Amore in scultura
Apollo e Dafne di Gian Lorenzo Bernini
30/01/2002
Uno storico dell’arte cui venga chiesto di pensare ad opere scolpite riguardanti l’amore non potrà lasciare fuori da un ideale elenco tre nomi fondamentali: Gian Lorenzo Bernini, Antonio Canova, Auguste Rodin.
Ognuno di questi tre artisti ha creato una o più opere che ancora oggi mantengono tutta la loro potenza visiva.
Riferendoci a Bernini scultura emblematica è l'”Apollo e Dafne” della Galleria Borghese (1622-25), commissionato dal cardinale Scipione Borghese. L’opera originariamente era collocata nella stanza della villa in cui si trova ancora oggi, ma in origine stava su una base più bassa e ristretta (oggi è su un blocco scolpito da Vincenzo Pacetti nel 1785 per Marcantonio IV Borghese). Il capolavoro riproduce fedelmente un preciso passo della storia del dio del sole che rincorre la ninfa che da lui fugge, narrata nelle Metamorfosi di Ovidio (I, 450-567). L’attimo rappresentato da Bernini è quello in cui la giovane fanciulla, dopo aver pregato Giove di salvarla, viene tramutata dal padre degli dei in una pianta d’alloro proprio nel momento in cui Apollo la raggiunge. La corteccia avvolge gran parte del corpo, ma la mano di Apollo, secondo i versi di Ovidio, sotto il legno sente ancora il battito del cuore. Bernini, grazie ad una sapiente tecnica riproduce esattamente questo particolare, lavorando la parte di corteccia in maniera talmente virtuosistica da realizzare una sottile sfoglia di marmo. La presenza di questa favola pagana nella casa del cardinale venne giustificata da un distico moraleggiante in latino e inciso nel cartiglio sulla base, che recita: “chi ama seguire le fuggenti forme dei divertimenti, alla fine si trova foglie e bacche amare nella mano”.
Proseguendo il nostro percorso ci soffermiamo su un’altra scultura notissima, quale “Amore e Psiche” del Louvre (1787-93). L’opera fu realizzata da Canova in due versioni: l’altra terminata nel 1796 è oggi all’Ermitage di San Pietroburgo. Eros sta baciando Psiche per risvegliarla da un lungo sonno. Il mito racconta che Cupido fece rapire la bellissima giovane da Zefiro, promettendole di poter vivere con lei finché non tentasse di scoprire la sua identità. Quando questo avvenne, Amore scomparve. Dopo aver molto sofferto, la fanciulla fu assunta in cielo dove le venne conferita l’immortalità da Zeus.
Il gruppo scolpito da Canova si presenta come un perfetto organismo plastico, le cui direttrici compositive formano una grande "X", il centro della quale è costituito dalle due bocche che stanno per baciarsi. Tutta l’opera appare come mossa da un ritmo lento e complesso appena interrotto dallo scatto improvviso delle ali di Amore. Le mani premono sulle levigate superfici marmoree di una materia che si è fatta dolce e duttile. La poetica dell’artista di Possagno tocca, con quest’opera, uno dei momenti più alti della sua evoluzione, grazie anche al supporto di una tecnica sopraffina che permette allo scultore di esprimere una contenuta passione sensuale di due corpi che sembrano sul punto di cedere al desiderio.
La terza scultura è “Il bacio” (1888-89) custodito nelle sale del museo Rodin di Parigi. Il tema della coppia è un inesauribile fonte di idee per Rodin. La scultura è ispirata alla coppia dannata di Paolo e Francesca per la “Porta dell’Inferno”, forse il complesso scultoreo più famoso dell’artista francese. Fu il governo francese a finanziare “Il bacio”, in scala monumentale, per l’Esposizione del 1889. Ma quando Rodin espose il gruppo, e ciò avvenne solo nel 1898 insieme alla statua di Balzac, non fu molto soddisfatto, ritenendola un’opera molto accademica. Persino il poeta austriaco Rilke, per qualche tempo segretario di Rodin, non espresse un giudizio convincente: “L’abbraccio del Bacio è senz’altro grazioso, ma non ho trovato niente in questo gruppo. Si tratta di un tema trattato secondo la tradizione; un soggetto in sé completo, ma isolato dal mondo che lo trascina”. Grazie alle sue forme equilibrate e alla sensualità del tema, l’opera portò comunque molta fortuna al suo autore.
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