Consonanze. Floreani, Iacchetti, Minoli
Dal 20 Febbraio 2014 al 20 Marzo 2014
Torino
Luogo: Galleria Terre d’Arte
Indirizzo: via Maria Vittoria 20/a
Orari: da martedì a sabato 10.30-12.30 / 16.30-19.30
Telefono per informazioni: +39 011 19503453
E-Mail info: info@terredarte.net
Sito ufficiale: http://www.terredarte.net
Giovedi 20 febbraio alle ore 18, nella sede di via Maria Vittoria 20/A in Torino, con la mostra Consonanze. Floreani, Iacchetti, Minoli la galleria Terre d’Arte inaugura un nuovo progetto espositivo curato da Riccardo Zelatore in collaborazione con CASAPERLARTE fondazione paolo minoli di Cantù.
Le ragioni di questa mostra si possono ricondurre alla ricognizione, seppur parziale, di alcune esperienze che si sono determinate negli ultimi anni tra produzione ceramica e fruizione artistica, delle quali, peraltro, chi scrive è stato direttamente testimone. Se è consuetudine assai diffusa porre in secondo piano l'oggetto dell'atto artistico e il suo rapporto immediato con la realtà, a vantaggio di altri assunti come il momento della progettualità, della gestualità, dell'evento, privilegiando l'intenzionalità dell'artista rispetto alle qualità formali della sua rappresentazione, in questo caso si vuole riportare l'attenzione sulla concretezza anche fisica dell'opera, sulla sua costituzione formale, sulla sua capacità di costituirsi come sostanza, con una sua fattualità evidente, con una sua capacità di durata e persistenza oltre l'impulso e l'immediatezza dell'intuizione originaria. La fascinazione dell'opera come processo e come prodotto, conduce nel campo ceramico a sottolineare il rifluire di alcuni elementi proprio laddove questi stessi sono in sospetto: il rianimarsi di tecniche antiche, del rigore formale, della coerenza e organicità dell'opera, della sua forza di rappresentazione, il recupero della tradizione a riannodare genealogie forse mai veramente interrotte. E' in tale prospettiva che si propone il lavoro di tre autori contemporanei nei quali accanto alla propensione per la misura, la razionalità, l'equilibrio, autentica costante della loro ricerca, è evidente il persistere della inclinazione per la manualità, per la modellazione, in questo caso, di materie povere praticate con un estro e una freschezza che hanno origini nella tradizione mediterranea.
Per Roberto Floreani (Venezia, 1956) la ceramica risponde alla motivazione prima di donare plasticità al lavoro, di poter occupare lo spazio espositivo nelle tre dimensioni. Il procedimento della costruzione del rilievo, dei tempi lunghi, allentati, dell’asciugatura progressiva, è una strada che l’artista già percorre nella realizzazione delle opere pittoriche, che necessitano di stratificazioni pazienti e di conseguenti, ampi momenti destinati all’asciugatura degli strati. Qui l’aspetto fondamentale è quello plastico, scultoreo, che consente un arricchimento importante dal punto di vista professionale e anche concettuale. Nella ceramica, rispetto alla pittura, le priorità sono invertite. Non colori terrosi ma pigmenti e smalti di natura industriale: platino, bronzo, metallo, lasciano alla “terrosità” solo una valenza complementare in una sorta di raffreddamento della sua intrinseca matericità. Altra scelta distintiva nella ceramica rispetto alla pittura è quella della monocromìa, che riesce ad assolutizzare con maggior facilità l’aspetto legato alla spiritualità, da sempre componente fondante della sua ricerca espressiva.
Diverso è l'atteggiamento di Paolo Iacchetti (Milano, 1953) che, pur muovendosi nell'alveo comune di un'arte aniconica ove l'idea che astrattismo sia arte di pura percezione è ancora sentita e manifesta, si rivolge al mezzo ceramico come ricerca del semplice, del necessario più sobrio, come ulteriore "spazio d'azione" (per usare parole care all'artista), che si fa luogo fisicamente praticabile della sua ricerca. La sua predilezione all'uso delle mani nella stesura pittorica, il suo voler risalire a uno stadio originario del colore vicino alla materia, la dimensione particolarmente fisica dell'intendere l'azione artistica, trovano nella ceramica una pratica decisamente concreta e al tempo stesso poetica. Il rapporto forma colore, che vede per l'artista la prima come condizione necessaria all'indagine del secondo, approda qui a un nuovo equilibrio. Nel caso della terracotta l'artista realizza forme che assumono la cadenza di oggetti svasati verso l'alto, quasi si trattasse dello sviluppo di una forma organica: oggetti vagamente biomorfi che possono essere quietamente inseriti nello spazio domestico. Iacchetti tempera la mimesi mediterranea di un possibile mondo vegetale con la concretezza di forme tautologiche blindate nei timbri cromatici delle terre. Il colore conserva la capacità di essere pelle dell'oggetto creato e nella sua consistenza mantiene fede al suo essere metafora di solidità oggettuale. Così come i suoi quadri, anche le ceramiche appaiono tonali seppur esito di continui sedimenti degli engobbi sulle superfici argillose, di graduali stesure successive di terre colorate.
