NUR/LUCE. Appunti afghani
Dal 04 Agosto 2012 al 23 Settembre 2012
Trieste
Luogo: Ex Pescheria - Salone degli Incanti
Indirizzo: Riva Nazario Sauro 1
Orari: da lunedì a venerdì 17-23; sabato, domenica e festivi 10-23
Costo del biglietto: intero € 6, ridotto € 4, gratuito fino a 14 anni
Telefono per informazioni: +39 040 3226862
E-Mail info: info_expescheria@comune.trieste.it
Sito ufficiale: http://www.triestecultura.it
"NUR/LUCE. Appunti afghani" è una mostra della fotoreporter Monika Bulaj, che dopo essere stata presentata a Venezia nella Loggia di Palazzo Ducale e a Roma nelle Officine Fotografiche, viene ospitata a Trieste nella suggestiva cornice dell’ex Pescheria - Salone degli Incanti, arricchita da nuove immagini e da alcuni interventi di urban art.
Nata a Varsavia nel ’66, Monika Bulaj è fotografa, reporter free lance e documentarista. Laureata in filologia, si è dedicata alla ricerca antropologica, approfondendo, in particolare il tema della fede. Considerata da alcuni “la migliore fotografa sul tema del sacro”, ha pubblicato diversi libri di fotografia e un paio di romanzi, collabora regolarmente con National Geographic, GEO, La Repubblica, Il Venerdi di Repubblica, D - La Repubblica delle Donne, Freundin, TEATR (Polonia), EAST - European and Asian Strategies, Courrier International, Corriere della Sera, Io Donna - Corriere della Sera, Gazeta Wyborcza, Internazionale, Avvenire, Famiglia Cristiana, Il Piccolo. Ha all'attivo circa 60 mostre personali, tra New York e Il Cairo. E' stata insignita dei seguenti premi: Grant in Visual Arts 2005 da parte di European Association for Jewish Culture; Premio Francesco Gelmi di Caporiacco 2008; Premio Chatwin 2009 “Occhio assoluto”; The Aftermath Project Grant 2010; Premio Luchetta-Hrovatin 2011; TEDGlobal Fellowship 2011.
Monika Bulaj parla della mostra come di “un viaggio solitario nella terra degli Afghani. Dividendo il cibo, il sonno, la fatica, la fame, il freddo, i sussurri, il riso, la paura. Spostandosi con bus, taxi, cavalli, camion, a dorso di yak. Dal confine iraniano a quello cinese sulle nevi del Wakhan, armati soltanto di un taccuino e una Leica, fatti per l’intimità dell’incontro. Balkh, Panjshir, Samanghan, Herat, Kabul, Jalalabad, Badakshan, Pamir Khord, Khost wa Firing. Uno slalom continuo per evitare i banditi targati Talib, seguendo la complicata geografia della sicurezza che tutti gli afghani conoscono. Parlando con gli afghani, ho scoperto che la guerra è una macchina miliardaria che si autoalimenta e che pur di funzionare arriva al punto di pagare indirettamente tangenti allo stesso nemico. Rifiutando di viaggiare con un’unita’ militare - ‘embedded’ - protetti da un elmetto in kevlar, ho ritrovato un mondo che dalla Maillart a Bouvier gli europei amarono e che ora, dopo dieci anni di presenza militare, abbiamo rinunciato a conoscere. La culla del sufismo e di un Islam tollerante che, lì come in Bosnia, l’Occidente si ostina a ignorare. Un mondo odiato dai Taliban e minacciato dal nostro schema dello scontro bipolare. Un Paese nudo e minerale, dove un albero ha una maestà senza eguali e l’individuo non ha spazio per l’arroganza. Deserti dove il richiamo “Allah u Akhbar” suona più puro che altrove. Una terra abbacinante, dai cieli sconfinati, e così inondata di sole che bisogna rifugiarsi nell’ombra - interni, albe e crepuscoli - per ridare un senso alla luce, al fuoco, ai bagliori dello sguardo. Un Paese disperato, dove la donna è schiacciata dal tribalismo e l’oppio è la sola medicina dei poveri, ma dove una straniera può essere accolta in una moschea e l’incantamento dello straniero è vissuto come una benedizione. Una terra dove si rischia la vita solo andando a scuola e dove nelle periferie disperate i bambini si svegliano alle quattro del mattino per andare a prendere l’acqua con gli asini. Ma anche un Paese d’ironia, capace di ridere nei momenti più neri, rispettoso degli anziani, perfettamente conscio che il solo futuro possibile sta nella scuola, e nei bambini che domani saranno uomini. Nel “giardino luminoso” dell’Afghanistan ho seguito d’istinto i suoi sentieri, trovando focolai di speranza nei luoghi più insperati, nel fondo più nero della disperazione”.
