Sergio Zavattieri. Between Realities
Dal 14 Marzo 2014 al 20 Aprile 2014
Torino
Luogo: NOPX|limitededitionpics
Indirizzo: via Guastalla 6/a
Orari: da martedì a venerdì 14-18 e su appuntamento
E-Mail info: info@nopx.it
Sito ufficiale: http://www.nopx.it
La ricerca di una verità possibile, magari fatta di piccoli inganni, di abili messe in scena: questo il perno attorno a cui ruota tutto il lavoro di Sergio Zavattieri, artista palermitano che utilizza la fotografia come mezzo per osservare e raccontare la contemporaneità e le sue infinite contraddizioni.
La mostra presentata da NOPX è un’antologica dei lavori dell’artista: dal recente 1926 a Unidentified Flying Objects, da Botanica a Eye of the Islanders, il filo conduttore che unisce tutte le opere dell’artista è sempre l’ambiguità, il labile confine tra vero e credibile.
Sergio Zavattieri si confronta da sempre con la fotografia delle origini, utilizzata come testimonianza, catalogo, racconto di tutte le forme del visibile e dell’esistente, e con la tecnica e la forma delle immagini d’epoca; si appropria delle tecniche e dei metodi dell’arte che lo ha preceduto e li declina in chiave contemporanea, mettendo in scena una rappresentazione della realtà. In 1926 la perfezione formale e l’attenzione maniacale per il dettaglio tecnico consentono all’artista di trasformare oggetti comuni o porzioni di edifici contemporanei in forme perfette, in documenti nostalgici emersi chissà come da un archivio dimenticato. In Botanica l’artista riproduce fedelmente un erbario ottocentesco utilizzando come modelli fiori e vegetali in plastica, che non tradiscono mai, in nessun momento, la loro vera natura; la grana e i viraggi vintage di U.F.O. inducono lo spettatore a pensare di trovarsi di fronte a fotografie scattate in epoche diverse, da fotografi diversi, con tecniche e supporti molto differenti tra loro. Eye of the Islanders utilizza invece l’antica tecnica della stereoscopia per dare l’illusione della terza dimensione: non casuale la scelta del paesaggio ritratto, l’Isola delle Femmine, luogo dal nome ambiguo e d’origine misteriosa, per l’artista una sorta di ultimo baluardo che saluta i viaggiatori in partenza o in arrivo in Sicilia.
Fotografia come documentazione dunque, come testimone neutro in grado di raccontare la realtà, ma sempre con un dubbio di fondo, generato dall’abile gioco di finzione messo in scena da Zavattieri, che porta la discussione su un altro livello, conferendole una dimensione letteraria, teatrale, forse filosofica.
E’ nel totale rispetto delle regole formali che Zavattieri rompe il patto con lo spettatore, creando un universo inesistente ma del tutto plausibile, la cui assoluta bellezza ipnotizza e ammalia: è quest’ambiguità a rendere destabilizzante e affascinante il suo lavoro, sempre sul filo sottile che separa l’omaggio all’arte delle origini dal divertissement. L’accuratezza della tecnica, la perfetta adesione alle regole formali di un’estetica del tutto codificata, l’utilizzo di una stampa tradizionale, che nell’immaginario collettivo è profondamente legata ad un determinato periodo storico, diventano in Zavattieri armi insolite per confondere la visione: non immagini dichiaratamente false, non colori saturi ed artificiali, e nemmeno provocazioni come quella di “Ceci n’est pas une pipe”, che svelano immediatamente il processo artistico. Nel lavoro di Zavattieri il rispetto della regola è l’arma attraverso cui si sovverte la regola stessa: con un gesto di ribellione sotterraneo e sottile, l’artista scardina le regole per mettere in crisi lo spettatore e la visione. Tutte le immagini di Zavattieri ci pongono infatti di fronte al dubbio: ogni singola immagine è realistica, tecnicamente perfetta, del tutto aderente a canoni estetici stabiliti, assolutamente vera e, allo stesso tempo, ogni cosa è artificiale, finta, una rappresentazione della realtà.
