A Lugano Balla ’12 Dorazio ’60. Dove la luce fino al 14 gennaio 2024
Affinità elettive: quando Piero Dorazio riscoprì il maestro futurista Giacomo Balla
Giacomo Balla, Studi di volumi e movimento (Casa Löwenstein), 1912, matita su carta, 13 x 18.7 cm, Collezione Giancarlo e Danna Olgiati, Lugano
Eleonora Zamparutti
29/09/2023
Da qualsiasi angolo la si voglia vedere, è una mostra che ha a che fare con le affinità elettive. “Balla ’12 Dorazio ’60. Dove la luce”, in corso a Lugano presso la Collezione Giancarlo e Danna Olgiati fino al 14 gennaio 2024, è frutto della combinazione fortunata di competenze, amicizie e passione per l’arte, che è il collante tra i collezionisti Olgiati, la curatrice Gabriella Belli (ex direttore dei Musei Civici di Venezia e del MART di Trento e Rovereto) e l’architetto Mario Botta, autore dell’allestimento. In tutto 47 capolavori creati intorno a due date: 1912, anno in cui nascono le “Compenetrazioni iridescenti” di Balla e il 1960 per le “Trame” di Dorazio.
Giacomo Balla è il perno intorno al quale si muovono incontri fortuiti e scoperte inaspettate. Che Balla in qualche modo favorisse gli amori di una vita, è cosa nota. Proprio nella sua abitazione Filippo Tommaso Marinetti aveva incontrato Benedetta Cappa, che diventerà la sua futura moglie.
In tempi più recenti, intorno alla metà degli anni Ottanta, il collezionista svizzero Giancarlo Olgiati si incammina lungo un sentiero alla ricerca di Balla e, voilà!, incontra l’amore della sua vita: Danna, titolare in quegli anni della Fonte d’Abisso, una galleria milanese con una rispettata fama nell’ambito dell’arte futurista.
Da ragazza Danna aveva contribuito a scrivere alcune schede del catalogo ragionato di Giacomo Balla ed era entrata nel salotto di via Oslavia, dove abitavano le signorine Luce e Ala Balla, le figlie del maestro. Per Danna quel periodo è stato l’inizio di una passione che coltiva ancora oggi. “Il Futurismo non ha nulla da invidiare alle altre Avanguardie europee dell’inizio del Novecento, ma noi italiani tendiamo a svalutarci. Oggi per me, è il coronamento di un sogno” afferma mostrandomi le teche che ospitano alcuni pezzi rarissimi della sua collezione di oltre 1200 titoli futuristi, a cui tiene molto.
Danna è per Giancarlo la strada che si imbocca all’incrocio. Lui, fino a quel momento collezionista di opere dell’espressionismo tedesco, si era lasciato convincere dall’artista e amico fidato Arman, protagonista del Nouveau Realisme, che Giacomo Balla era un grande della pittura, fonte di ispirazione per lui stesso. Danna rincara la dose e fa conoscere a Giancarlo le espressioni più alte dell’arte di Balla, le cosiddette Velocità. Ma è Arman a mettergli una pulce nell’orecchio svelandogli che nel 1913 Marcel Duchamp aveva dichiarato in modo categorico: “Ho raggiunto l’arte astratta grazie a Giacomo Balla”.
Ma ci vuole sempre la prova del nove per far tornare i conti: per essere grandi maestri, bisogna avere dei bravi allievi. Balla li ebbe eccome, dei bravi studenti. Due nomi su tutti: Umberto Boccioni e Gino Severini impararono da lui a tenere il pennello in mano. Ma non basta. Per essere un maestro nell’arte occorre essere capaci di rischiarare con la propria arte il percorso delle generazioni future di artisti. E così è successo. Intorno agli anni ’60 Piero Dorazio guarda alle “Compenetrazioni iridescenti” di Balla e scopre il vero sé. Una frase che si trova sui libri di storia dell’arte, ma come capirla fino in fondo?
Ed ecco che la mostra di Lugano finalmente cala a terra le frasi da manuale e accosta le opere del maestro a quelle dell’allievo d’elezione perché anche noi si possa, con i nostri occhi profani, rintracciare un pezzo del dialogo nascosto nei lavori di due artisti.