In Paolo Minoli (Cantù, 1942 – 2004) è soprattutto evidente la vitalità progettuale e l'attenzione alla trascrizione dello stato di energia insita nella materia. La scomparsa dell'artista, avvenuta poco dopo la creazione di queste opere, non crea sul piano critico una collocazione esclusivamente storica, ma segnala ancora una volta l'importanza di una volontà costruttiva condotta attraverso una pratica accorta e sensibilissima della progettualità. Nell'opera ceramica di Minoli è interamente espresso l'operare stesso, il fare che diventa oggetto dell'opera, rivelatore di scelte culturali ed estetiche. La plasticità e i volumi nascono da un rapporto di corresponsabilità tra l'autore e il supporto. Egli è tornato all'argilla, il più essenziale tra i materiali e le sue creazioni risultano dallo sforzo di sfruttare appieno le qualità di quel mezzo. In ogni opera è affermata una dimensione spaziale dell'energia presente nella materia che si configura delimitata da superfici ora tonde ora quadre e piani verticali secondo rigorose logiche compositive. Un preciso vocabolario astratto può essere rintracciato attraverso il dominio delle forme e le piegature della ceramica, che si susseguono a stemperare l'apparente severità del lavoro e si articolano in strutture formali diverse, da cui risulta un discorso visivo fluido ed un fine logico, motivato fin quasi a rasentare una ipotetica funzione d'uso.
Ogni volta che autori contemporanei provenienti dalla pittura o da altre discipline provano a confrontarsi con le tecniche della ceramica, si evidenziano spontaneamente i caratteri di un’arte vitale, comunicativa, rivolta alla valorizzazione e all’arricchimento dell’ambiente di vita, oltre che lavoro autonomo. Al contempo, è come se si trattasse ogni volta dell’occasione per l'avvio di un nuovo dialogo creativo nel lavoro del singolo artista che, pur non abbandonandosi ai caratteri edonistici della materia come tale, sa lasciarsi conquistare dal fascino del processo realizzativo per giungere a risultati spesso imprevisti. La ceramica, dunque, come mezzo di sopravvivenza e di moderazione in mezzo a tante degenerazioni che nel mondo di oggi non risparmiano certo il dominio delle arti.
Le ragioni di questa mostra si possono ricondurre alla ricognizione, seppur parziale, di alcune esperienze che si sono determinate negli ultimi anni tra produzione ceramica e fruizione artistica, delle quali, peraltro, chi scrive è stato direttamente testimone. Se è consuetudine assai diffusa porre in secondo piano l'oggetto dell'atto artistico e il suo rapporto immediato con la realtà, a vantaggio di altri assunti come il momento della progettualità, della gestualità, dell'evento, privilegiando l'intenzionalità dell'artista rispetto alle qualità formali della sua rappresentazione, in questo caso si vuole riportare l'attenzione sulla concretezza anche fisica dell'opera, sulla sua costituzione formale, sulla sua capacità di costituirsi come sostanza, con una sua fattualità evidente, con una sua capacità di durata e persistenza oltre l'impulso e l'immediatezza dell'intuizione originaria. La fascinazione dell'opera come processo e come prodotto, conduce nel campo ceramico a sottolineare il rifluire di alcuni elementi proprio laddove questi stessi sono in sospetto: il rianimarsi di tecniche antiche, del rigore formale, della coerenza e organicità dell'opera, della sua forza di rappresentazione, il recupero della tradizione a riannodare genealogie forse mai veramente interrotte. E' in tale prospettiva che si propone il lavoro di tre autori contemporanei nei quali accanto alla propensione per la misura, la razionalità, l'equilibrio, autentica costante della loro ricerca, è evidente il persistere della inclinazione per la manualità, per la modellazione, in questo caso, di materie povere praticate con un estro e una freschezza che hanno origini nella tradizione mediterranea.
