorprendenti connessioni con le contemporanee poetiche surrealiste e dadaiste, espressione di una illimitata manifestazione dello spirito in vivaci forme e colori fluttuanti.
Le opere provengono dalle collezioni private di Stefano Baia Curioni, Fondazione Luigi Rovati, Giulia Gomiero, Giacomo Lorello e Massimo Minini, con la courtesy della Galleria Gomiero e della Galleria Berardi.
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