Allestimento della mostra "Balla '12 Dorazio '16. Dove la luce" presso la Collezione Giancarlo e Danna Olgiati di Lugano
"E’ stato come fare due mostre in una” afferma con ironia Mario Botta. Ci vuole una buona dose di coraggio ad accettare la missione quasi impossibile di accostare i disegni su fogli di Block-notes di Balla con le grandi tele di Dorazio e riuscire a dimostrare che l’uno era il maestro dell’altro. Botta ci riesce perché vede che la forma del triangolo è il punto di intersezione tra i lavori dei due artisti e ha l’intuizione di portarla a grandezza umana. L’allestimento è fatto di squarci bianchi che aprono piccole sale dove trovano spazio sospesi i lavori di Balla, a sottolineare la loro preziosità fisica. Le tele di Dorazio invece sono collocate su superfici nere che danno risalto ai toni e ai colori come richiede la sua pittura.
“Dopo questa mostra, avremo fatto un passo avanti nell’idea di modernità nell’arte italiana” dichiara Gabriella Belli. Ad accomunare la ricerca che i due artisti compiono a distanza di 50 anni uno dall’altro, è la durata molto breve della loro indagine.
“Da un lato abbiamo un grande pittore, Giacomo Balla, che nel 1912 mette a fuoco il tema della luce nel concetto di “iride”, o come lo definisce lui “iriduccio”, e la forma del triangolo. Dall’altra abbiamo uno straordinario artista, Piero Dorazio, che alimenta la continuità di Balla nella modernità” afferma la curatrice.
Dorazio che frequentava Balla nella sua abitazione in via Oslavia a Roma, è uno dei primi a comprendere la novità degli studi del maestro. A Dorazio spetta la paternità della riscoperta di Balla tra il ’58 - ’60, anni in cui il nome di Balla subiva ancora la damnatio memoriae del Futurismo per la sua vicinanza al Fascismo.
In quel momento Dorazio è in procinto di compiere un balzo in avanti che darà luce alla sua felice ricerca successiva.
“E’ un’astrazione precoce quella di Balla, forse addirittura inconsapevole” afferma Gabriella Belli. Le opere nascono nel volgere di pochi mesi durante un soggiorno dell’artista a Düsseldorf, ospite dalla famiglia Löwenstein. Invitato a decorare lo studio della bella casa affacciata sul Reno, Balla dedica parte del suo tempo a sperimentare, quasi in segreto, una nuova idea di pittura che nasce dall’osservazione della natura e dei fenomeni luministici ma che trova di fatto svolgimento in una pittura di inediti reticoli a forma di triangolo che formano sequenze autonome articolate in composizioni astratto-geometriche davvero anticipatrici per l’epoca. Durante quel soggiorno in Germania aveva certamente visitato le mostre a Colonia, visto da vicino e ammirato le opere del Der Blaue Reiter e di Kandinsky.
“Giacomo Balla studia l’anatomia, la forma della luce. Era come se avesse voluto ridisegnare la visione della luce al microscopio sotto i suoi occhi” dichiara la curatrice. “Nell’arte dell’Ottocento c’era la luce del realismo, nelle opere di Balla la luce è un’esperienza scientifica. Per lui non è necessario per rappresentare il vero, ma esprimere la verità”.
Giacomo Balla, Compenetrazione iridescente n. 1, 1912-1914, olio e pastelli a cera su tela, Palazzo Maffei, Casa Museo, Verona
Per Balla le “Compenetrazioni iridescenti” (nome che verrà dato più avanti a questi studi) rappresentano dei momenti liberatori dove l’artista gioca con i colori complementari e primari. “Sin dalla fine del ‘700 la forma del triangolo indicava le rifrazioni della luce” dichiara la curatrice. “Balla traspone dalla scienza alla pittura questa forma magica che si unisce agli studi e alla passione per la teosofia. Si tratta di uno straordinario esercizio di astrazione ante litteram con precocità senza eguali”.
Nel 1960 Dorazio si presenta alla Biennale di Venezia con una monografica. In quell’occasione espone le “Trame luminose” (di cui 3 opere sono in mostra a Lugano). “E’ una pittura che vuole dare senso di continuità nell’arte italiana, guardando indietro” afferma Gabriella Belli.
Rispetto a Balla, Dorazio fa un salto in avanti: sviluppa con rigore la ricerca e crea un ciclo di dipinti in un arco temporale molto breve che non va oltre il 1963. E’ come se avesse compiuto un un atto finale prima di aprirsi alla pittura successiva.
In Dorazio troviamo reticoli di luce e colore con linee realizzate con mano leggera: intrecci, incroci, tessiture meravigliose di pittura pura che consumano energia dentro la tela. La vibrazione luministica data dal colore è molto forte. Da alcuni interstizi sembrano uscire lampi di luce dal fondo. Come suggerisce Dorazio stesso quella luce dal fondo è “una illuminazione imprevista della coscienza, un modo di visualizzare l’attimo fuggente”. La scoperta è che dentro questa trama c’è ancora il triangolo: una contiguità che dimostra da dove ha origine l’ispirazione.
