Al Museo di Ligornetto una nuova iniziativa per celebrare lo scultore
Cento anni di Vincenzo Vela, l'artista patriota al servizio del Risorgimento
Vincenzo Vela, Ritratto della marchesa Busti Porro adolescente, 1871
Samantha De Martin
31/07/2020
Un anonimo alfiere con sciabola sguainata e tricolore si innalza fiero di fronte alla facciata juvarriana di Palazzo Madama, a Torino. Simbolo e manifesto antiaustriaco di un'Italia repubblicana, offerto dai milanesi nel 1857 all’esercito piemontese nel quale erano riposte le speranze di libertà, è una delle tante opere realizzate dallo scultore liberale Vincenzo Vela.
Esponente di spicco del verismo e annoverato tra i padri del risorgimento artistico italiano, approdato alla celebrità negli anni dell’unificazione nazionale, il “Cavour dell’arte” ha cercato di trasmettere con il suo lavoro il desiderio di cambiamento di una nazione ancora agli albori.
In quel suo tentativo di superare e rinnovare il classicismo della scuola canoviana, conferendogli un’impronta marcatamente realista, Vela tradusse forse nel gesso e nel marmo quegli ideali che Verdi impresse nelle note, Courbet nella pittura, Verga negli scritti.
Uno scultore rivoluzionario
Il rivoluzionario Vela divenne presto un personaggio scomodo per gli occupanti, al punto che quell’Alfiere a difesa del vessillo tricolore sarebbe stato, a detta degli austriaci, il primo a cadere dal piedistallo una volta entrati nella capitale piemontese.
A Torino lo scultore svizzero di Ligornetto era approdato nel 1852 costretto all'esilio a causa della vicinanza ai movimenti mazziniani che si battevano per l'unità d'Italia. D’altra parte, attraverso le sue opere, poste negli spazi pubblici e ispirate a un linguaggio più realistico, distante dal classicismo accademico, era riuscito a trasmettere i suoi ideali politici rendendoli comprensibili ai cittadini.
Vincenzo Vela, il Coretto delle due Regine al Santuario della Consolata, 1861, Marmo, Torino
Rientrato da Torino, nel 1867 in una sala della sua casa-atelier appositamente concepita, aveva presentato a un ampio pubblico gli originali in gesso di quasi tutte le sue opere. Assecondando le volontà del padre, nel 1892, suo figlio Spartaco Vela legò per testamento la proprietà alla Confederazione svizzera, a condizione che la collettività potesse fruirne come museo o come scuola.
Il Museo Vincenzo Vela a Ligornetto e Mario Botta
Naque così a Ligornetto il Museo dedicato allo scultore, aperto al pubblico nel 1898 per essere riconfigurato tra il 1997 e il 2001 dall’architetto Mario Botta.
Il bambino prodigio, nato il 3 maggio 1820 e avviato a nove anni alla professione di scalpellino nelle cave di Besazio mostrò fin da subito grandi abilità artigianali. A Milano lavorò come scalpellino per la Fabbrica del Duomo e, studiando all’Accademia di Brera, fu seguace della pittura di Francesco Hayez e dalla scultura del toscano Lorenzo Bartolini, sviluppando uno stile marcatamente realista, lontano dal neoclassicismo dei seguaci di Canova.
Museo Vincenzo Vela, Ligornetto
L’artista innovatore
Le prime grandi innovazioni introdotte da Vela nell’arte funeraria italiana sono racchiuse nei primi incarichi, come i monumenti funebri per Maddalena Adami-Bozzi a Pavia e per Cecilia Rusca a Locarno, dove, per la prima volta le figure in lutto, solitamente rappresentate come personaggi allegorici, sembrano commuovere l’osservatore con l’ immediatezza dei tratti dei familiari dei defunti, vestite in abiti quotidiani.
A conquistare letterati e mecenati era soprattutto la sua concezione artistica, lo stile vigoroso contrapposto alle convenzioni e alle pratiche della vecchia scuola, divenuto ben presto il manifesto culturale dei Milanesi. D’altra parte la militanza di questo artista che, nel marzo 1848, aveva partecipato come volontario alla guerra di indipendenza dei Lombardi contro l’Austria, gli valse la fama di artista-patriota politicamente impegnato. Il suo monumentale Spartaco, impostosi, con la sua eroica plasticità, fra le icone rivoluzionarie dell'arte del XIX secolo, divenne simbolo della rivolta nazionale, con l’eroico schiavo che spezza le catene per morire da libero.