“Appunti afghani” è una raccolta di immagini di grande qualità: oltre all’impeccabile aspetto tecnico/compositivo delle fotografie, realizzate indistintamente in colore e bianco e nero, spicca la sensibilità dell’autrice, che crea una serie di immagini intense, raffinate, vissute e coraggiose come l’impresa stessa. Rifiutando di viaggiare con i militari come fotografa ‘embedded’, Monika Bulaj è riuscita ad “entrare” e a mescolarsi con la gente e le tradizioni dei luoghi visitati, siano essi villaggi Kirghisi che città - spettro come Kabul, ottenendo completa fiducia, tanto da riuscire a scattare anche in situazioni particolarmente delicate come ospedali, moschee, scuole e prigioni. Il suo lavoro inoltre mette in luce un altro Afghanistan, spesso nascosto dagli stereotipi e mascherato dai pregiudizi, quello delle donne, raccontate attraverso scatti che catturano le loro espressioni più autentiche.
A corollario della mostra, dal 7 al 9 settembre p.v. l’Auditorium dell’ex Pescheria - Salone degli Incanti ospiterà un ciclo di incontri/conferenze/proiezioni di approfondimento; interverranno, tra gli altri:
- Emanuele Giordana, giornalista, cofondatore di Lettera22, direttore del mensile "Terra" e direttore responsabile dell'Agenzia multimediale "Amisnet" di Roma; è uno dei conduttori di Radiotre Mondo a Rai Radio 3 e tra i promotori dell'iniziativa "Afgana"; nel dicembre 2011 ha ricevuto con Lisa Clark, a nome di "Afgana", il Premio per la Pace Tiziano Terzani
- Soraya Malek, principessa afgana discendente del re riformatore Amanullah (esiliato in Italia e morto in Europa agli inizi del secolo scorso)
- Giovanni Pedrini, antropologo e orientalista, responsabile del progetto di ricerca "Identità etniche e frontiere culturali nel Wakhan Pamir (Afghanistan)" dell'Università Ca' Foscari di Venezia
- Giuliano Battiston, ricercatore e giornalista freelance, scrive reportage, in particolare dall’Afghanistan ed è attualmente è impegnato in due ricerche sulla società civile afghana e la percezione afgana della presenza straniera
- Sergio Ujcich, portavoce ufficiale del Centro Culturale Islamico di Trieste e del Friuli Venezia Giulia
- Alexandre Papas, ricercatore presso il Centre National de la Recherche Scientifique di Parigi, storico dell'Islam e dell'Asia centrale; nel 2006 ha ricevuto il premio per la miglior tesi di dottorato presso l'Istituto per lo studio dell'Islam e le società del mondo musulmano; si occupa principalmente di misticismo Sufi, di venerazione del sacro e delle questioni politico-religiose in Asia centrale e nelle zone limitrofe dal 16° secolo ad oggi
- Fuad Khaled Allam, scrittore, giornalista e sociologo algerino naturalizzato italiano; ricercatore universitario della Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Trieste, dove dal 1994 insegna Sociologia del mondo musulmano e Storia e istituzioni dei paesi islamici, nonché Islamistica all'Università di Urbino.
