Diango Hernández. Living Rooms, a Survey
materiali vari, 205,7 x 384 x 53,5 cm
Dal 19 Novembre 2011 al 26 Febbraio 2012
Rovereto | Trento
Luogo: MartRovereto
Indirizzo: Corso Bettini, 43
Orari: mar-dom 10.00-18.00 ven 10.00-21.00
Curatori: Yilmaz Dziewior
Costo del biglietto: Intero 11 Euro Ridotto: 7 Euro
Telefono per informazioni: +39 0464 454 154-108
E-Mail info: education@mart.trento.it
Sito ufficiale: http://www.mart.trento.it
Il Mart, Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto presenta "Diango Hernández. Living Rooms, a Survey". A cura di Yilmaz Dziewior, la mostra si terrà dal 19 novembre 2011 al 26 febbraio 2012 nella sede principale del Mart, a Rovereto.
Diango Hernández nasce nel 1970 a Sancti Spíritus nell’isola di Cuba, e vive a Düsseldorf dopo una formazione culturale e professionale che dal suo paese natale lo ha portato per qualche anno anche in Trentino. Questa mostra è la prima retrospettiva mondiale dedicata al suo lavoro, dopo numerosi riconoscimenti internazionali: le acquisizioni da parte di collezioni pubbliche prestigiose come il MoMA di New York, e le partecipazioni alla Biennale di Venezia del 2005, a quelle di San Paolo e Sydney nel 2006, a quella di Liverpool nel 2010, e, nello stesso anno, alla Triennale Kleinplastik di Fellbach.
“Diango Hernández. Living Rooms, a Survey” comprende 36 opere dal 1996 ad oggi, tra cui disegni, installazioni, dipinti, video e due lavori site specific (“Resistere” e “A house without objects”), realizzati appositamente per il Mart.
Uno dei temi centrali della ricerca artistica di Diango Hernández è la riflessione sulle traumatiche e spesso incomplete, transizioni della società cubana: l’eredità dolorosa dello schiavismo, le contraddizioni della decolonizzazione e della rivoluzione castrista; la ricerca di un nuovo “futuro possibile” dopo il crollo dell’Unione Sovietica.
Un altro tema ricorrente in queste opere riguarda la sfera personale dell’artista. Hernández lavora, infatti,“scavando” sul proprio vissuto e sul proprio bagaglio di relazioni, che intreccia e mette in connessione costantemente con riflessioni più ampie sul sociale e sulla politica.
Questa miscela spiega così il titolo scelto per la mostra: “Living Rooms, a Survey” (“Soggiorni, una Rassegna”). I “soggiorni” a cui Hernández fa riferimento sono il teatro di frammenti della vita cosmopolita dell’artista, ma sono anche i luoghi dove tutti i cubani costruiscono la propria esistenza quotidiana – spesso in senso letterale: riutilizzando pezzi di mobili, elettrodomestici e imballaggi.
Hernández ha cominciato a interessarsi all’uso di questi materiali dalla metà degli anni Novanta, quando viveva ancora a l’Avana. Dopo gli studi di Design Industriale, sulla strada per affermarsi come architetto, decide di voltare pagina. “E’ stato proprio quando lavoravo in uno studio di architettura – spiega Hernández nella conversazione con Dziewior pubblicata nel catalogo della mostra – che ho aperto gli occhi. Anche se si trattava di uno dei più importanti Studi di Cuba, le condizioni di lavoro erano penose. Quando cominciai a lavorare, i miei colleghi, tutti professionisti altamente qualificati che lavoravano in quello studio fin dai primi anni Sessanta, erano distrutti, consumati da un sistema che chiedeva ogni giorno di più, e che offriva molto poco in cambio. Era per me inaccettabile e disgustoso.” Abbandonata la carriera di designer e architetto, Hernández insieme ad alcuni amici comincia a “collezionare invenzioni realizzate da persone che cercavano di sopravvivere, combinando oggetti ritrovati, a volte inutili, per creare pratici strumenti di uso quotidiano”.
Così nelle sue “magiche” installazioni, scatole di cartone diventano radio -“Drawing (Box Radio)”, 2003 - altoparlanti scassati mutano in gabbie per uccelli -“Drawing (My Birds Don’t Want to Come Back)”, 2006 - e gambe di tavoli si trasformano in fiori (“Giardino tropicale”, 2009).
Spiega Hernández: “[Questi oggetti] non sono incompleti soltanto perché mancano alcune delle loro parti, ma anche perché il silenzio è divenuto la loro funzione permanente. Non sono nello spazio per produrre suono ma per produrre silenzio, che a volte può fare tanto rumore quanto una bomba. […] Mettere a tacere un oggetto equivale a mettere a tacere una persona”.
Questo linguaggio, una volta sviluppato, viene usato dall’artista anche per leggere il mondo che esiste “fuori dall’isola” e metterlo in relazione con Cuba. Ecco allora, in “Power Pencil” del 2007, Hernández utilizza per la sua installazione, dodici pali della luce, fatti di legno (proveniente dalla Valle di Primiero, in Trentino) con isolatori di porcellana e li trasforma in enormi matite. Questi pali, prodotti con una tecnologia ormai superata, vengono recuperati dall’artista, che - come scrive Luigi Fassi in catalogo - “li rivivifica trasformandoli da residui logori di una funzionalità ormai esaurita in gigantesche matite per scrivere”.