Lo scultore che tolse dal piedistallo principi e santi per sostituirli con gli eroi contemporanei dell’unificazione italiana, ma anche con politici e filosofi, benefattori e medici, industriali e avventurieri, posti a modello della società moderna, a Torino diede origine a un vero e proprio culto dei monumenti (“statuomanie”), che partendo dalla Francia aveva interessato tutta l’Europa nel segno della democratizzazione.
Il suo modello per un monumento in memoria delle anonime vittime del lavoro durante la costruzione della galleria del San Gottardo, con i minatori segnati dalla fatica che trasportano su una barella il compagno morto, nel quale riconosciamo i tratti dell’artista, oltre a rappresentare il primo monumento dedicato ai lavoratori, divenne un emblema senza eguali dell’epoca industriale.
Un altro elemento di novità che caratterizza la figura di Vela è il suo precoce confronto con la nascente fotografia. Richiamandosi al nuovo mezzo, lo scultore sceglieva con cura la posa caratteristica di ogni soggetto. Nel Monumento a Tommaso Grossi l’essenza intima del poeta lombardo viene colta attraverso il suo sguardo assorto e la sagoma appoggiata a un muro, come in un ritratto dipinto.
Vincenzo Vela, Monumento a Tommaso Grossi, 1858, Cortile del Palazzo di Brera, Milano | Foto: © Mauro Zeni
L’ultimo Vela si coglie invece nel Monumento a Giuseppe Garibaldi e alle Giornate Comasche del marzo 1848 realizzato su incarico della città di Como. La cupa figura del Generale, alta quattro metri, pervasa da un’energia incontenibile, diventa specchio della passione interiore di un combattente per la libertà, ma anche della sua delusione per l’evoluzione politica durante gli anni della fondazione dello Stato italiano. Dai suoi tratti, dalla superficie mossa si fanno spazio quegli effetti pittorici frutto delle innovazioni del giovane Medardo Rosso, di scapigliati e macchiaioli.
“Une bonne retraite” per Vela e l’arte come bene pubblico
Quando, nel 1868, tutti i modelli furono trasferiti a Ligornetto e la residenza estiva voluta da Vela divenne la dimora stabile della famiglia, l’artista aprì le porte anche al pubblico. Il suo intento era quello di creare “une bonne retraite” dove rifugiarsi per ritrovare ispirazione lontano dalla frenetica vita cittadina. Intorno alla casa sorse presto il parco - con specie rare di limoni e numerose specie botaniche di camelie - che ancora oggi seduce gli appassionati d’arte e gli amanti del verde e dell’architettura del paesaggio.
Salvo pochissime eccezioni, in questa casa museo sono in mostra esclusivamente modelli originali, antecedenti alla realizzazione finale in pietra o bronzo, e pertanto autografi.
Con la sua “Sala pei modelli” - lo spazio espositivo ottagonale con tamburo dove Vela esponeva i modelli originali delle sue statue - l’arioso vestibolo, il parco, la “Sala dei quadri” simile a una wunderkammer ricca di monete e minerali, libri di storia, illustrazioni, fotografie e animali imbalsamati, e ancora le stanze private - in particolare la cucina con camino alla ticinese - Villa Vela rientra nelle numerose case concepite come abitazione-studio di artisti e architetti dell’Ottocento, ed è la più interessante, in Svizzera, sotto il profilo architettonico, ma anche storico e sociale.
Contrappunto programmatico della gipsoteca canoviana a Possagno, questo scrigno dell’arte rappresentava l’emancipazione della scultura dal classicismo dell’artista di Possagno.
Questa istituzione culturale semi-privata aperta al largo pubblico manifestava inoltre l’aspirazione del suo proprietario di rendere l’arte un bene comune. Era la prima volta che uno scultore apriva ancora in vita al pubblico la sua proprietà volendo, per testamento, trasformarla in legato con tutti i suoi beni.
Esaurita ormai la funzione di abitazione-studio, la casa si aprì alle nuove esigenze e il Museo Vela aprì i battenti nel 1898.
Vincenzo Vela, La preghiera del mattino, 1846 | Public Domain via Wikimedia Commons
Nell’universo di Vincenzo Vela
La visita al museo Vela inizia già nel borgo di Ligornetto, dove l’arte dello scultore accoglie i viaggiatori tra le fontane con doccione e nel piccolo lavatoio donato dall’artista al suo paese natale.