Nata a Varsavia nel ’66, Monika Bulaj è fotografa, reporter free lance e documentarista. Laureata in filologia, si è dedicata alla ricerca antropologica, approfondendo, in particolare il tema della fede. Considerata da alcuni “la migliore fotografa sul tema del sacro”, ha pubblicato diversi libri di fotografia e un paio di romanzi, collabora regolarmente con National Geographic, GEO, La Repubblica, Il Venerdi di Repubblica, D - La Repubblica delle Donne, Freundin, TEATR (Polonia), EAST - European and Asian Strategies, Courrier International, Corriere della Sera, Io Donna - Corriere della Sera, Gazeta Wyborcza, Internazionale, Avvenire, Famiglia Cristiana, Il Piccolo. Ha all'attivo circa 60 mostre personali, tra New York e Il Cairo. E' stata insignita dei seguenti premi: Grant in Visual Arts 2005 da parte di European Association for Jewish Culture; Premio Francesco Gelmi di Caporiacco 2008; Premio Chatwin 2009 “Occhio assoluto”; The Aftermath Project Grant 2010; Premio Luchetta-Hrovatin 2011; TEDGlobal Fellowship 2011.
Monika Bulaj parla della mostra come di “un viaggio solitario nella terra degli Afghani. Dividendo il cibo, il sonno, la fatica, la fame, il freddo, i sussurri, il riso, la paura. Spostandosi con bus, taxi, cavalli, camion, a dorso di yak. Dal confine iraniano a quello cinese sulle nevi del Wakhan, armati soltanto di un taccuino e una Leica, fatti per l’intimità dell’incontro. Balkh, Panjshir, Samanghan, Herat, Kabul, Jalalabad, Badakshan, Pamir Khord, Khost wa Firing. Uno slalom continuo per evitare i banditi targati Talib, seguendo la complicata geografia della sicurezza che tutti gli afghani conoscono. Parlando con gli afghani, ho scoperto che la guerra è una macchina miliardaria che si autoalimenta e che pur di funzionare arriva al punto di pagare indirettamente tangenti allo stesso nemico. Rifiutando di viaggiare con un’unita’ militare - ‘embedded’ - protetti da un elmetto in kevlar, ho ritrovato un mondo che dalla Maillart a Bouvier gli europei amarono e che ora, dopo dieci anni di presenza militare, abbiamo rinunciato a conoscere. La culla del sufismo e di un Islam tollerante che, lì come in Bosnia, l’Occidente si ostina a ignorare. Un mondo odiato dai Taliban e minacciato dal nostro schema dello scontro bipolare. Un Paese nudo e minerale, dove un albero ha una maestà senza eguali e l’individuo non ha spazio per l’arroganza. Deserti dove il richiamo “Allah u Akhbar” suona più puro che altrove. Una terra abbacinante, dai cieli sconfinati, e così inondata di sole che bisogna rifugiarsi nell’ombra - interni, albe e crepuscoli - per ridare un senso alla luce, al fuoco, ai bagliori dello sguardo. Un Paese disperato, dove la donna è schiacciata dal tribalismo e l’oppio è la sola medicina dei poveri, ma dove una straniera può essere accolta in una moschea e l’incantamento dello straniero è vissuto come una benedizione. Una terra dove si rischia la vita solo andando a scuola e dove nelle periferie disperate i bambini si svegliano alle quattro del mattino per andare a prendere l’acqua con gli asini. Ma anche un Paese d’ironia, capace di ridere nei momenti più neri, rispettoso degli anziani, perfettamente conscio che il solo futuro possibile sta nella scuola, e nei bambini che domani saranno uomini. Nel “giardino luminoso” dell’Afghanistan ho seguito d’istinto i suoi sentieri, trovando focolai di speranza nei luoghi più insperati, nel fondo più nero della disperazione”.