Hernández, con le sue invenzioni, utilizza al massimo il potere dell’artista per far dialogare mondi che sembrano non avere gli strumenti per entrare in contatto.
Diango Hernández nasce nel 1970 a Sancti Spíritus nell’isola di Cuba, e vive a Düsseldorf dopo una formazione culturale e professionale che dal suo paese natale lo ha portato per qualche anno anche in Trentino. Questa mostra è la prima retrospettiva mondiale dedicata al suo lavoro, dopo numerosi riconoscimenti internazionali: le acquisizioni da parte di collezioni pubbliche prestigiose come il MoMA di New York, e le partecipazioni alla Biennale di Venezia del 2005, a quelle di San Paolo e Sydney nel 2006, a quella di Liverpool nel 2010, e, nello stesso anno, alla Triennale Kleinplastik di Fellbach.
“Diango Hernández. Living Rooms, a Survey” comprende 36 opere dal 1996 ad oggi, tra cui disegni, installazioni, dipinti, video e due lavori site specific (“Resistere” e “A house without objects”), realizzati appositamente per il Mart.
Uno dei temi centrali della ricerca artistica di Diango Hernández è la riflessione sulle traumatiche e spesso incomplete, transizioni della società cubana: l’eredità dolorosa dello schiavismo, le contraddizioni della decolonizzazione e della rivoluzione castrista; la ricerca di un nuovo “futuro possibile” dopo il crollo dell’Unione Sovietica.
Un altro tema ricorrente in queste opere riguarda la sfera personale dell’artista. Hernández lavora, infatti,“scavando” sul proprio vissuto e sul proprio bagaglio di relazioni, che intreccia e mette in connessione costantemente con riflessioni più ampie sul sociale e sulla politica.
Questa miscela spiega così il titolo scelto per la mostra: “Living Rooms, a Survey” (“Soggiorni, una Rassegna”). I “soggiorni” a cui Hernández fa riferimento sono il teatro di frammenti della vita cosmopolita dell’artista, ma sono anche i luoghi dove tutti i cubani costruiscono la propria esistenza quotidiana – spesso in senso letterale: riutilizzando pezzi di mobili, elettrodomestici e imballaggi.
Hernández ha cominciato a interessarsi all’uso di questi materiali dalla metà degli anni Novanta, quando viveva ancora a l’Avana. Dopo gli studi di Design Industriale, sulla strada per affermarsi come architetto, decide di voltare pagina. “E’ stato proprio quando lavoravo in uno studio di architettura – spiega Hernández nella conversazione con Dziewior pubblicata nel catalogo della mostra – che ho aperto gli occhi. Anche se si trattava di uno dei più importanti Studi di Cuba, le condizioni di lavoro erano penose. Quando cominciai a lavorare, i miei colleghi, tutti professionisti altamente qualificati che lavoravano in quello studio fin dai primi anni Sessanta, erano distrutti, consumati da un sistema che chiedeva ogni giorno di più, e che offriva molto poco in cambio. Era per me inaccettabile e disgustoso.” Abbandonata la carriera di designer e architetto, Hernández insieme ad alcuni amici comincia a “collezionare invenzioni realizzate da persone che cercavano di sopravvivere, combinando oggetti ritrovati, a volte inutili, per creare pratici strumenti di uso quotidiano”.
Così nelle sue “magiche” installazioni, scatole di cartone diventano radio -“Drawing (Box Radio)”, 2003 - altoparlanti scassati mutano in gabbie per uccelli -“Drawing (My Birds Don’t Want to Come Back)”, 2006 - e gambe di tavoli si trasformano in fiori (“Giardino tropicale”, 2009).
Spiega Hernández: “[Questi oggetti] non sono incompleti soltanto perché mancano alcune delle loro parti, ma anche perché il silenzio è divenuto la loro funzione permanente. Non sono nello spazio per produrre suono ma per produrre silenzio, che a volte può fare tanto rumore quanto una bomba. […] Mettere a tacere un oggetto equivale a mettere a tacere una persona”.
Questo linguaggio, una volta sviluppato, viene usato dall’artista anche per leggere il mondo che esiste “fuori dall’isola” e metterlo in relazione con Cuba. Ecco allora, in “Power Pencil” del 2007, Hernández utilizza per la sua installazione, dodici pali della luce, fatti di legno (proveniente dalla Valle di Primiero, in Trentino) con isolatori di porcellana e li trasforma in enormi matite. Questi pali, prodotti con una tecnologia ormai superata, vengono recuperati dall’artista, che - come scrive Luigi Fassi in catalogo - “li rivivifica trasformandoli da residui logori di una funzionalità ormai esaurita in gigantesche matite per scrivere”.
Hernández, con le sue invenzioni, utilizza al massimo il potere dell’artista per far dialogare mondi che sembrano non avere gli strumenti per entrare in contatto.
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