Una scenografica passeggiata che culmina nei pilastri dell’entrata al giardino, con i busti-ritratto di Galileo Galilei e di Cristoforo Colombo, considerati antesignani di una visione illuminata del mondo, conduce al Museo, uno dei primi istituti d’arte fondati in Svizzera nel XIX secolo.
Prima di entrare intrattenetevi nel parco, parte integrante di quest’opera d’arte totale, il cui prato, a sud ovest, costituisce un prolungamento delle sale espositive.
Fulcro del Museo è lo spazio centrale ottagonale che accoglie i monumentali gessi. La passeggiata tra le sale è scandita da modelli e bozzetti, disegni, stampe d’arte, calchi in gesso e fotografie dell’epoca che accompagnano gli ospiti nella genesi delle sculture, dall’ideazione alla realizzazione finale. Accanto alle opere di Vincenzo Vela figurano anche quelle del fratello Lorenzo e i dipinti del figlio Spartaco.
Atipico risulta il Monumento a Giuseppe Maria Luvini, vescovo di Pesaro, non un originale in gesso, bensì un modello ricavato per calco dalla scultura compiuta. Fu fatto realizzare nel 1895 dal figlio di Vela, Spartaco, per completare la collezione in vista della fondazione del museo.
Passeggiando tra i nuovi eroi della borghesia moderna, osservando il modello preparatorio di Spartaco, si giunge nella sala del “Pantheon del Risorgimento”, un’assemblea di personaggi storici illustri vissuti principalmente negli anni dell’unificazione d’Italia, stretti attorno al colossale Monumento equestre al duca Carlo II di Brunswick, mai realizzato a causa di una serie di intrighi e diverbi.
La quadreria espone una selezione degli oltre 300 dipinti della collezione di Lorenzo, Vincenzo e Spartaco Vela, pitture di paesaggio e studi di figura che oltre a rispecchiare il gusto artistico della famiglia, ripercorrono la rete di contatti culturali e personali dei Vela.
Al contario degli schizzi plastici di Canova, che nascevano di getto seguendo il suo impulso creativo, i bozzetti in argilla di Vela presentano un alto grado di finitezza, come il visitatore può osservare nella Sala IV. Sempre in questa sala, degno di nota è anche l’acquerello Lo studio di Vincenzo Vela a Torino di Pierre Henri Théodore van Elven.
Il Vela colto e interessato alla cultura emerge invece dalla Sala II e dalla Biblioteca, i cui armadi contenevano oltre 1000 volumi. L’ultima sala del percorso, un tempo cucina e stanza da pranzo, è dedicata invece alla scultura funeraria, un altro fulcro dell’attività di Vela con gessi che spaziano dal periodo giovanile fino alle sue ultime opere.
Quattro nuovi itinerari sulle tracce di Vela
Per celebrare i 200 anni dalla nascita del suo scultore, il Museo Vela, attraverso l’applicazione smARTravel, realizzata dalla start-up ticinese Alsaro, ha reso fruibili quattro itinerari pensati per raccontare, in più lingue, la vita dello scultore attraverso i luoghi che lo hanno visto protagonista: Milano, Torino, il Canton Ticino e anche il parco del Museo.
Questi percorsi potranno essere effettuati autonomamente da tutti gli appassionati e gli amanti dell’arte, della storia, dell’architettura. Inoltre i più curiosi potranno frugare nell'App alla scoperta delle vie dedicate al maestro nei territori che lo videro protagonista.
Vincenzo Vela, Ritratto della marchesa Busti Porro adolescente, 1871
Leggi anche:
• Buon compleanno Vincenzo Vela!
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In quel suo tentativo di superare e rinnovare il classicismo della scuola canoviana, conferendogli un’impronta marcatamente realista, Vela tradusse forse nel gesso e nel marmo quegli ideali che Verdi impresse nelle note, Courbet nella pittura, Verga negli scritti.
Uno scultore rivoluzionario
Il rivoluzionario Vela divenne presto un personaggio scomodo per gli occupanti, al punto che quell’Alfiere a difesa del vessillo tricolore sarebbe stato, a detta degli austriaci, il primo a cadere dal piedistallo una volta entrati nella capitale piemontese.
A Torino lo scultore svizzero di Ligornetto era approdato nel 1852 costretto all'esilio a causa della vicinanza ai movimenti mazziniani che si battevano per l'unità d'Italia. D’altra parte, attraverso le sue opere, poste negli spazi pubblici e ispirate a un linguaggio più realistico, distante dal classicismo accademico, era riuscito a trasmettere i suoi ideali politici rendendoli comprensibili ai cittadini.
