A Genova dal 22 maggio al 19 ottobre

In mostra vent’anni della Wolfsoniana. Il racconto di Matteo Fochessati

Sexto Canegallo (Sestri Ponente, Genova 1892 – Genova 1966), Diamante nero, 1920, olio su tela GX1993.476
 

Francesca Grego

21/05/2025

Genova - Venti opere per raccontare vent’anni di storia e una collezione unica nel panorama italiano e internazionale: è la mostra allestita alla Wolfsoniana di Genova, che taglia il traguardo del ventennale forte di oltre trenta esposizioni e numerosi eventi, oltre a progetti di ricerca e collaborazioni in tutto il mondo. Da domani, giovedì 22 maggio, fino al prossimo 19 ottobre, il museo di Nervi presenterà il meglio della collezione genovese di Mitchell Wolfson Jr., il mecenate statunitense che con un atto di generosità ha dato inizio a questa avventura. Un viaggio trasversale alle arti in un’epoca densa di cambiamenti - dall’ultimo scorcio dell’Ottocento agli anni Cinquanta - attraverso opere e oggetti emblematici legati a ogni campo della creazione umana, spaziando dalle avanguardie artistiche ai fenomeni sociali, dalla pubblicità al colonialismo, dal turismo al design. Ne parliamo con Matteo Fochessati, conservatore del museo fin dalle origini, che insieme ad Anna Vyazemtseva  ha curato la mostra 20 x 20. Venti opere per i vent’anni della Wolfsoniana. 2005-2025.  

“Alla base della mostra c’è la volontà di offrire una testimonianza della varietà dei materiali presenti nella collezione, che è molto eterogenea: si passa dalla cartolina al set di arredi, dando analogo valore a tutte le opere conservate, che funzionano proprio nella loro interrelazione. La collezione è un grande racconto del periodo storico a cavallo tra Ottocento e Novecento, fino al secondo dopoguerra. Ogni oggetto rappresenta una tappa di questa narrazione”, racconta Fochessati. 


Tullio d’Albisola (Albisola Superiore 1899 – Albissola Marina 1971); Bruno Munari (Milano, 1907 – 1998); Edizioni Futuriste di “Poesia”, Roma; Litolatta, Savona, L’anguria lirica, 1934, fogli di latta, cromolitografata a colori. GF1993.1.25

Che tipo di esperienza attende i visitatori di 20 x 20
“È una mostra che abbraccia tutti i linguaggi dell’arte, dalla pittura alla scultura, la ceramica, i vetri, i metalli, gli arredi, compresi mobili concepiti per spazi pubblici, come quelli per la Stazione Centrale di Milano, da ammirare a confronto con i progetti originali di Ulisse Stacchini. Ci sono i transatlantici, documentati dal progetto di interior design dello studio Coppedé per il piroscafo Conte Verde, che dialoga con il lampadario Mappamondo di Pietro Chiesa per Fontana Arte, una delle grandi manifatture italiane del Novecento. E poi gli oggetti in metallo dalle linee moderne ed essenziali disegnati da Gio Ponti per Krupp o da Ugo Carà.

Il Futurismo è un altro dei settori chiave della collezione. In mostra è rappresentato dall’Anguria lirica, libro icona dell’editoria del movimento stampato su latta, e da un dipinto di aeropittura di Renato Di Bosso che raffigura la veduta aerea di un villaggio coloniale, puntando l’attenzione su un altro dei temi della collezione, le campagne coloniali tra le due guerre.  


Alimondo Ciampi (San Mauro a Signa, Firenze 1876 – Firenze 1939), Le amiche (Il bacio), 1926. Bronzo con base in marmo

A raccontare la grafica degli anni Trenta è invece un manifesto di Filippo Romoli a soggetto turistico, che apre lo sguardo su uno dei fenomeni emergenti di questo periodo. Le due eleganti fanciulle in costume da bagno disegnate da Romoli per promuovere la località di Abbazia dialogano con una scultura di Alimondo Ciampi che raffigura un bacio saffico tra due donne, un segno della trasformazione dei costumi, ma anche un indizio dell’interesse della collezione per le questioni del gender. 

