Australian Aborigena Contemporary Desert Art
Aborigena
11/07/2001
L’isolamento delle comunità aborigene del deserto occidentale australiano finì negli anni Sessanta quando pattuglie che si occupavano della Prosperità dei Nativi furono inviate al fine di allineare le ultime tribù alla politica di assimilazione e di “integrazione” del governo nazionale. Le varie genti furono sradicate dai luoghi di insediamento e alloggiate a Papunya, dove trascorsero anni difficili tra l’esplosione delle lotte per la conquista del potere e la diffusione di malattie infettive semisconosciute. La disperazione provocata dal vivere in un ambiente alieno fu accentuata dalla separazione dai luoghi di tradizione e di cerimonia.
Tra i gruppi i Pintupi si distinsero per l’ostinato attaccamento alle usanze dei padri e per la tenace opposizione ai progetti di integrazione. Il 1971 è l’anno del loro (involontario) esordio sulla scena artistica: Geoffrey Bardon, un giovane insegnante di Papunya, fu infatti catturato dai disegni su sabbia eseguiti in occasione delle feste tribali della comunità ed, entrato in contatto con alcuni capi anziani, riuscì a convincerli a dipingere un intricato murale. Incoraggiati dal successo di questa prima opera non effimera, gli uomini Pintupi presero a dipingere composizioni straordinarie, raffiguranti eventi mitologici dei quali custodivano i segreti iniziatici. Questi dipinti diventarono per gli Aborigeni un mezzo per ricordare le proprie terre d’origine, mantenere i legami con esse e rivendicare il diritto di tornarvi.
Nei tardi anni Settanta i numerosi artisti cominciarono a variare gli stili e a differenziarsi gli uni dagli altri. Contemporaneamente i contatti con la cultura occidentale si moltiplicarono e quando nel 1981 fu aperto il centro educativo di Balgo Hills (nell’Australia occidentale) gli audaci colori e le forme lineari della tradizione europea erano già arrivati a contaminare le prime originali invenzioni.
I percorsi degli artisti aborigeni si sono diversificati nell’ultimo ventennio. Molte donne hanno preso a dipingere. Quelle delle comunità Alyawarre e Anmatyerre nel 1977 furono invitate a partecipare ad un progetto per teli di seta batik, che offrì loro la possibilità di esprimere le proprie credenze culturali e religiose. Con il successo di tale iniziativa, alcune iniziarono ad usare vernici acriliche su tele, lavorando con uno stile simile ai disegni realizzati sul corpo durante le cerimonie (forme astratte ma anche immagini mitiche della terra d’origine). Emily Kame Kngwarreye arrivò perfino a rappresentare l’Australia alla Biennale di Venezia del 1997.
Nel corso dell’ultimo decennio il mercato artistico mondiale, che guarda alle culture “alternative” con particolare interesse, ha decretato il successo per questo genere di pittura: si sono susseguite esposizioni a New York, Parigi, Londra, Dusseldorf, Sidney e l’Australia ha trovato negli artisti aborigeni i suoi nuovi “vati”, coperti di attenzioni e di onori dall’élite degli intenditori e dei collezionisti d’America e d’Europa.
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