Per conoscere l'arte di Giacomo Balla, è disponibile su Rai Play per gli utenti registrati il documentario tv "BALLA. IL SIGNORE DELLA LUCE" di Piero Muscarà ed Eleonora Zamparutti, prodotto da ARTE.it in collaborazione con RAI Cultura. Il documentario sarà trasmesso mercoledì 18 ottobre alle ore 21.15 su RAI 5 nel programma tv Art Night, di Silvia De Felice.
Giacomo Balla è il perno intorno al quale si muovono incontri fortuiti e scoperte inaspettate. Che Balla in qualche modo favorisse gli amori di una vita, è cosa nota. Proprio nella sua abitazione Filippo Tommaso Marinetti aveva incontrato Benedetta Cappa, che diventerà la sua futura moglie.
In tempi più recenti, intorno alla metà degli anni Ottanta, il collezionista svizzero Giancarlo Olgiati si incammina lungo un sentiero alla ricerca di Balla e, voilà!, incontra l’amore della sua vita: Danna, titolare in quegli anni della Fonte d’Abisso, una galleria milanese con una rispettata fama nell’ambito dell’arte futurista.
Da ragazza Danna aveva contribuito a scrivere alcune schede del catalogo ragionato di Giacomo Balla ed era entrata nel salotto di via Oslavia, dove abitavano le signorine Luce e Ala Balla, le figlie del maestro. Per Danna quel periodo è stato l’inizio di una passione che coltiva ancora oggi. “Il Futurismo non ha nulla da invidiare alle altre Avanguardie europee dell’inizio del Novecento, ma noi italiani tendiamo a svalutarci. Oggi per me, è il coronamento di un sogno” afferma mostrandomi le teche che ospitano alcuni pezzi rarissimi della sua collezione di oltre 1200 titoli futuristi, a cui tiene molto.
Danna è per Giancarlo la strada che si imbocca all’incrocio. Lui, fino a quel momento collezionista di opere dell’espressionismo tedesco, si era lasciato convincere dall’artista e amico fidato Arman, protagonista del Nouveau Realisme, che Giacomo Balla era un grande della pittura, fonte di ispirazione per lui stesso. Danna rincara la dose e fa conoscere a Giancarlo le espressioni più alte dell’arte di Balla, le cosiddette Velocità. Ma è Arman a mettergli una pulce nell’orecchio svelandogli che nel 1913 Marcel Duchamp aveva dichiarato in modo categorico: “Ho raggiunto l’arte astratta grazie a Giacomo Balla”.
Ma ci vuole sempre la prova del nove per far tornare i conti: per essere grandi maestri, bisogna avere dei bravi allievi. Balla li ebbe eccome, dei bravi studenti. Due nomi su tutti: Umberto Boccioni e Gino Severini impararono da lui a tenere il pennello in mano. Ma non basta. Per essere un maestro nell’arte occorre essere capaci di rischiarare con la propria arte il percorso delle generazioni future di artisti. E così è successo. Intorno agli anni ’60 Piero Dorazio guarda alle “Compenetrazioni iridescenti” di Balla e scopre il vero sé. Una frase che si trova sui libri di storia dell’arte, ma come capirla fino in fondo?
Ed ecco che la mostra di Lugano finalmente cala a terra le frasi da manuale e accosta le opere del maestro a quelle dell’allievo d’elezione perché anche noi si possa, con i nostri occhi profani, rintracciare un pezzo del dialogo nascosto nei lavori di due artisti.
Allestimento della mostra "Balla '12 Dorazio '16. Dove la luce" presso la Collezione Giancarlo e Danna Olgiati di Lugano
"E’ stato come fare due mostre in una” afferma con ironia Mario Botta. Ci vuole una buona dose di coraggio ad accettare la missione quasi impossibile di accostare i disegni su fogli di Block-notes di Balla con le grandi tele di Dorazio e riuscire a dimostrare che l’uno era il maestro dell’altro. Botta ci riesce perché vede che la forma del triangolo è il punto di intersezione tra i lavori dei due artisti e ha l’intuizione di portarla a grandezza umana. L’allestimento è fatto di squarci bianchi che aprono piccole sale dove trovano spazio sospesi i lavori di Balla, a sottolineare la loro preziosità fisica. Le tele di Dorazio invece sono collocate su superfici nere che danno risalto ai toni e ai colori come richiede la sua pittura.