E poi c’è l’architettura, un altro dei settori meglio documentati alla Wolfsoniana, con un confronto-scontro tra due progetti: da un lato la proposta di Armando Brasini per gli uffici statali milanesi, legata alla tradizione classica, dall’altro il progetto futurista di  Enrico Prampolini per la Mostra dell’Autarchia di Roma del ‘39. Il bozzetto per il Sarcofago dei martiri in bronzo di Mario Palanti introduce poi il tema della propaganda politica, che in epoca fascista coinvolge la grande arte e l’architettura. 

Anche per il design internazionale gli anni tra le due guerre segnano un periodo di innovazioni e cambiamenti. In mostra lo testimoniano due lampade Tricity della British Electric Trans provenienti dalla Finella, storica villa di Cambridge ristrutturata alla fine degli anni Venti dall’architetto Raymond McGrath: è la consacrazione dello stile moderno, fatto di linee pure”. 


Filippo Romoli (Savona 1901 – Genova 1969), Abbazia, 1938, tempera su carta. Eredi Romoli, in comodato presso Wolfsoniana – Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura, Genova

Qual è il ruolo della Wolfsoniana nel panorama museale italiano ed europeo?
“È un museo riconosciuto per la specificità delle opere della collezione - sia di quelle esposte, sia di quelle conservate in deposito - ma anche per le attività del nostro centro studi. Un aspetto che Micky Wolfson, fondatore della Wolfsoniana, non smette mai di sottolineare è che non siamo semplicemente un museo, ma un laboratorio culturale in continuo movimento. Cerchiamo di confrontarci con altre realtà, organizziamo mostre in Italia e all’estero, intratteniamo scambi con istituzioni nazionali e internazionali. Abbiamo una campagna di prestiti molto intensa durante tutto l’anno, in questo momento abbiamo opere esposte in Olanda, in Cina e in diverse città italiane. Non siamo cristallizzati tra quattro mura, cerchiamo di aprirci al mondo”. 

Come descriverebbe Mitchell Wolfson Jr, il mecenate che con la sua donazione ha permesso la nascita del museo?
“Micky Wolfson è un diplomatico statunitense che è stato console a Genova negli anni Sessanta, dove si è innamorato della città e ha deciso di aprire un branch italiano della Wolfsonian di Miami. La Wolfsoniana di Genova ha iniziato la sua avventura nel 1988, ma è solo dal 2005 che dispone di una sede museale. Wolfson è una persona molto curiosa e attenta. Il suo motto è ‘Non l’arte per l’arte, ma l’arte in funzione delle idee’. Con volontà didattica e democratica, è convinto che gli oggetti possano parlare e raccontare la storia in maniera diretta. Ha messo insieme la sua collezione con l’obiettivo di ricostruire l’affresco sociale, economico, storico, politico dell’epoca a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento. L’80% dei pezzi conservati a Genova è composto da materiali italiani, ma gli interessi di Wolfson hanno un respiro globale che l’ha portato a collezionare opere d’arte americane, inglesi, francesi, russe, giapponesi”. 

Dopo il traguardo del ventennale, quali sono i progetti della Wolfsoniana per il futuro?
“Le prossime mostre alla Wolfsoniana di Genova saranno dedicate a due artisti connessi al movimento futurista: Giovanni Korompai, legato alla poetica dell’aeropittura, e Chin Castello, un autore da riscoprire che è stato recentemente al centro delle nostre ricerche. Genovese, Chin Castello era un aviatore dell’Aeronautica Militare Italiana, impegnato anche nell’Ufficio Propaganda del Ministero, che ha curato, per esempio, l’esposizione dell’Aeronautica alla Biennale di Venezia del 1942. Abbiamo in cantiere anche nuovi progetti all’estero incentrati su alcuni dei temi principali della Collezione, come la propaganda politica”.   



Leonardo Bistolfi (Casale Monferrato 1859 – La Loggia, Torino 1933), Bozzetto per il Monumento a Giovanni Segantini a Saint Moritz (particolare), 1906 circa, gesso. Trust Collezione Francesco Tacchini, in comodato a Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura, Genova (GT2022.39)

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