Fatma Bucak. So as to find the strength to see
Dal 06 Marzo 2018 al 20 Maggio 2018
Torino
Luogo: Fondazione Merz
Indirizzo: via Limone 24
Orari: martedì-domenica 11-19
Curatori: Lisa Parola, Maria Centonze
Enti promotori:
- Regione Piemonte
Costo del biglietto: 65 anni, gruppi organizzati min. 10 persone, possessori di Pyou Card) - Gratuito (bambini fino a 10 anni, disabili e accompagnatori, possessori tessera Abbonamento Musei e Torino + Piemonte Card, Card ContemporaneamenteItalia, membri ICOM, giornalisti con tessera in corso di validità o accreditati, amici Fondazione Merz e ogni prima domenica del mese)
Telefono per informazioni: +39 011.19719437
E-Mail info: info@fondazionemerz.org
Sito ufficiale: http://fondazionemerz.org/
La Fondazione Merz, con la Fondazione Sardi per l’Arte, presenta la prima grande mostra in uno spazio museale italiano dell’artista Fatma Bucak, un progetto espositivo inedito, costituito da lavori fotografici, sonori, video, performativi e scultorei, alcuni dei quali realizzati per l’occasione.
Nata nel 1984 a Iskenderun, una cittadina nel Sud della Turchia, vicina al confine con la Siria, Fatma Bucak lavora su temi quali l'identità politica e di genere, la violenza di Stato, la censura, la repressione, l’espropriazione, la migrazione e la mitologia religiosa; la sua storia personale e l’appartenenza alla minoranza curda in Turchia hanno contribuito a formare la sua poetica.
Nella mostra ideata per la Fondazione Merz, l’artista riunisce tutti gli elementi, estremamente evocativi, che compongono la sua ricerca indagando attraverso una sequenza di immagini, rimandi sonori e azioni, la dualità del pensiero, la fragilità, la tensione e la reversibilità della Storia, il potere della testimonianza e la memoria. L’artista realizza un percorso costituito da opere che diventano voce di cronache dimenticate, narrazioni di pensieri inespressi, riesame delle “individualità” escluse dalla Storia, di minoranze politiche o etniche, di strutture socio-culturali in opposizione al Potere.
La mostra si apre con il lavoro site-specific Enduring nature of thoughts che è la materializzazione di esperienze e testimonianze di dolore, perdita e emarginazione. Decine di catini smaltati e il suono costante di gocce che cadono, sembrano alludere ad una serie di perdite invisibili. Il lavoro gioca sulla tensione tra il reale e la messa in scena, suggerendo l’ambigua illusione di rendere visibile ciò che sfugge.
L'annullamento della memoria e delle storie individuali e la riscrittura della narrazione sono i temi delle tre installazioni 342 names, Black ink e Fantasies of violence.
In 342 names l'atto di incidere ripetutamente i nomi uno sull’altro su una pietra litografica scopre le storie non raccontate delle vittime di sparizione forzata in Turchia dopo il colpo di stato militare del 1980. L’illeggibilità dei nomi scolpiti è un tributo a coloro che rimangono senza identità evocando l’oblio della memoria politica e storica.
Nell’opera Black ink una tavoletta in metallo sulla quale sono disposti caratteri tipografici mobili fusi in piombo, riporta una ricetta per l’inchiostro nero preparato dall’artista utilizzando le ceneri di libri bruciati trovati nel magazzino carbonizzato di una casa editrice indipendente curda.
Il lavoro suggerisce altre storie non raccontate e il tema della distruzione deliberata delle eredità culturali. Fantasies of violence comprende 117 lastre di zinco visibili fronte e retro sulle quali sono incisi segni astratti, risultato di una ricerca di immagini di violenza effettuata dall’artista su giornali internazionali (Turchia, Europa e America), e accompagnati sul retro da una narrazione letteraria dell’atto violento.
L'astrazione dei segni interrompe le immagini nelle linee compositive di base, facendo emergere solo le "ossa" dell'immagine stessa, per suggerire e proporre una nuova modalità di sguardo e raggiungimento della realtà dietro la violenza rappresentata.
Confini e la precarietà si combinano con i temi della memoria e delle narrazioni escluse in Damascus Rose, dove un centinaio di piante di rose di Damasco – una delle varietà più antiche e oggi a rischio di estinzione a causa della guerra civile che obbliga i coltivatori ad abbandonare le terre – e trasportate dalla Siria a Torino, vengono innestate e coltivate in un letto di terra, nella speranza che mettano radici e crescano.
Il lavoro è una metafora del pericoloso viaggio e la difficile situazione di precarietà di milioni di rifugiati siriani in fuga dalla guerra ed anche un rimando alle nozioni di appartenenza e origine.
Nel video Four ages of woman: Fall, la storia tradizionale della nascita del primo uomo è re-immaginata nella creazione della prima donna. Una figura femminile, in un paesaggio di terra rossa, si scaglia lanciando sassi contro un nemico invisibile, come se decidesse di riemergere in seguito a una battaglia, iniziando così a raccontare e scrivere la propria storia.
I temi della memoria, dell'esclusione e della narrazioni inespresse sono ulteriormente esplorati nel lavoro sonoro I must say a word about fear, e nei video Omne vivum ex ovo: nomologically possible anyhow e An empire of the imagination.
In occasione della mostra verrà pubblicato un catalogo in italiano e inglese con testi critici immagini.
Inaugurazione 6 marzo ore 19
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