Ma qual è la verità? Di quale realtà si parla? Nell’impossibilità di stabilire davvero quale sia questa fantomatica realtà, Zavattieri ci propone la sua alternativa, plausibile, perfino credibile, ma solo una delle tante possibili.
La mostra presentata da NOPX è un’antologica dei lavori dell’artista: dal recente 1926 a Unidentified Flying Objects, da Botanica a Eye of the Islanders, il filo conduttore che unisce tutte le opere dell’artista è sempre l’ambiguità, il labile confine tra vero e credibile.
Sergio Zavattieri si confronta da sempre con la fotografia delle origini, utilizzata come testimonianza, catalogo, racconto di tutte le forme del visibile e dell’esistente, e con la tecnica e la forma delle immagini d’epoca; si appropria delle tecniche e dei metodi dell’arte che lo ha preceduto e li declina in chiave contemporanea, mettendo in scena una rappresentazione della realtà. In 1926 la perfezione formale e l’attenzione maniacale per il dettaglio tecnico consentono all’artista di trasformare oggetti comuni o porzioni di edifici contemporanei in forme perfette, in documenti nostalgici emersi chissà come da un archivio dimenticato. In Botanica l’artista riproduce fedelmente un erbario ottocentesco utilizzando come modelli fiori e vegetali in plastica, che non tradiscono mai, in nessun momento, la loro vera natura; la grana e i viraggi vintage di U.F.O. inducono lo spettatore a pensare di trovarsi di fronte a fotografie scattate in epoche diverse, da fotografi diversi, con tecniche e supporti molto differenti tra loro. Eye of the Islanders utilizza invece l’antica tecnica della stereoscopia per dare l’illusione della terza dimensione: non casuale la scelta del paesaggio ritratto, l’Isola delle Femmine, luogo dal nome ambiguo e d’origine misteriosa, per l’artista una sorta di ultimo baluardo che saluta i viaggiatori in partenza o in arrivo in Sicilia.
Fotografia come documentazione dunque, come testimone neutro in grado di raccontare la realtà, ma sempre con un dubbio di fondo, generato dall’abile gioco di finzione messo in scena da Zavattieri, che porta la discussione su un altro livello, conferendole una dimensione letteraria, teatrale, forse filosofica.
E’ nel totale rispetto delle regole formali che Zavattieri rompe il patto con lo spettatore, creando un universo inesistente ma del tutto plausibile, la cui assoluta bellezza ipnotizza e ammalia: è quest’ambiguità a rendere destabilizzante e affascinante il suo lavoro, sempre sul filo sottile che separa l’omaggio all’arte delle origini dal divertissement. L’accuratezza della tecnica, la perfetta adesione alle regole formali di un’estetica del tutto codificata, l’utilizzo di una stampa tradizionale, che nell’immaginario collettivo è profondamente legata ad un determinato periodo storico, diventano in Zavattieri armi insolite per confondere la visione: non immagini dichiaratamente false, non colori saturi ed artificiali, e nemmeno provocazioni come quella di “Ceci n’est pas une pipe”, che svelano immediatamente il processo artistico. Nel lavoro di Zavattieri il rispetto della regola è l’arma attraverso cui si sovverte la regola stessa: con un gesto di ribellione sotterraneo e sottile, l’artista scardina le regole per mettere in crisi lo spettatore e la visione. Tutte le immagini di Zavattieri ci pongono infatti di fronte al dubbio: ogni singola immagine è realistica, tecnicamente perfetta, del tutto aderente a canoni estetici stabiliti, assolutamente vera e, allo stesso tempo, ogni cosa è artificiale, finta, una rappresentazione della realtà.
Ma qual è la verità? Di quale realtà si parla? Nell’impossibilità di stabilire davvero quale sia questa fantomatica realtà, Zavattieri ci propone la sua alternativa, plausibile, perfino credibile, ma solo una delle tante possibili.
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