“Appunti afghani” è una raccolta di immagini di grande qualità: oltre all’impeccabile aspetto tecnico/compositivo delle fotografie, realizzate indistintamente in colore e bianco e nero, spicca la sensibilità dell’autrice, che crea una serie di immagini intense, raffinate, vissute e coraggiose come l’impresa stessa. Rifiutando di viaggiare con i militari come fotografa ‘embedded’, Monika Bulaj è riuscita ad “entrare” e a mescolarsi con la gente e le tradizioni dei luoghi visitati, siano essi villaggi Kirghisi che città - spettro come Kabul, ottenendo completa fiducia, tanto da riuscire a scattare anche in situazioni particolarmente delicate come ospedali, moschee, scuole e prigioni. Il suo lavoro inoltre mette in luce un altro Afghanistan, spesso nascosto dagli stereotipi e mascherato dai pregiudizi, quello delle donne, raccontate attraverso scatti che catturano le loro espressioni più autentiche.
A corollario della mostra, dal 7 al 9 settembre p.v. l’Auditorium dell’ex Pescheria - Salone degli Incanti ospiterà un ciclo di incontri/conferenze/proiezioni di approfondimento; interverranno, tra gli altri:
- Emanuele Giordana, giornalista, cofondatore di Lettera22, direttore del mensile "Terra" e direttore responsabile dell'Agenzia multimediale "Amisnet" di Roma; è uno dei conduttori di Radiotre Mondo a Rai Radio 3 e tra i promotori dell'iniziativa "Afgana"; nel dicembre 2011 ha ricevuto con Lisa Clark, a nome di "Afgana", il Premio per la Pace Tiziano Terzani
- Soraya Malek, principessa afgana discendente del re riformatore Amanullah (esiliato in Italia e morto in Europa agli inizi del secolo scorso)
- Giovanni Pedrini, antropologo e orientalista, responsabile del progetto di ricerca "Identità etniche e frontiere culturali nel Wakhan Pamir (Afghanistan)" dell'Università Ca' Foscari di Venezia
- Giuliano Battiston, ricercatore e giornalista freelance, scrive reportage, in particolare dall’Afghanistan ed è attualmente è impegnato in due ricerche sulla società civile afghana e la percezione afgana della presenza straniera
- Sergio Ujcich, portavoce ufficiale del Centro Culturale Islamico di Trieste e del Friuli Venezia Giulia
- Alexandre Papas, ricercatore presso il Centre National de la Recherche Scientifique di Parigi, storico dell'Islam e dell'Asia centrale; nel 2006 ha ricevuto il premio per la miglior tesi di dottorato presso l'Istituto per lo studio dell'Islam e le società del mondo musulmano; si occupa principalmente di misticismo Sufi, di venerazione del sacro e delle questioni politico-religiose in Asia centrale e nelle zone limitrofe dal 16° secolo ad oggi
- Fuad Khaled Allam, scrittore, giornalista e sociologo algerino naturalizzato italiano; ricercatore universitario della Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Trieste, dove dal 1994 insegna Sociologia del mondo musulmano e Storia e istituzioni dei paesi islamici, nonché Islamistica all'Università di Urbino.
SCARICA IL COMUNICATO IN PDF
COMMENTI
-
Dal 20 dicembre 2024 al 04 maggio 2025
Fermo | Palazzo dei Priori
Steve McCurry. Children
-
Dal 20 dicembre 2024 al 04 maggio 2024
Gorizia | Palazzo Attems Petzenstein
Andy Warhol. Beyond Borders
-
Dal 18 dicembre 2024 al 18 dicembre 2024
Venezia | Museo Correr
L’impronta di Andrea Mantegna. UN DIPINTO RISCOPERTO DEL MUSEO CORRER DI VENEZIA
-
Dal 14 dicembre 2024 al 02 marzo 2025
Palermo | Palazzo Abatellis
Attraversamenti. Il Trionfo della morte, Guernica e Crocifissione di Guttuso
-
Dal 12 dicembre 2024 al 23 febbraio 2025
Roma | Palazzo Altemps
Gabriele Basilico. Roma
-
Dal 13 dicembre 2024 al 31 agosto 2025
Roma | Museo dell'Ara Pacis
Franco Fontana. Retrospective