Vincenzo Vela, il Coretto delle due Regine al Santuario della Consolata, 1861, Marmo, Torino
Rientrato da Torino, nel 1867 in una sala della sua casa-atelier appositamente concepita, aveva presentato a un ampio pubblico gli originali in gesso di quasi tutte le sue opere. Assecondando le volontà del padre, nel 1892, suo figlio Spartaco Vela legò per testamento la proprietà alla Confederazione svizzera, a condizione che la collettività potesse fruirne come museo o come scuola.
Il Museo Vincenzo Vela a Ligornetto e Mario Botta
Naque così a Ligornetto il Museo dedicato allo scultore, aperto al pubblico nel 1898 per essere riconfigurato tra il 1997 e il 2001 dall’architetto Mario Botta.
Il bambino prodigio, nato il 3 maggio 1820 e avviato a nove anni alla professione di scalpellino nelle cave di Besazio mostrò fin da subito grandi abilità artigianali. A Milano lavorò come scalpellino per la Fabbrica del Duomo e, studiando all’Accademia di Brera, fu seguace della pittura di Francesco Hayez e dalla scultura del toscano Lorenzo Bartolini, sviluppando uno stile marcatamente realista, lontano dal neoclassicismo dei seguaci di Canova.
Museo Vincenzo Vela, Ligornetto
L’artista innovatore
Le prime grandi innovazioni introdotte da Vela nell’arte funeraria italiana sono racchiuse nei primi incarichi, come i monumenti funebri per Maddalena Adami-Bozzi a Pavia e per Cecilia Rusca a Locarno, dove, per la prima volta le figure in lutto, solitamente rappresentate come personaggi allegorici, sembrano commuovere l’osservatore con l’ immediatezza dei tratti dei familiari dei defunti, vestite in abiti quotidiani.
A conquistare letterati e mecenati era soprattutto la sua concezione artistica, lo stile vigoroso contrapposto alle convenzioni e alle pratiche della vecchia scuola, divenuto ben presto il manifesto culturale dei Milanesi. D’altra parte la militanza di questo artista che, nel marzo 1848, aveva partecipato come volontario alla guerra di indipendenza dei Lombardi contro l’Austria, gli valse la fama di artista-patriota politicamente impegnato. Il suo monumentale Spartaco, impostosi, con la sua eroica plasticità, fra le icone rivoluzionarie dell'arte del XIX secolo, divenne simbolo della rivolta nazionale, con l’eroico schiavo che spezza le catene per morire da libero.
Lo scultore che tolse dal piedistallo principi e santi per sostituirli con gli eroi contemporanei dell’unificazione italiana, ma anche con politici e filosofi, benefattori e medici, industriali e avventurieri, posti a modello della società moderna, a Torino diede origine a un vero e proprio culto dei monumenti (“statuomanie”), che partendo dalla Francia aveva interessato tutta l’Europa nel segno della democratizzazione.
Il suo modello per un monumento in memoria delle anonime vittime del lavoro durante la costruzione della galleria del San Gottardo, con i minatori segnati dalla fatica che trasportano su una barella il compagno morto, nel quale riconosciamo i tratti dell’artista, oltre a rappresentare il primo monumento dedicato ai lavoratori, divenne un emblema senza eguali dell’epoca industriale.
Un altro elemento di novità che caratterizza la figura di Vela è il suo precoce confronto con la nascente fotografia. Richiamandosi al nuovo mezzo, lo scultore sceglieva con cura la posa caratteristica di ogni soggetto. Nel Monumento a Tommaso Grossi l’essenza intima del poeta lombardo viene colta attraverso il suo sguardo assorto e la sagoma appoggiata a un muro, come in un ritratto dipinto.
Vincenzo Vela, Monumento a Tommaso Grossi, 1858, Cortile del Palazzo di Brera, Milano | Foto: © Mauro Zeni
L’ultimo Vela si coglie invece nel Monumento a Giuseppe Garibaldi e alle Giornate Comasche del marzo 1848 realizzato su incarico della città di Como. La cupa figura del Generale, alta quattro metri, pervasa da un’energia incontenibile, diventa specchio della passione interiore di un combattente per la libertà, ma anche della sua delusione per l’evoluzione politica durante gli anni della fondazione dello Stato italiano. Dai suoi tratti, dalla superficie mossa si fanno spazio quegli effetti pittorici frutto delle innovazioni del giovane Medardo Rosso, di scapigliati e macchiaioli.
