Manuel Scrima. AfreakA
![Manuel Scrima. AfreakA, Stoà, Busto Arsizio (VA) Manuel Scrima. AfreakA, Stoà, Busto Arsizio (VA)](http://www.arte.it/foto/600x450/93/12802-abb.jpg)
Manuel Scrima. AfreakA, Stoà, Busto Arsizio (VA)
Dal 29 Ottobre 2012 al 11 Novembre 2012
Busto Arsizio | Varese
Luogo: Stoà - Busto Arsizio
Indirizzo: via Gaeta 10
Orari: 1,3,4,10,11 Novembre 17-21
Curatori: Alessandro Turci
Costo del biglietto: ingresso gratuito
Telefono per informazioni: +39 333 8579408
E-Mail info: segreteria@stoabusto.it
Sito ufficiale: http://www.stoabusto.it
La mostra di Manuel Scrima dal titolo “ AfreakA “ curata da Alessandro Turci partecipa al III festival italiano della fotografia in visione a Busto Arsizio. Il distorcimento anomalo e mostruoso “freak” appunto diventa un “jeu des mots” che esprime quello scollamento tra la realtà di un delicato ecosistema, dei suoi rapporti sociali, delle proprie tradizioni antiche ed i recenti accadimenti propri di un nuovo colonialismo. Un racconto autentico composto di immagini straordinarie, di libertà, orgoglio, comunione, accettazione, ed anche un afflato di speranza a contrastare un minaccioso impoverimento di quel microcosmo di luoghi, economie e coscienze basato sulla diversità. Quesiti posti agli strumenti conoscitivi e percettivi del nostro mondo ed a quel senso di responsabilità e di appartenenza detta civiltà.
Descrivere l’Africa oggi è impresa assai complessa. La bellezza riposta in una moltitudine di etnie, lingue, usi, culture acquisisce quasi significato di memoria storica da trattato d’altri tempi. Si percepisce uno scollamento tra una realtà fondata sulla diversità integrata in un delicato ecosistema costruito non solo sul rispetto dell’ambiente, ma della persona e dei suoi rapporti sociali e i recenti accadimenti propri di un nuovo colonialismo. La sconcertante verità si basa su opposti sentimenti con una comune matrice. Ne consegue un distorcimento anomalo e mostruoso, freak appunto, che non può, e per altri aspetti non deve passare inosservato. La routine di situazioni che si ripetono in un corso e ricorso storico parlano di sfruttamento, oppressione, invasione, sopraffazione che spesso hanno come complici speculazioni ed interessi ben lontani dalle descrizioni iconografiche di genere. E così pure la tecnologia, il progresso e l’emancipazione stridono di fronte ad intere popolazioni ormai perdute o dal destino irrimediabilmente segnato. Se le immagini di Manuel Scrima vogliono riconsegnare al mondo i gesti ormai rari di genti lontane, la loro fierezza di una cultura millenaria, di una tradizione rituale raffinata, di una memoria che vogliamo conservare come per preservare una verità ancora possibile, dall’altro ne nasce l’inevitabile confronto con un “mundus alter” ed un processo tecnologico inarrestabile che contamina e spesso stravolge proprio quella coscienza cercata di una nuova e più autentica identità e con essa il senso dello spazio e del tempo. Due video a camera fissa interfacciano mondi paralleli e tuttavia antitetici : la calma ieratica quasi surreale di un villaggio Masai dove nulla sembra accadere ed il lento scorrere del tempo ci riconsegna a quella impropria fissità di immagine che considera la riflessione un valore ( “ Stiamo vivendo in un periodo difficile, nel quale il tempo ha sempre più valore semplicemente perché ce n’è sempre meno…” da The Abramovic Method di Marina Abramovic ) e un’altrettanto vera quanto sarcastica staticità per così dire “dinamica” del frenetico succedersi di un andirivieni di personaggi che entrano ed escono da uno shopping center di Nairobi. Al di là dal volere essere denuncia sociopolitica, il percorso di Manuel Scrima si snoda tra contrasti diretti e veri, indagando sul lento evolversi di accostamenti inusuali ed”integrati”. Un racconto autentico composto di immagini straordinarie, di libertà, orgoglio, comunione, accettazione, ed anche un afflato di speranza a contrastare un minaccioso impoverimento di quel microcosmo di luoghi, economie e coscienze basato sulla diversità. Quesiti posti agli strumenti conoscitivi e percettivi del nostro mondo ed a quel senso di responsabilità e di appartenenza detta civiltà.
Descrivere l’Africa oggi è impresa assai complessa. La bellezza riposta in una moltitudine di etnie, lingue, usi, culture acquisisce quasi significato di memoria storica da trattato d’altri tempi. Si percepisce uno scollamento tra una realtà fondata sulla diversità integrata in un delicato ecosistema costruito non solo sul rispetto dell’ambiente, ma della persona e dei suoi rapporti sociali e i recenti accadimenti propri di un nuovo colonialismo. La sconcertante verità si basa su opposti sentimenti con una comune matrice. Ne consegue un distorcimento anomalo e mostruoso, freak appunto, che non può, e per altri aspetti non deve passare inosservato. La routine di situazioni che si ripetono in un corso e ricorso storico parlano di sfruttamento, oppressione, invasione, sopraffazione che spesso hanno come complici speculazioni ed interessi ben lontani dalle descrizioni iconografiche di genere. E così pure la tecnologia, il progresso e l’emancipazione stridono di fronte ad intere popolazioni ormai perdute o dal destino irrimediabilmente segnato. Se le immagini di Manuel Scrima vogliono riconsegnare al mondo i gesti ormai rari di genti lontane, la loro fierezza di una cultura millenaria, di una tradizione rituale raffinata, di una memoria che vogliamo conservare come per preservare una verità ancora possibile, dall’altro ne nasce l’inevitabile confronto con un “mundus alter” ed un processo tecnologico inarrestabile che contamina e spesso stravolge proprio quella coscienza cercata di una nuova e più autentica identità e con essa il senso dello spazio e del tempo. Due video a camera fissa interfacciano mondi paralleli e tuttavia antitetici : la calma ieratica quasi surreale di un villaggio Masai dove nulla sembra accadere ed il lento scorrere del tempo ci riconsegna a quella impropria fissità di immagine che considera la riflessione un valore ( “ Stiamo vivendo in un periodo difficile, nel quale il tempo ha sempre più valore semplicemente perché ce n’è sempre meno…” da The Abramovic Method di Marina Abramovic ) e un’altrettanto vera quanto sarcastica staticità per così dire “dinamica” del frenetico succedersi di un andirivieni di personaggi che entrano ed escono da uno shopping center di Nairobi. Al di là dal volere essere denuncia sociopolitica, il percorso di Manuel Scrima si snoda tra contrasti diretti e veri, indagando sul lento evolversi di accostamenti inusuali ed”integrati”. Un racconto autentico composto di immagini straordinarie, di libertà, orgoglio, comunione, accettazione, ed anche un afflato di speranza a contrastare un minaccioso impoverimento di quel microcosmo di luoghi, economie e coscienze basato sulla diversità. Quesiti posti agli strumenti conoscitivi e percettivi del nostro mondo ed a quel senso di responsabilità e di appartenenza detta civiltà.
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