Per Roberto Floreani (Venezia, 1956) la ceramica risponde alla motivazione prima di donare plasticità al lavoro, di poter occupare lo spazio espositivo nelle tre dimensioni. Il procedimento della costruzione del rilievo, dei tempi lunghi, allentati, dell’asciugatura progressiva, è una strada che l’artista già percorre nella realizzazione delle opere pittoriche, che necessitano di stratificazioni pazienti e di conseguenti, ampi momenti destinati all’asciugatura degli strati. Qui l’aspetto fondamentale è quello plastico, scultoreo, che consente un arricchimento importante dal punto di vista professionale e anche concettuale. Nella ceramica, rispetto alla pittura, le priorità sono invertite. Non colori terrosi ma pigmenti e smalti di natura industriale: platino, bronzo, metallo, lasciano alla “terrosità” solo una valenza complementare in una sorta di raffreddamento della sua intrinseca matericità. Altra scelta distintiva nella ceramica rispetto alla pittura è quella della monocromìa, che riesce ad assolutizzare con maggior facilità l’aspetto legato alla spiritualità, da sempre componente fondante della sua ricerca espressiva.
Diverso è l'atteggiamento di Paolo Iacchetti (Milano, 1953) che, pur muovendosi nell'alveo comune di un'arte aniconica ove l'idea che astrattismo sia arte di pura percezione è ancora sentita e manifesta, si rivolge al mezzo ceramico come ricerca del semplice, del necessario più sobrio, come ulteriore "spazio d'azione" (per usare parole care all'artista), che si fa luogo fisicamente praticabile della sua ricerca. La sua predilezione all'uso delle mani nella stesura pittorica, il suo voler risalire a uno stadio originario del colore vicino alla materia, la dimensione particolarmente fisica dell'intendere l'azione artistica, trovano nella ceramica una pratica decisamente concreta e al tempo stesso poetica. Il rapporto forma colore, che vede per l'artista la prima come condizione necessaria all'indagine del secondo, approda qui a un nuovo equilibrio. Nel caso della terracotta l'artista realizza forme che assumono la cadenza di oggetti svasati verso l'alto, quasi si trattasse dello sviluppo di una forma organica: oggetti vagamente biomorfi che possono essere quietamente inseriti nello spazio domestico. Iacchetti tempera la mimesi mediterranea di un possibile mondo vegetale con la concretezza di forme tautologiche blindate nei timbri cromatici delle terre. Il colore conserva la capacità di essere pelle dell'oggetto creato e nella sua consistenza mantiene fede al suo essere metafora di solidità oggettuale. Così come i suoi quadri, anche le ceramiche appaiono tonali seppur esito di continui sedimenti degli engobbi sulle superfici argillose, di graduali stesure successive di terre colorate.
In Paolo Minoli (Cantù, 1942 – 2004) è soprattutto evidente la vitalità progettuale e l'attenzione alla trascrizione dello stato di energia insita nella materia. La scomparsa dell'artista, avvenuta poco dopo la creazione di queste opere, non crea sul piano critico una collocazione esclusivamente storica, ma segnala ancora una volta l'importanza di una volontà costruttiva condotta attraverso una pratica accorta e sensibilissima della progettualità. Nell'opera ceramica di Minoli è interamente espresso l'operare stesso, il fare che diventa oggetto dell'opera, rivelatore di scelte culturali ed estetiche. La plasticità e i volumi nascono da un rapporto di corresponsabilità tra l'autore e il supporto. Egli è tornato all'argilla, il più essenziale tra i materiali e le sue creazioni risultano dallo sforzo di sfruttare appieno le qualità di quel mezzo. In ogni opera è affermata una dimensione spaziale dell'energia presente nella materia che si configura delimitata da superfici ora tonde ora quadre e piani verticali secondo rigorose logiche compositive. Un preciso vocabolario astratto può essere rintracciato attraverso il dominio delle forme e le piegature della ceramica, che si susseguono a stemperare l'apparente severità del lavoro e si articolano in strutture formali diverse, da cui risulta un discorso visivo fluido ed un fine logico, motivato fin quasi a rasentare una ipotetica funzione d'uso.
Ogni volta che autori contemporanei provenienti dalla pittura o da altre discipline provano a confrontarsi con le tecniche della ceramica, si evidenziano spontaneamente i caratteri di un’arte vitale, comunicativa, rivolta alla valorizzazione e all’arricchimento dell’ambiente di vita, oltre che lavoro autonomo. Al contempo, è come se si trattasse ogni volta dell’occasione per l'avvio di un nuovo dialogo creativo nel lavoro del singolo artista che, pur non abbandonandosi ai caratteri edonistici della materia come tale, sa lasciarsi conquistare dal fascino del processo realizzativo per giungere a risultati spesso imprevisti. La ceramica, dunque, come mezzo di sopravvivenza e di moderazione in mezzo a tante degenerazioni che nel mondo di oggi non risparmiano certo il dominio delle arti.
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