“Une bonne retraite” per Vela e l’arte come bene pubblico
Quando, nel 1868, tutti i modelli furono trasferiti a Ligornetto e la residenza estiva voluta da Vela divenne la dimora stabile della famiglia, l’artista aprì le porte anche al pubblico. Il suo intento era quello di creare “une bonne retraite” dove rifugiarsi per ritrovare ispirazione lontano dalla frenetica vita cittadina. Intorno alla casa sorse presto il parco - con specie rare di limoni e numerose specie botaniche di camelie - che ancora oggi seduce gli appassionati d’arte e gli amanti del verde e dell’architettura del paesaggio.
Salvo pochissime eccezioni, in questa casa museo sono in mostra esclusivamente modelli originali, antecedenti alla realizzazione finale in pietra o bronzo, e pertanto autografi.
Con la sua “Sala pei modelli” - lo spazio espositivo ottagonale con tamburo dove Vela esponeva i modelli originali delle sue statue - l’arioso vestibolo, il parco, la “Sala dei quadri” simile a una wunderkammer ricca di monete e minerali, libri di storia, illustrazioni, fotografie e animali imbalsamati, e ancora le stanze private - in particolare la cucina con camino alla ticinese - Villa Vela rientra nelle numerose case concepite come abitazione-studio di artisti e architetti dell’Ottocento, ed è la più interessante, in Svizzera, sotto il profilo architettonico, ma anche storico e sociale.
Contrappunto programmatico della gipsoteca canoviana a Possagno, questo scrigno dell’arte rappresentava l’emancipazione della scultura dal classicismo dell’artista di Possagno.
Questa istituzione culturale semi-privata aperta al largo pubblico manifestava inoltre l’aspirazione del suo proprietario di rendere l’arte un bene comune. Era la prima volta che uno scultore apriva ancora in vita al pubblico la sua proprietà volendo, per testamento, trasformarla in legato con tutti i suoi beni.
Esaurita ormai la funzione di abitazione-studio, la casa si aprì alle nuove esigenze e il Museo Vela aprì i battenti nel 1898.
Vincenzo Vela, La preghiera del mattino, 1846 | Public Domain via Wikimedia Commons
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La visita al museo Vela inizia già nel borgo di Ligornetto, dove l’arte dello scultore accoglie i viaggiatori tra le fontane con doccione e nel piccolo lavatoio donato dall’artista al suo paese natale.
Una scenografica passeggiata che culmina nei pilastri dell’entrata al giardino, con i busti-ritratto di Galileo Galilei e di Cristoforo Colombo, considerati antesignani di una visione illuminata del mondo, conduce al Museo, uno dei primi istituti d’arte fondati in Svizzera nel XIX secolo.
Prima di entrare intrattenetevi nel parco, parte integrante di quest’opera d’arte totale, il cui prato, a sud ovest, costituisce un prolungamento delle sale espositive.
Fulcro del Museo è lo spazio centrale ottagonale che accoglie i monumentali gessi. La passeggiata tra le sale è scandita da modelli e bozzetti, disegni, stampe d’arte, calchi in gesso e fotografie dell’epoca che accompagnano gli ospiti nella genesi delle sculture, dall’ideazione alla realizzazione finale. Accanto alle opere di Vincenzo Vela figurano anche quelle del fratello Lorenzo e i dipinti del figlio Spartaco.
Atipico risulta il Monumento a Giuseppe Maria Luvini, vescovo di Pesaro, non un originale in gesso, bensì un modello ricavato per calco dalla scultura compiuta. Fu fatto realizzare nel 1895 dal figlio di Vela, Spartaco, per completare la collezione in vista della fondazione del museo.
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La quadreria espone una selezione degli oltre 300 dipinti della collezione di Lorenzo, Vincenzo e Spartaco Vela, pitture di paesaggio e studi di figura che oltre a rispecchiare il gusto artistico della famiglia, ripercorrono la rete di contatti culturali e personali dei Vela.
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Il Vela colto e interessato alla cultura emerge invece dalla Sala II e dalla Biblioteca, i cui armadi contenevano oltre 1000 volumi. L’ultima sala del percorso, un tempo cucina e stanza da pranzo, è dedicata invece alla scultura funeraria, un altro fulcro dell’attività di Vela con gessi che spaziano dal periodo giovanile fino alle sue ultime opere.
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