“Dopo questa mostra, avremo fatto un passo avanti nell’idea di modernità nell’arte italiana” dichiara Gabriella Belli. Ad accomunare la ricerca che i due artisti compiono a distanza di 50 anni uno dall’altro, è la durata molto breve della loro indagine.
“Da un lato abbiamo un grande pittore, Giacomo Balla, che nel 1912 mette a fuoco il tema della luce nel concetto di “iride”, o come lo definisce lui “iriduccio”, e la forma del triangolo. Dall’altra abbiamo uno straordinario artista, Piero Dorazio, che alimenta la continuità di Balla nella modernità” afferma la curatrice.
Dorazio che frequentava Balla nella sua abitazione in via Oslavia a Roma, è uno dei primi a comprendere la novità degli studi del maestro. A Dorazio spetta la paternità della riscoperta di Balla tra il ’58 - ’60, anni in cui il nome di Balla subiva ancora la damnatio memoriae del Futurismo per la sua vicinanza al Fascismo.
In quel momento Dorazio è in procinto di compiere un balzo in avanti che darà luce alla sua felice ricerca successiva.
“E’ un’astrazione precoce quella di Balla, forse addirittura inconsapevole” afferma Gabriella Belli. Le opere nascono nel volgere di pochi mesi durante un soggiorno dell’artista a Düsseldorf, ospite dalla famiglia Löwenstein. Invitato a decorare lo studio della bella casa affacciata sul Reno, Balla dedica parte del suo tempo a sperimentare, quasi in segreto, una nuova idea di pittura che nasce dall’osservazione della natura e dei fenomeni luministici ma che trova di fatto svolgimento in una pittura di inediti reticoli a forma di triangolo che formano sequenze autonome articolate in composizioni astratto-geometriche davvero anticipatrici per l’epoca. Durante quel soggiorno in Germania aveva certamente visitato le mostre a Colonia, visto da vicino e ammirato le opere del Der Blaue Reiter e di Kandinsky.
“Giacomo Balla studia l’anatomia, la forma della luce. Era come se avesse voluto ridisegnare la visione della luce al microscopio sotto i suoi occhi” dichiara la curatrice. “Nell’arte dell’Ottocento c’era la luce del realismo, nelle opere di Balla la luce è un’esperienza scientifica. Per lui non è necessario per rappresentare il vero, ma esprimere la verità”.
Giacomo Balla, Compenetrazione iridescente n. 1, 1912-1914, olio e pastelli a cera su tela, Palazzo Maffei, Casa Museo, Verona
Per Balla le “Compenetrazioni iridescenti” (nome che verrà dato più avanti a questi studi) rappresentano dei momenti liberatori dove l’artista gioca con i colori complementari e primari. “Sin dalla fine del ‘700 la forma del triangolo indicava le rifrazioni della luce” dichiara la curatrice. “Balla traspone dalla scienza alla pittura questa forma magica che si unisce agli studi e alla passione per la teosofia. Si tratta di uno straordinario esercizio di astrazione ante litteram con precocità senza eguali”.
Nel 1960 Dorazio si presenta alla Biennale di Venezia con una monografica. In quell’occasione espone le “Trame luminose” (di cui 3 opere sono in mostra a Lugano). “E’ una pittura che vuole dare senso di continuità nell’arte italiana, guardando indietro” afferma Gabriella Belli.
Rispetto a Balla, Dorazio fa un salto in avanti: sviluppa con rigore la ricerca e crea un ciclo di dipinti in un arco temporale molto breve che non va oltre il 1963. E’ come se avesse compiuto un un atto finale prima di aprirsi alla pittura successiva.
In Dorazio troviamo reticoli di luce e colore con linee realizzate con mano leggera: intrecci, incroci, tessiture meravigliose di pittura pura che consumano energia dentro la tela. La vibrazione luministica data dal colore è molto forte. Da alcuni interstizi sembrano uscire lampi di luce dal fondo. Come suggerisce Dorazio stesso quella luce dal fondo è “una illuminazione imprevista della coscienza, un modo di visualizzare l’attimo fuggente”. La scoperta è che dentro questa trama c’è ancora il triangolo: una contiguità che dimostra da dove ha origine l’ispirazione.
Per conoscere l'arte di Giacomo Balla, è disponibile su Rai Play per gli utenti registrati il documentario tv "BALLA. IL SIGNORE DELLA LUCE" di Piero Muscarà ed Eleonora Zamparutti, prodotto da ARTE.it in collaborazione con RAI Cultura. Il documentario sarà trasmesso mercoledì 18 ottobre alle ore 21.15 su RAI 5 nel programma tv Art Night, di Silvia De Felice.
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